Apprendista nell’arte di conversare

Nelle conversazioni parla con gli altri, non solo agli altri

(Kriyananda)

 

Non sono un tipo che parla molto, almeno finché non conosco fino in fondo il mio interlocutore. Non sono neppure uno con l’eloquio scorrevole, perché le parole giuste mi vengono solo se ci penso un po’ sopra.

È per questo che ho sempre invidiato due categorie di persone: quelle con l’attitudine naturale a parlare con tutti di tutto e quelle che sanno sempre trovare alla svelta le parole corrette, le frasi chiare, le nozioni pertinenti da citare.

Un articolo sulla rivista Internazionale dice che “conversare dovrebbe essere una capacità che tutti abbiamo, e ci si dovrebbe addestrare già da ragazzini”. Ma se si approfondisce l’argomento in rete, si scopre presto un mondo fatto di tutorial, decaloghi, trucchi e segreti per una conversazione efficace. Consigli come “ascoltare l’interlocutore”, o “evitare di autocelebrarsi”, che dovrebbero già rientrare nel forziere del buonsenso in dotazione a ciascuno. Paradosso dei paradossi: nell’era della socialità globale, abbiamo difficoltà a conversare e ci serve un ausilio per riuscire a farlo. Osservazione banale, lo so.

Se esiste ancora la consuetudine di fare propositi positivi per l’anno che viene, io metto in lista quello di conversare di più. Più quantità e più qualità.

1 commento

Riforma del piano a induzione

A volte il diavolo mi induce nella tentazione di credere in Dio

(S.J. Lec, Nuovi pensieri spettinati)

Non più “non ci indurre in tentazione…”, ma piuttosto “non abbandonarci in tentazione…

Così anche il Padre Nostro cambierà forma. Dopo decenni di studi e convalide, la Cei ha infatti rivisto la traduzione del Messale Romano. Nella preghiera avremo più garantismo per tutti.

L’agente provocatore, colui che s’infiltra e spinge il malcapitato a commettere un reato, è sostituito da un semplice agente sotto copertura, che eventualmente si limiterà ad osservarci mentre commettiamo il crimine.

Per la prescrizione, invece, occorre attendere ancora.

Nessun commento

Dove cade la pioggia

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane

(G. D’Annunzio, La pioggia nel pineto)

La consueta pioggia autunnale mi infonde sempre un sentimento di piacevole malinconia. Adoro trascorrere qualche attimo guardando dalla finestra l’acquazzone impetuoso, o anche il leggero ed ingenuo piovasco. Alberi e case che si bagnano adagio e poi s’inzuppano, animali e insetti che si riparano, gocce che martellano le superfici come infallibili metronomi. Ogni volta che la pioggia dura più di un giorno, si crea nella mia testa quella consueta atmosfera di amabile tedio e automaticamente ripenso a La pioggia nel pineto.

Come succede in tutte le assurde fatalità della vita, La pioggia nel pineto è proprio la lirica che mi fu chiesta all’esame di maturità. Sapevo praticamente tutto. Il commissario mi fece però una domanda alla quale non riuscii a rispondere. “Perché mai D’Annunzio usa la parola Pineto e non Pineta? Sarebbe più naturale parlare di pineta, invece…” Mi aggrappai, scivolai, caddi, tacqui. Insomma non seppi replicare in modo chiaro ed esaustivo a questo interrogativo apparentemente banale, ma per me incomprensibile.  E lui mi inferse il colpo più duro, celandomi la soluzione dell’enigma e destinandomi all’eterno oblio. Forse pensava al castigo peggiore per un ignorante: la condanna perenne a non conoscere.

Nei giorni scorsi ho cercato sull’antologia e anche in internet, ma non ho trovato risposta a questa domanda.

E niente… se qualcuno potesse aiutarmi, mi eviterebbe altre notti insonni. In fin dei conti sento di aver scontato la mia pena.

