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Andar per langa
(B. Fenoglio – Il Partigiano Johnny, frase riportata sul monumento dedicato alla Libera Repubblica di Alba)
“Andar per langa” significa camminare sulla cresta dei colli, perché in piemontese la langa è il monte, la collina. L’idea di una gita fuoriporta sui colli della langhe piemontesi è una valida alternativa alle ormai inflazionate Umbria e Toscana.
Il Piemonte però ha poco da spartire con l’Etruria, perché le colline qui hanno un’altra immagine, un altro sapore. Il Monviso vigila dall’alto i vigneti a perdita d’occhio. Impossibile non innamorarsi del Barolo, del Nebbiolo, del Barbaresco.
Un bell’itinerario è quello che tocca la città di Alba, i paesini di Barbaresco, Grenzane Cavour, Pollenzo, Gavone, La Morra… Ci si sposta in auto alla ricerca del crinale da cui ammirare il paesello vicino, per una foto o semplicemente per un attimo di rilassante tranquillità.
Siamo stati a cena al Boccondivino di Bra, dove nacque il movimento Slow Food. Ottima cena, con un brasato di vitello al barolo e la miglior panna cotta della mia vita.
Camminando altrove
(W. Scott – Ivanhoe)
La linea ferroviaria Torrebelvicino-Arsiero fu costruita nel 1885, per servire le industrie tessili vicentine della Valle dell’Astico. Il tratto finale Rocchette-Arsiero venne dismesso nel 1964 e negli ultimi anni la sede stradale è stata riconvertita in un bell’itinerario ciclopedonale. L’imbeccata me l’ha data il Gianluca.
La strada si snoda tra le campagne della valle e la gola dell’Astico. È gradevole passeggiare sotto il sole autunnale, tra gallerie gelide ed il ponte sul fiume, scrutando da lontano le montagne e i boschi colorati. Assolutamente bello, ma non metafisico. Ciò che davvero mi ha affascinato è l’edificio della Birreria Summano, dove abbiamo pranzato. Un casermone dagli intonaci sbiaditi che seduce col suo aspetto austero, tipico delle costruzioni asburgiche di quelle zone. Un’enorme scritta scolorita riporta l’anno di nascita: 1873. Non esiste alcuna leggenda legata a questo luogo, ma ciò nonostante, mi sorprendono l’aspetto sinistro, tipico delle case isolate ai piedi della montagna, e la sua impronta retrò. Ripenso a quel luogo dalla foggia misteriosamente affascinante e fantastica, immaginando a come poteva essere cento anni fa. Mi vengono in mente “i misteri di Alleghe”, lontani cento chilometri, e storie simili. Il bello delle gite fuori porta è anche questo: riportare a casa pensieri e sensazioni nati dai luoghi, percezioni da cullare. Almeno fino al prossimo viaggio.
Diez
Tutti i volumi, che fungono da guide turistiche, indicano nella loro terza pagina le cose irrinunciabili da fare durante una vacanza. Chiunque, leggendo una guida di Barcellona, può trovare le più gettonate. Io aggiungo le mie, più soggettive ma proprio per questo meno banali.
Se vi capita di andare a Barcellona, eccovi dieci cose da non dimenticare.
- Prendere la funivia che dal porto sale fino a Montjiuc, attraversando tutta la baia a 50 metri da terra.
- Fare running sulle salite di Montjiuc.
- Non cedere alla tentazione di bere una sangria sulla spiaggia. Resistere di fronte a questa icona, a metà tra il classico e il romantico, ed evitare di autocondannarsi a bere una brodaglia annacquata fatta di tavernello e arance di Ivrea.
- Ammazzarsi di tapas in qualche localino raccattato a caso. Due segnalazioni: il Sol Soler nel quartiere Gràcia, per un’esperienza più spartana; e il Taller de Tapas nella Ribera, un po’ più chic.
- Fare la “Barcelona Card”. Non tanto perché convenga il risparmio sull’uso dei trasporti pubblici, ma perché poi ti levi il pensiero e mentre cammini, se vedi passare un autobus, puoi prenderlo per due-tre fermate, ovunque vada. Si vive meglio, per me è il massimo della serenità.
