Archive for category Varie

Il lavoro mobilita l’uomo

Sono le 21 quando scendo le scale dell’ufficio. I gradini sono bui ed il silenzio avvolge i corridoi con un velo di inverosimile abbandono. Fuori, nella zona industriale pressoché deserta, il traffico dei lavoratori lascia il posto alla frescura umida del dopocena.

Per me non è una serata insolita, ma piuttosto una circostanza fantastica, lontana dalle ipotesi e dai progetti.

Il lavoro, spinto a questi eccessi non nobilita affatto l’uomo. Non lo eleva, atterrandolo pesantemente. Non gli conferisce alcuna virtù, alcun valore aggiunto.

Non sono rimasto davanti al terminale per amor di carriera. Perché in un’azienda dove ogni scala ascensionale è chiusa, sarebbe assurdo perdere questo tempo. Non mi sono intrattenuto con i colleghi per mire danarose. Il monte di ore straordinarie che sto accumulando in questo periodo mi ha fatto salire all’aliquota irpef di Briatore… insomma il gioco non vale affatto la candela.

Per spirito di responsabilità, forse. Per una questione di serietà, magari di coscienza.

Ci diamo tanto da fare, ci lasciamo spingere, muovere fino allo spasimo… ma a quale fine?

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Dopo un anno

Caro amico ti scrivo, così mi distraggo un po’
e siccome sei molto lontano, più forte ti scriverò.
Da quando sei partito, c’è una grossa novità:
l’anno vecchio è finito ormai, ma qualcosa ancora qui non va.

(L. Dalla – L’anno che verrà)

Un anno. È difficile immaginare che due amici affiatati possano restare separati per un intero anno. È difficile rappresentarli distanti per tanto tempo, senza che possano vedersi o sentirsi, senza che riescano a parlarsi o almeno a scriversi.
Se questo accadesse, cioè se potessi rivederti dopo un lungo anno, rincontrandoti ti chiederei innanzitutto che razza di fine hai fatto. Conoscendomi, ancor prima di rivolgerti il saluto, mi scaglierei polemico contro di te, ti attaccherei chiedendoti come hai potuto permetterti di partire senza avvisare, senza spiegare, senza salutare. Quale viaggio può mai giustificare il silenzio nei confronti dell’amico che resta? Anche il viaggio più strano, o il più corto, contempla dentro di sé un momento di congedo da chi resta. Semplicemente perché per arrivare da qualche parte, occorre partire da qualcosa o da qualcuno.
Litigheremmo probabilmente. Orgogliosi e permalosi, entrambi scaglieremmo le nostre insicure scuri contro lo sterno fragile dell’altro. Vicendevolmente ci percuoteremmo a suon di voraci ironie, spietatamente, consapevoli che la parola ferisce molto di più di qualsiasi gesto, anche del più eclatante.
Poi, meditando e rimuginando, accantonerei l’ira e la collera e come sempre farei il primo passo. Sarei curioso, ti chiederei dove sei stato, che cosa hai visto, che cosa hai fatto. Certamente per te, che viaggiavi poco, sarebbe un insopportabile interrogatorio. Ma racconteresti, ne sono certo, con l’aria stanca di chi ha continuato nell’abitudine di sempre, orgogliosamente attento a narrarmi i momenti salienti, evitando gli insolenti ed inutili dettagli, che fanno d’ogni racconto una noiosa litania.
Torneremmo a parlare di ristoranti e soprattutto di grandi vini rossi. Nell’eterno dibattito se un cabernet barricato possa mai raggiungere i livelli del Tancredi siciliano, forse arriveresti a darmi una risposta. Mi piacerebbe tanto sapere se mentre eri via hai ascoltato l’ultimo disco di Van De Sfross; certamente mi stupiresti. Ricordando qualcuna delle sue splendide frasi dibatteremmo a lungo sul significato da dare a quelle metafore: semplice saggezza popolare o filosofia di vita, tangibile nel quotidiano?
Vorrei chiederti dove hai festeggiato l’ultimo compleanno, dove hai seguito la finale di Champion’s e perché al sabato sera hai smesso di uscire con noi.
Dopo un anno, invece, sono costretto a rimandare ogni domanda. Nell’assurda speranza di riuscire un giorno a trovare delle risposte.