DSCN7830

3 Commenti

Nuovo che avanza

La mattina la gente si sveglia e dice: da oggi cambio vita. Invece non lo fa mai

(Dal film Town)

 

Esercizio di alfabetizzazione funzionale. Cerchiamo alcuni termini sul dizionario e ne verifichiamo l’effettivo significato, misurandone il grado di novità rispetto al passato.

Cambiamento significa mutamento, trasformazione, variazione. Generalmente indica il passaggio da una situazione esistente ad una più evoluta. Di solito cambiare l’auto vuol dire averne a disposizione una più moderna rispetto alla precedente, mentre cambiare lavoro quasi sempre porta a migliorare la propria condizione occupazionale. Al di là delle valutazioni “migliore/peggiore”, è indubbio che secondo il senso comune “Governo del cambiamento” debba indicare una novità nell’amministrazione della cosa pubblica rispetto al passato.

Vediamo dunque i tratti di novità caratterizzanti il “Governo del cambiamento”.

Un primo elemento di originalità è rappresentato dal fatto che i partiti di governo si autoproclamano sovranisti, in aperta lotta con i dettami e i fondamenti dell’Unione Europea. Il Contratto di Governo rifiuta apertamente alcuni di quei precetti. Le dichiarazioni ufficiali e i primi decreti seguono la medesima linea. È in atto un’aperta contestazione alle istituzioni europee che ambisce, più o meno velatamente, ad obiettivi di separazione o fuoriuscita. Dal Trattato di Maastricht del 1992 nessun governo aveva mai messo in discussione l’impegno italiano verso l’Europa. Ma il sovranismo non nasce oggi. Viene coniato in Canada agli inizi degli anni ’60, nel quadro dell’indipendenza del Quebec. È una dottrina politica che sostiene la preservazione o la ri-acquisizione della sovranità nazionale, in contrapposizione alle politiche delle organizzazioni internazionali e sovranazionali.

Il sovranismo va di pari passo con il costante appello al sentimento dello stato nazione, ben sintetizzato nel celebre slogan “prima gli Italiani”. Lo Stato Nazione è una concezione politica partorita nel primo dopoguerra, cento anni fa. Si riassume nell’idea di far coincidere tassativamente l’apparato giuridico e amministrativo di un territorio (lo Stato) con la comunità che condivide lingua, cultura e religione (la Nazione). Già dai termini usati si può cogliere l’obsolescenza di questo concetto. Non c’è neppure bisogno di scomodare le nozioni di multiculturalità e globalizzazione per dimostrarne l’inesorabile vecchiaia.

Un’altra ventata di novità arriva dall’annuncio del Ministro dei Trasporti di nazionalizzare l’Alitalia e le autostrade. La nazionalizzazione è l’intervento con cui lo Stato acquisisce la proprietà o il controllo di determinate industrie private, o l’esercizio di alcune attività di preminente interesse generale. È del 1905 la nazionalizzazione delle ferrovie, del 1912 quella delle assicurazioni sulla vita, del 1962 quella dell’energia elettrica. Dagli anni ‘80 la manifesta inefficienza produttiva delle imprese statali ha determinato in molti Paesi un progressivo ridimensionamento delle stesse.

La strabiliante invenzione della pace fiscale. Prevede la rottamazione delle cartelle con aliquote forfettarie e ridotte, la possibilità di presentare una dichiarazione integrativa, in cui si afferma che all’epoca della dichiarazione originaria non si era comunicato tutto il dovuto, la cancellazione totale ed automatica dei debiti inferiori a mille euro, multe comprese. Quasi quasi viene in mente il condono, cioè l’annullamento di una pena o di un debito. Sono stati circa ottanta dall’Unità d’Italia ad oggi. Se il primo condono fiscale risale all’Imperatore Adriano, va detto che da Rumor a Spadolini, da Craxi ad Andreotti, da Dini a Berlusconi… nessuno è rimasto indenne di fronte alla tentazione di abbuonare le pendenze fiscali dei cittadini meno virtuosi.