- Ordinare una parillada al mercato della Boqueria. È una grigliata mista di pesce fumante, consumata nelle condizioni più infime. Io non ci sono riuscito, ma mi è rimasto il languorino…
- Salire sulle barche che fanno il giro del porto e accettare di farsi fotografare da quelli che poi, al momento di scendere, cercano di venderti la foto che ti hanno scattato. Il bello è farsi fotografare da loro e poi scattarsi altre mille foto da soli e all’uscita guardare il loro scatto e dire: “Lo siento, pero la mia es mejor”.
- Passare una mezzora a guardare gli imbecilli inglesi che si fanno fottere sulla Rambla dai giocatori delle “tre carte”.
- Fare attenzione agli italiani che hanno bisogno che qualcuno scatti loro la foto di gruppo, e autocandidarsi fingendosi spagnoli. Un napoletano mi ha chiesto “Can you a foto, por favor?”. Ho imbracciato la sua fotocamera ribattendo: “Claro que sì”.
- Rispondere alle cinesi, che in spiaggia ti chiedono ogni cinque minuti “Hello, massage?” con un roboante e maleducato: “Ma bastaaa, sbrèga balòc!”
Bavarese alla crema
(Ritornello di una canzone bavarese tipica, cantata alla Hofbräuhaus)
La Baviera è una meta a portata di mano. Quando uno non sa dove andare, dovrebbe farsi un giro in questa regione. La Germania non ha costi particolarmente alti, racchiude angoli molto affascinanti e storicamente attraenti, ed inoltre ci si può trovare anche del buon cibo.
Noi abbiamo deciso di raggiungere Norimberga e di scendere attraverso la nota Romantische Strasse. Un itinerario però un po’ personalizzato, tracciato leggendo qua e là le informazioni delle varie guide e disegnato anche sulla base delle reminiscenze legate ai viaggi passati.
Monaco. Il viaggio inizia dall’intramontabile capitale della Baviera. Città non particolarmente incantevole, ma bella da vivere e facile da raggiugere. La definirei “sempreverde”. Monaco racchiude per me tanti ricordi. Viaggi in stagioni diverse, con tante persone diverse. S’incomincia con una passeggiata tra le vie commerciali del centro, tra vetrine di abbigliamento improbabile e accostamenti tipicamente teutonici. Le migliori esposizioni sono quelle degli abiti da uomo, con le cravatte regimental sulle camicie a quadrettoni o i colori pastello abbinati e mescolati tra loro in maniera randomica. Si arriva presto nella Marienplatz, piena di gente e di colori, e dopo qualche foto ci rechiamo all’interno del Rathaus, da dove Goebbels pronunciò il celebre discorso che diede il via alla notte dei cristalli. Saliamo sulla torre meridionale della Frauenkirche. Immancabile la sosta alla birreria Hofbräuhaus. Tra le assi consunte di quei tavoli riporto alla mente le stagioni dei vari viaggi. Prima col Gian e col Tui, gli anni dopo con l’Andrea, il Cugi e poi anche col Paio. Mi è impossibile dimenticare le bellissime soste col Lele.
Ceniamo alla Sneider, a mio avviso uno dei posti migliori, poco fuori la porta orientale della città.
Norimberga. È certamente una delle città più pittoresche che abbia mai visto. Non la ricordavo così bella. Il fiume Pegnitz la taglia in due, creando stupendi isolotti concatenati da ponti e passerelle. Dall’alto domina la fortezza Kaiserburg, con gli scuri rossi e bianchi e l’ordinato cortile lastricato; ai suoi piedi si trova una piazzetta da cartolina dove non si può non fermarsi. Qui ho ritrovato la birra artigianale da asporto che conobbi per la prima volta nel lontanissimo ’93! Poi la celeberrima piazza del mercato e le varie chiese. Una città sorprendentemente piacevole, da scoprire girovagando e lasciandosi guidare dal caso.
Alle porte di Norimberga si può visitare il Reichsparteitagsglände, il complesso delle adunate naziste: uno stadio con imponenti tribune per le parate militari e una specie di colosseo per i congressi del partito.
Va detto che i migliori bratwurst, la specialità di Norimberga, si possono indiscutibilmente trovare nel locale di fronte al Rathaus, mentre per una buona cena si può andare ai piedi del castello, al Burgwächter. A pochi chilometri da Norimberga abbiamo visitato il centro di Fürth, la più piccola città al mondo dotata di metropolitana.
Rothenburg ob der Tauber. Cittadina incantevole, con tortuose strade acciottolate, racchiusa in una cinta muraria tonda ed interamente percorribile sui camminamenti di guardia. L’immancabile torre regala la veduta dall’alto sulla piazza centrale. Irrinunciabile.
Dinkelsbühl. Diciotto torri e tantissime case a graticcio dalle tinte pastello, ma il paesino sorprende soprattutto per il silenzio e l’ordine del suo centro. Anche qui la torre di Saint Georg permette di fotografare la piazza da una prospettiva diversa.
Nördlingen. Il paese sorge all’interno di un cratere creato dalla caduta di un meteorite. Ancora una volta la cinta muraria racchiude tutto il centro storico. Sulla Torre Daniel che signoreggia sulla piazza, ci vive tutto l’anno un guardiano. Salendo, penso che non sarebbe poi così male vivere isolati a 90 mt da terra.
Harburg. È una specie di Borghetto in salsa bavarese, con due ponti sul fiume e un isolotto che ospita alcune gradevoli casette. Si visita in dieci minuti. Il pugno di case è sovrastato da un bel castello.
Donauwörth. Il più mediocre. Solo una strada con facciate pastello e un piccolo ponte alla confluenza tra Danubio e Wörnitz. Lo dimenticheremo alla svelta. Trascurabile.
Ausburgo. Città un po’ scarna, che mi ha in parte deluso. Paga i pesanti bombardamenti della seconda guerra mondiale, che ne hanno disintegrato la spina dorsale. Una bella piazza sulla quale si affacciano il municipio e la torre Perlachtum. La cosa più bella è il mercato Stadtmarkt dove bancarelle e chioschi si susseguono senza interruzione. Ottimo il ristorante Bauerntanz nel quartiere più tipico, il Lechviertel.
Friedberg. Semplice paesotto con castello, tranquillamente tralasciabile. Si mangia un buon cervo con canederli nel ristorante della piazza centrale, che è praticamente l’unico.
Landsberg am Lech. Bellissima località sulle rapide del fiume. I vicoli collegano la bella piazza alla rive del Lech, mentre dalla parte opposta si estendono freschi prati e giardini. È un piacere passeggiarci e merita certamente una sosta.
Steingaden. C’è solo un’imponente chiesa, la Wieskirche che a noi è parsa uguale a duomo di Revere. Delebile.
Füssen. La conoscono tutti. Bella, ma troppo turistica. A me non piace gran che.
La Romantische Strasse non è un luogo trascendentale. I piccoli paesi sono deliziosi, ma mai irresistibili. Per capirci: se ci fosse una “strada romantica” che collega Solferino, Volta e Monzambano potrebbe essere sicuramente più pregevole. Il fatto è che in Baviera i villaggi sono sempre bene manutenuti, puliti e ottimamente serviti. Da noi un’amministrazione che fa una ciclabile in cinque anni di legislatura, sembra che compia un’impresa titanica; in Germania ogni strada provinciale è affiancata da una ciclabile, per non parlare delle reti di piste che attraversano tutte le città e i paesi. Sta qui la marcia in più dei tedeschi: nel conservare e nel promuovere al meglio i propri luoghi e le proprie risorse.
Sardinia ferie
La Sardegna è sempre la Sardegna, c’è poco da fare. Probabilmente le spiagge ed il mare più belli d’Italia. Personalmente non ho mai trovato eguali.
“La vita in Sardegna è forse la migliore che un uomo possa augurarsi: ventiquattromila chilometri di foreste, di campagne, di coste immerse in un mare miracoloso dovrebbero coincidere con quello che io consiglierei al buon Dio di regalarci come Paradiso”, diceva al proposito De Andrè.
Sorprende che tra una città e l’altra, tra una spiaggia e l’altra, tra un paese ed un piccolo borgo successivo, non esista assolutamente nulla. Chilometri di niente, di macchia mediterranea, di muretti a secco e di tanta aridità.