Il deficit come sorprendente idea programmatica per crescere. La nota di aggiornamento al Def prevede una massiccia spesa in deficit di bilancio. Fare deficit significa spendere più di quello che si guadagna. Significa programmare le spese o gli investimenti, sulla base di risorse prese a debito. Il deficit è essenzialmente l’eccedenza del passivo sull’attivo e come si può facilmente immaginare non è proprio un escamotage di primo pelo. Sembra strano, ma c’avevano già pensato in tanti.

Sosteneteci comprando i Btp”. Con un appello a carattere nazionale, il Ministro degli Interni invita il popolo a comprare debito pubblico, al fine di sostenere le spese del Governo. Trovo una sottile assonanza con “Oro alla patria”, la manifestazione a carattere nazionale organizzata dal regime fascista nel 1935. Gli italiani furono chiamati a donare i loro gioielli per sostenere le spese belliche.

Con l’impropria dicitura di “Reddito di cittadinanza” ritorna il sussidio di disoccupazione, spendibile solo per acquisti morali. Sarà il Governo a decidere cosa è morale e cosa non lo è. Viene in mente la canzone di Jannacci, dove il barbone dice: “Tu sei uno di quelli che se gli chiedono mille lire, dicono ‘mi raccomando non se le beva’. Cosa te ne frega a te se me le bevo? Oscar della bontà!” L’assistenzialismo è definito come la degenerazione del sistema di assistenza pubblica e sociale, in cui lo Stato interviene con l’erogazione di fondi a cittadini, senza un piano efficace per il loro utilizzo e allo scopo di acquisire consensi. La storia d’Italia, insomma.

cambiamento

1 commento

Una dedica speciale

Dedicato a tutti quelli che rimangono dei sognatori

(E. Ramazzotti, Se bastasse una canzone)

Per la prima volta nella mia vita mi è stato dedicato un libro. Cioè… non è stato scritto un romanzo su di me, non esageriamo. Però una persona ha scritto un libro ed ha pensato a me nella dedica della prima pagina. Non rivelerò il suo nome, né il titolo del libro, nemmeno sotto tortura. In fondo mantenere un alone di mistero rende sempre tutto più affascinante.

Nella dedica si parla di un portico. Un giorno l’autore del libro mi chiese che significato avesse per me la vecchiaia, che senso avesse attendere la vecchiaia dopo aver vissuto una vita intera. Risposi che sognavo semplicemente di ritrovarmi un giorno vecchio e sereno, seduto sotto un portico (come quelli all’ingresso delle case americane) con un figlio, o una moglie o un vecchio amico a parlare. Ricordare con gli affetti più cari e con serafica serenità le esperienze vissute, i momenti felici. Ripensare, rivivere, condividere con appagata tranquillità il bello di quanto vissuto insieme. Niente altro.

Quel portico altro non è che la metafora di una gioia appagante e conquistata.

Grazie.

dav

1 commento

Piuttosto che…

Di questo passo, saranno gli omosessuali, piuttosto che i poveri, piuttosto che i neri, piuttosto che gli zingari, ad essere perseguitati

(G. Strada, al Tg3)

È come quando a Natale rivedi la vecchia zia che incontri solo nelle occasioni speciali. Ti accorgi subito di quanto è cambiata, più vecchia, più logorroica dell’anno prima. Il tempo trascorso in sua assenza ha congelato l’immagine passata che avevi di lei e, confrontandola con la nuova, sono subito evidenti i cambiamenti intercorsi.

Per me tornare al lavoro è stato così. Anche se non è trascorso molto tempo, ho notato subito chi era ingrassato o chi aveva perso chili. Mi sono accorto di quanto le rughe del tempo abbiano cambiato alcune espressioni, o di come i capelli più grigi abbiano invecchiato i colleghi.

Ma la cosa che più mi ha sconvolto è stato il proliferare in tutti i contesti, dalle riunioni alle email, dalle conversazioni informali alle presentazioni ufficiali, di un’espressione particolarmente indigesta. Sempre la stessa locuzione, abusata e snaturata, utilizzata in maniera impropria e dunque errata.