Ecco le dieci cose che ricorderò di questa breve vacanza:
– L’ospitalità e la disponibilità di Francesca e di Daniele, che ci hanno accolto all’aeroporto, alloggiato in casa e scarrozzato in giro. Qualcun altro più titolato avrebbe detto: “…Avevo fame, e voi mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato dell’acqua, ero straniero e mi avete ospitato nella vostra casa…”.
– L’affollamento sulla spiaggia di Stintino, equiparabile alla densità dell’India.
– Le onde di Argentiera, ingovernabili anche a pochi passi dalla spiaggia.
– La mia scarpetta sinistra per gli scogli, smarrita cenerentolescamente proprio tra quelle onde violente.
– La deludente Sassari.
– Le mie favolose linguine alle vongole, cucinate per la prima volta e riuscitissime…
– L’irrinunciabile Peroni ghiacciata post spiaggia.
– Il carnevale di Bosa, il 6 agosto.
– Il cappellino “Armata di Mare” prestatomi già il primo giorno, con il quale entravo autorevolmente sulle spiagge (peraltro nella totale indifferenza degli astanti).
– La canzone di Vangelis, Theme from missing (quella triste di Mai dire Gol, che celebrava l’addio dei calciatori dal campionato), apparsa sinistramente alla radio la notte che ci siamo persi in auto nelle stradine montane dell’entroterra.
Five lands
Lo dicono tutte le guide: il miglior modo per visitare le Cinque Terre è il treno, oppure il battello. Noi siamo partiti in auto.
I cinque paesini colorati, appesi agli scogli e nascosti tra le insenature, sono raggiungibili anche dai tanti sentieri che scendono dal crinale. Crudezza montana, fascino marino. Sembra un po’ di essere tra le viuzze in riva al Garda, ma appena si esce dai centri abitati ci si accorge che l’ambiente è tutt’altro. Salite e discese, scalinate lunghissime, terrazzamenti ad ogni altitudine. La Liguria, e le Cinque Terre, sono essenzialmente questo: verticalità su ogni versante.
Vernazza, Manarola, Monterosso, Corniglia e Riomaggiore, in rigoroso ordine di bellezza, sono riusciti a conservare un ottimo equilibrio urbano. Gli scempi edili, che in genere affondano le periferie dei centri storici, qui non esistono. Qualche terrazzone abnorme s’affaccia sul porticciolo, ma poco più. In generale i piccoli centri sono rimasti se stessi.
Vale la pena imboccare i sentieri aspri e anche gettarsi tra le acque del mare cobalto. Fatica della salita, ozio del bagno. Ma da queste parti è soprattutto doveroso gustarsi del buon pesce, perdendo lo sguardo nel mare e assaporando un Vermentino dei Colli di Luni a temperatura artica. Consiglio il ristorante Marina Piccola, direttamente sul porticciolo di Manarola.
Volere volare
Butto un occhio al monitor dei voli in partenza. Il volo per Verona è puntuale, come sempre quando si vola con AirItaly. Come al solito non c’è coda al desk 206. Tutto normale. Mentre sbrigo la pratica “biglietto”, l’operatrice* mi avverte: “abbiamo una novità: oggi non assegnamo i posti, ma ci si siede dove si vuole”. Chiedo se l’aereo è pieno e se l’abolizione del posto assegnato è definitiva. “Il volo è completo – risponde – e per oggi facciamo così, per i voli futuri… vedremo. Buona fortuna”. Il tono è quello della Pizia, che risponde solenne alle domande esistenziali dei passeggeri, o quello del Dio del cielo, che decide della sorte di ogni volo, della vita e della morte di ognuno, a seconda di come gli tira in quel momento.
Trascorro la mezzora d’attesa a rispolverare le tecniche di occupazione del miglior posto, già collaudate con i voli Ryanair. 1- salire sul primo bus disponibile; 2- collocarsi in piedi, vicino alle porte d’uscita del bus; 3- avvicinarsi alla porta più più vicina alla scala, non appena s’individua l’aeromobile all’orizzonte; 4- scattare veloci, per raggiungere per primi la scaletta. Così accade, ma la vera sorpresa è che l’aereo è sconosciuto: Aurela, recita l’enorme scritta rossa sulla carlinga inevitabilmente bianca. Scorpirò solo a casa, che si tratta di una compagnia lituana. A bordo scelgo il posto che preferisco: finestrino a destra, per dormire appoggiando la testa di lato, senza il rischio di bollire per il sole che tramonta (a sinistra). L’importante è non avere persone dietro, in modo da reclinare lo schienale senza remore morali. Il volo, contrariamente a quanto dichiaratomi, è praticamente vuoto. Il personale di bordo è misto: stewart della AirItaly, con l’inquietante divisa da camerieri di fast food, e hostess dell’Aurela. Chiedo ad una di queste se posso usare il portatile (in genere non lo uso mai) e mi risponde in inglese che devo metterlo sotto il sedile. Con il mio di inglese, eccessivamente claudicante, le spiego che non cerco un posto dove riporlo, ma vorrei accenderlo. “Non in fase di discesa” sentenzia lei; o più che altro questo è quello che capisco io. Ha una tailleur marrone, che più brutto non si può. Non sarebbe nemmeno pessima, ma vestita così la par me nòna. E poi è simpatica come Mourino e Cicchitto mesi insieme.
Si aprono le porte. Faccio per scendere dietro, dove oltre allo sportello aperto c’è già la scaletta. “Only in front!” mi urla la befana. Mi giro e seguo, da ultimo, la fila che scende dalla porta anteriore. Com’è dura volare.
* La scelta del banco check in la faccio secondo queste priorità: 1- banco con meno fila; 2- presenza di un’operatrice donna rispetto ad un uomo; – 3 operatrice più carina.
La città in palio, tra Spizzico e Bocconi
Siena è sempre affascinante. Un paradigma di toscanità. Quelli come me, che non hanno studiato alla Bocconi e che di arte, di urbanistica e di storia ne sanno poco, vedono in Siena l’esempio più classico e più limpido di città medievale. Il colore caldo degli edifici e dei tetti crea un’impressionante armonia tra i viottoli che convergono nel capolavoro di Piazza del Campo. Questo giro abbiamo trovato un tempo incerto… ma pazienza. Mi rimane l’acquolina di viverla nei giorni del palio, circostanza che ho sempre sognato e sempre disatteso. Da consigliare, oltre all’immancabile ristorante (in questo caso: Mugolone, sebbene un po’ caro), anche una capatina ai vicini Pienza e Montepulciano.
È inutile soffermarsi a descrivere le bellezze di Siena. Mi sono invece venuti in mente cinque motivi per cui non consiglierei nemmeno al mio peggior nemico di venire in vacanza con me ed altri cinque per cui è divertente accompagnarmi. In generale, s’intende.
Cinque motivi “out”
– Passare un intero pomeriggio a cercare il ristorante per la serata può risultare estenuante. Da una parte all’altra della città, ignorando i percorsi artistici classici e sfogliando contemporaneamente diciotto guide enogastronomiche e tutti i menù esposti all’uscio dei ristoranti. Che palle!
– Sono difficile sul cibo. Di fronte a McDonald’s o Spizzico scateno uno sciopero della fame lievemente polemico.
– Attendere che scatto una foto ogni cinque minuti è bello le prime due volte… poi non si sopporta. Mezzora per ogni inquadratura e autoscatto. E per cosa poi? In genere il 99% delle foto è da buttare. Uff!
– Se c’è qualcosa che non mi soddisfa, divento insopportabilmente ansioso. Appena entro in una chiesa, se vedo che non mi piace esco. Può esserci anche l’autoritratto dei Santi Cirillo&Metodio, ma io giro i tacchi e cambio aria velocemente.
– L’ordine (esteriore) della mia camera e la mia pignoleria patrizia farebbero imbizzarrire anche Mother Teresa.
Cinque motivi “in”.
– Per restare in tema: con me difficilmente si mangia male. Mhh!
– Oltre ad un discreto senso dell’orientamento, ho un eccellente culo nel parcheggio. Ne deriva che quasi sempre trovo posto alle porte dei centri storici, senza pagare e senza multe.
– Vedermi entrare in un bar mentre chiedo (a Siena): “du haffè, per piascere” fa abbastanza ridere.
– Dev’essere spassoso fare un lungo viaggio in macchina mentre imito a squarciagola Al Bano e Ornella Vanoni.
– In fondo quando viaggio un po’ di balìa ce l’ho.