Ad ogni livello, ordine e grado spopola la perifrasi “piuttosto che…” con il significato di “oppure”. “Puoi usare tutto dell’ufficio: il computer piuttosto che il telefono, piuttosto che la stampante”; “potete tradurre in tutte le lingue: in inglese piuttosto che in francese, piuttosto che in tedesco”.

Chiariamoci. “Piuttosto che” significa “anziché”, non “oppure”. Indica una preferenza per un elemento rispetto a un altro, non una comparazione tra alternative equivalenti. “Preferisco andare in bicicletta piuttosto che usare l’automobile”; “scelgo l’ombrina al forno piuttosto che la pizza”. Invece viene sempre pronunciato per elencare alternative possibili ed equipollenti.

I linguisti meno intransigenti definiscono questo utilizzo “deprecabile”, mentre i puristi impallidiscono perché genera ambiguità, suggerendo ad un significato opposto a quello reale.

A volte è meglio stare zitti, piuttosto che parlare.

6 Commenti

Lele… Il vecchio nome familiare

Per me il Lele è soprattutto la bellezza di un ricordo solido ed indelebile. Questa poesia riassume perfettamente il mio pensiero.

La morte non è niente

La morte non è niente. Non conta.
Io me ne sono solo andato nella stanza accanto.
Non è successo nulla.
Tutto resta esattamente come era.
Io sono io e tu sei tu
e la vita passata che abbiamo vissuto così bene insieme è immutata, intatta.
Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora.
Chiamami con il vecchio nome familiare.
Parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.
Non cambiare tono di voce,
Non assumere un’aria solenne o triste.
Continua a ridere di quello che ci faceva ridere,
di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme.

Sorridi, pensa a me e prega per me.
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima.
Pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto.
È la stessa di prima,
C’è una continuità che non si spezza.
Cos’è questa morte se non un incidente insignificante?
Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri solo perché sono fuori dalla tua vista?
Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo.
Va tutto bene; nulla è perduto.
Un breve istante e tutto sarà come prima.
E come rideremo dei problemi della separazione quando ci incontreremo di nuovo!

Henry Scott Holland, Maggio 1910

Nessun commento

Ignoro, dunque esisto

“Tutto ciò di cui hai bisogno in questa vita è ignoranza e fiducia, poi il successo è assicurato”
(M. Twain)

Poiché la legionella è la malattia tipica dei legionari dell’Africa, Mariani, consigliere della Lega, chiede più controlli e accertamenti tra gli immigrati africani. Lo zittiscono subito in Consiglio Regionale, perché in realtà la legionella deve il suo nome all’epidemia che colpì un gruppo di veterani dell’American Legion riuniti in un albergo di Philadelphia nel 1976. Il batterio era annidato nell’impianto di condizionamento dove si era tenuta la convention.

Di Maio chiede al Governatore della Puglia cosa stia facendo per l’alluvione di Matera. Nulla, perché Matera si trova in Basilicata. Sempre Di Maio lancia un monito in tv sul rilancio di Taranto: “Qui manca un museo sulla Magna Grecia”. La direttrice del  MarTa lo smentisce immediatamente:  abbiamo uno dei musei archeologici più importanti al mondo.

La controfigura del Premier, Conte, parla dell’8 settembre come fosse il 25 aprile. La gaffe non è esplicita come le precedenti, ma basta aver fatto le elementari per rendersi conto che sta confondendo l’armistizio con la liberazione. Il 1943 con il 1945.

Non possiamo essere tutti tuttologi, è evidente. Non possiamo conoscere tutto, è palese. Però possiamo prepararci un po’ su quello che diremo o sui temi che saremo chiamati a discutere. Non mi sconvolge l’ignoranza di questa classe politica, ma piuttosto la sua approssimazione, la sua superficialità, la leggerezza con cui affronta le questioni. “Chissenefrega”, sembrano dire.

Che scelte può fare una politica che comunica solo con gli slogan, ma che ignora gli argomenti di cui dibatte? Che provvedimenti può prendere chi si rifiuta di studiare e disconosce le realtà che pretende di cambiare?