Reportage dal Portogallo
Il Portogallo, relegato ai limiti estremi del continente, mostra in ogni suo angolo il distacco dall’Europa più evoluta ed emancipata. Terra di confine, nello spazio esiliato, ma anche nel tempo distante. Decadente e vecchio, ci tiene a mostrare i segni di un tempo per noi lontano, dove gli uomini non correvano dietro la tecnologia, limitandosi a vivere le sfumature di giornate più lunghe, e forse più laboriose. La campagna, spesso incolta, lascia posto solo ai piccoli villaggi. Le grandi città, davvero poche, sono sventagliate dal vento del mare e dal decadentismo di chi attende un futuro che non arriva mai da solo: case fatiscenti, appoggiate l’una all’altra nel tentativo di sostenersi a vicenda. Ma fino a quando?
Il mare dell’Algarve è invece un soffio passionale, un impeto entusiasmante, un abbraccio aperto al nuovo mondo, al sole che non tramonta mai, al vento che scompiglia i capelli e le idee. Abbiamo visitato le città partendo dal nord, da Porto, e siamo scesi fino al lembo estremo dell’Europa, dove il mare aggressivo incontra il vecchio continente.
Porto, appollaiata sulla foce dell’immenso Douro, restituisce alcune pittoresche istantanee delle casupole in riva al fiume e poco altro. Vicoli sporchi, miriadi di abitazioni decrepite e pericolanti che suggeriscono un fascino sinistro. Delude il giro al Mercato di Bolhao: solo merce ammassata e qualche cattivo odore… nulla di folcloristico. Il parco del Romanticismo e i 75 metri della torre Dos Clerigos meritano una breve sosta. Le bellezze vere stanno nella Cattedrale del XII secolo, nella particolarità della stazione, nel quartiere di Ribeira, nella luminosità di una passeggiata notturna sul Ponte Dom Luis. Un giro in barca sul fiume mostra la città da una prospettiva diversa, ma ancora poco intrigante. Visitiamo anche le storiche cantine del vino liquoroso che prende il nome proprio dal centro urbano. Affascinano le botti stipate, l’arredamento da epopea coloniale e l’assaggio guidato. Città disordinata e confusionaria, ma alla fine ci si appassiona a tutto e Porto finisce quasi per piacere. Nella città alta va segnalato il ristorante Antunes, tra i migliori che abbiamo visitato.
Il viaggio verso sud prosegue passando per Coimbra. Sul crinale, alla destra del Mondego, ospita una delle università più antiche d’Europa: “anno 1290” recitano lapidi e pubblicazioni d’ogni sorta. Proprio l’università è l’elemento più tipico ed importante di Coimbra: fa venir voglia di riprendere i libri in mano. Strade strette e ripide, spesso acciottolate, conducono a chiese sorprendentemente massicce. La cattedrale, unanimemente riconosciuta tra le più belle del Portogallo, sembra una fortezza. Accanto a tutto questo, molta disarmonia nelle forme urbanistiche ed il paragone con l’Andalucia rischia di essere impietoso.
La capitale Olisippo, cioè Lisbona, è un caos stradale senza eguali. Le guide sconsigliano categoricamente di entrarci in auto, ma noi facciamo di testa nostra (…mia): per un paio d’ore vaghiamo tra code, vicoli ciechi e rampe da brivido, senza possibilità di parcheggiare, né cartelli stradali da consultare. Ad uno ad uno visitiamo tutti i quartieri, rigorosamente a piedi. Ecco la massone Baixa, il monastero e la torre di Belem, i vicoli del Chiado, la Madragoa, la Graça. Il più bello, sotto al vasto castello, è il quartiere dell’Alfama, con il suo trabusto di tram elettrici che si arrampicano nei saliscendi, tra mirador bellissimi e viuzze come budelli. È qua che è bello perdersi e lasciarsi condurre dall’istinto, rincorrendo una scalinata che scende o semplicemente cercando la foto più bella da scattare. Su ogni scorcio irrompe da lontano l’immagine del Tago, dalla foce quasi sterminata. La serata deve accendersi e spegnersi nel Bairro Alto, che di notte si trasforma in un reticolo di localini e giovani in cerca di divertimento. Qui consigliamo il ristorante Bota Alta, semplicemente splendido.