Nessun commento

Sangue austriaco

“Per noi, che ci troviamo sulla soglia di nuovi imperi, la vecchia Austria è come un fossile,

dai cui reperti ossei si può indovinare la struttura di un mondo d’altro genere:

un mondo che è alle spalle della modernità ma che forse ritroveremo ancora al di là di essa”

(E. Jünger)

Baù potrebbe derivare da una modificazione dialettale dell’aferesi di nomi germanici contenenti la radice bald modificata in baud. A Montemerlo, in provincia di Padova, in un atto del 1289 si legge che un certo “Nicola figlio del fu Oberto Baudus, del fu Naso di Cane, è teste in una controversia” e a Gallio, in provincia di Vicenza, un’ambasceria al Cardinale Gregorio Barbarigo del 1669 sentenzia “…Domenico e Bartolomeo Baù di Stocharedo, colonnelli di Gallio, zelosi della maggior gloria di Dio et propria salute…“.

Non c’è dubbio che Baù affondi le proprie radici nel Veneto. A me però hanno sempre raccontato che l’origine autentica del cognome giungesse dall’Austria. La leggenda che si tramanda in famiglia è che alcuni Bauer (lett. contadino) austriaci si fossero stanziati nella notte dei tempi sull’altopiano di Asiago. Nei secoli il nome venne troncato dall’accento: Bauer, Bau’, Baù.

Sarà per questo, ma ho sempre preferito l’Austria alla Germania. Nei paesaggi, nella cucina, nelle competizioni sportive.

Quest’estate siamo stati nell’austriaca Nauders, appena dopo il Passo Resia. Luogo calmo e tranquillo, lontano dalla frenesia estiva delle montagne italiane. Luogo paesaggisticamente affascinante, ricco di posti da vivere e anche da visitare. La fortezza Altfinstermünz sul fiume Inn, che fungeva da dogana tra Austria e Svizzera, il castello al centro del paese, i laghi Nero e Verde ed il cippo dei tre confini, il parco Goldwasser. Per non parlare della vicina Val Venosta col lago di Resia, l’abbazia di Monte Maria ed il parco Watles, il gioiello della piccola Glorenza. Bei posti.

In centro a Nauders si mangia ottimamente da Lowen. Almeno qua, hanno imparato anche loro a cucinare.

IMG_8808(1)

IMG_20180813_222248

IMG_8778(1)

Nessun commento

Impelagarsi al bar

Le osterie sono un bene universale

(Mons. E. Tonini)

Un’amica mi ha segnalato un articolo di Wittgenstein, che dibatte su come e perché stiamo volgendo all’azzeramento della ragione, sui motivi che spingono gli istinti animaleschi dell’egoismo a prevalere sulle regole della civiltà. Una riflessione sull’attuale deriva politica e sociale di cui siamo vittime più o meno consapevoli. Un articolo dal registro impegnativo e forse un po’ pesante, che parte da premesse lontane e retoriche, ma che tuttavia condivido appieno. Ma aldilà della sostanza globale, che potete leggere integralmente sotto, mi ha incuriosito la circostanza dell’incipit: “abbiamo ordinato da bere delle cose in un bar di Milano, vedendosi tra amici al ritorno delle vacanze, ci siamo impelagati in una riflessione universale sulla piega che stanno prendendo le cose”.

Situazione invidiabile quella di impelagarsi con gli amici al bar, in una riflessione universale sulla piega delle cose. Mi è capitato talvolta di provarci, ma è difficile. Occorre trovare amici che la pensino diversamente, che abbiano un punto di vista alternativo e che siano al contempo interessati, informati e animati da passione. Improbo anche mantenere queste discussioni sempre al di fuori della superficialità e della retorica. La politica più autentica e gustosa dovrebbe sedersi ai tavoli del bar, ma troppo spesso preferiamo parlare d’altro.

Il secolo dello spegnimento dei lumi

1 commento