Tra le varie località marittime, abbiamo scovato un posto fuori dal mondo. Senza un motivo, armati solo dalla fantasia suscitata da un’immagine di internet, ci dirigiamo ad Odeceixe. La spiaggia, popolata unicamente da surfisti, è raccolta da due alte falesie scure. Scogliere a picco, che dall’alto fanno innamorare. Il paesaggio è meraviglioso ed unico, una baia da sogno. Una manciata di case bianche abbarbicate sulla collina mi spinge ad annotare un appunto strampalato sul diario di bordo: “inserire Odeceixe nei posti in cui vorresti vivere”. Qua il mare è freddo ed impetuoso. Le onde altissime impediscono di fare un bagno rilassante. Ma è la natura che irrompe, l’oceano che urla, il soprannaturale che si fa naturale. Comincia qui la vera vacanza.
Nella costa sud dell’Algarve ci sono posti suggestivi come Ponte da Piedade (dove non si fa il bagno), Praia Dona Ana, Cabo sao Vicente (estremità ovest del continente) o la spiaggia di Beliche, probabilmente la più bella in cui siamo stati.
Dopo un soggiorno al sole, risaliamo il Portogallo nell’ottica del ritorno. Una sosta ed una passeggiata al piacevole castello di Ourem, prima di arrivare nella città templare di Tomar. Un castello-monastero strepitoso. Affascinante, austero, misterioso e dunque intrigante. Si risveglia la mia passione storica, l’inclinazione al fascino dell’arcano. Secoli di templari, di segreti, di delitti… Il simbolismo degli elementi architettonici è fin troppo evidente e suscita anche un po’ di timore. È una sensazione impressionante. La singolare pensao Uniao completa il quadro di una giornata indimenticabile. Mattinata a Fatima, per soddisfare la curiosità. Il caotico e ormai solito fanatismo religioso rende questo luogo insopportabile.
L’ultima serata la trascorriamo a Braga, a pochi chilometri dall’aeroporto di Porto. Ottimo punto d’appoggio, ma centro storico di scarso valore.
Conserverò un buon ricordo del Portogallo, soprattutto del suo oceano e delle sue spiagge. Un territorio aspro, nelle campagne come nel mare. Rimango deluso dalle città, dipinte troppo spesso come mete irrinunciabili e folcloristiche e rivelatisi invece inconcludenti assemblaggi di fatiscenti decadenze.
Doppiamente Marche
“Così benedetta da Dio di bellezza, di varietà, di libertà, tra questo digradare di monti che difendono, tra questo distendersi di mari che abbracciano, tra questo sorgere di colli che salutano, tra questa apertura di valli che sorridono…”
(G. Carducci – …a proposito della regione marchigiana, nel discorso per il centenario della nascita di Leopardi)
Delle Marche sorprendono essenzialmente due cose.
Innanzitutto l’armonia dell’entroterra contrapposta all’aggressività del litorale marino del Conero. Le colline sinuose e pacifiche trasmettono all’anima un piacevole dondolio, che il verde rigoglioso dei prati rende rilassante e distensivo. È proprio guardando queste colline che la tranquillità prende il sopravvento. Il silenzio dell’uomo, i suoni del vento, e della natura in generale, rendono l’ambiente estremamente riposante. Ma poi basta ammirare il mare dalla terrazza di Sirolo, nei pressi di Loreto, per cogliere anche il volto irruente di questa regione, in costante antitesi tra la sua placidità interiore e la scorza delle scogliere a picco, battute dal vento.
In secundis, il visitatore più attento si spinge quasi subito al paragone con la vicina Toscana. Impietoso forse. Perché le Marche sembrano eternamente incompiute, perennemente all’inseguimento. Borghi potenzialmente strepitosi, che spesso si ritrovano malamente restaurati o semplicemente trascurati. Piazzette incantevoli, dove qualsiasi mezzo di trasporto può entrare e dove chiunque parcheggia. Agriturismi incastonati come eremi sui dorsi delle magnifiche colline, rimodernati con piccoli abusivismi edilizi o arrangiati qua e là con imbarazzanti minestroni di stili. Manca insomma il passo ultimo, un quid culturale, che promuova le Marche in funzione della tutela del territorio, del rispetto dell’ambiente, della salvaguardia storico-culturale. Attendiamo.