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Occhio alla pompa

So di scoprire l’acqua calda. So bene che molti di voi sono arrivati da anni alle conclusioni che incontrano oggi la mia tardiva sorpresa. Come so bene che molti altri resteranno indifferenti alle mie annotazioni, ritenendo il consiglio banale o scarsamente utile.
Solo da qualche mese ho iniziato a guardare con spirito critico i prezzi dei distributori. Fino a poche settimane fa mi bastava utilizzare il self service, dove il rifornimento in genere costa meno, ed affidarmi alla compagnia che restituisce i “punti” in contante, in luogo degli usuali bollini pro borsone cancerogeno, ombrello multiplastic o cappellino da Topo Gigio.
Mi sono invece accorto che in molti casi le differenze tra un distributore e l’altro sono piuttosto consistenti. All’interno della stessa compagnia (ad esempio tra un distributore Agip di Valeggio ed uno di Goito) si arrivano a risparmiare anche più di 5 centesimi per ogni litro di gasolio. Per un rifornimento di 50 litri ci possono dunque essere differenze di 2,5 – 2,7 €. Ipotizzando di fare circa 750 km con 50 litri di gasolio, per una percorrenza di 30000 km annui, si arriverebbe ad un risparmio superiore ai 100 €. Non è pochissimo.

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Problemi tecnici

Nei prossimi giorni il blog resterà fermo. Ostacoli tecnici mi impediscono di scrivere. Il pc se ne è colpevolmente andato a meretrici, ergo per un po’ non potrò aggiornare questo spazio.
Si tratta solo di una sosta forzata e temporanea. Non abbandonate il Giullare. Presto ritornerò.

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MP&MP, matrimonio dell’anno

Il matrimonio degli MP merita certamente un plauso ad populum*, cioè pubblico, perché la qualità delle loro scelte, che ha trovato nella bellezza della giornata una sublimazione senza eguali, deve essere riconosciuta apertamente ed ufficialmente. Si è trattato forse del matrimonio qualitativamente migliore al quale abbia partecipato. È vero, col passare degli anni si dimenticano molti dettagli e circostanze, e si arriva al punto di ritenere che la bella esperienza appena trascorsa sia sempre quella più intensa mai vissuta. Però “a sensazione” non ricordo matrimoni con questa perfezione nella cura dei particolari.
Ecco i motivi per cui questo matrimonio resterà piacevolmente nei miei ricordi.
– La mia nuova macchina fotografica ha fatto delle foto buone. Era un test d’ammissione e lo ha passato. Ci tengo molto a cullare i ricordi attraverso le immagini: grazie a lei, potrò farlo con gioia.
– La sobrietà della cerimonia. Poi le parole lette a voce tremante dal mp hanno commosso anche i cuori più algidi.
– Il ruolo di coiffeur delle debuttanti mi ha spinto a lavare la macchina. Per quest’anno è a posto.
– Pochi invitati, ma buoni. L’idea di far parte dei pochi fa davvero piacere.
– Buffet di benvenuto: sto ancora pensando al pesce spada avvolto attorno al cappero e fritto seduta stante. Impareggiabile.
– Sono rimasto estasiato dalla qualità del vino scelto. E quando ho visto quello champagne, che già conoscevo, mi si sono illuminati gli occhi. Voto dieci.
– Altra scelta vincente è stata quella della degustazione formaggi nella dependance della villa. Mai visto un assortimento simile. Da restarci giorni interi, fino al punto di far prendere la cittadinanza al colesterolo.
– Ricorderò con orgoglio la mia vittoria al gioco delle canzoni, che ha portato un punto alla squadra della mp. I bagordi della serata mi hanno tuttavia suscitato un inquietante dubbio: ma alla fine poi, chi ha vinto?

* si tratta di un’espressione che ho imparato dal mio preside. All’epoca tuttavia, egli non si rivolgeva a noi per offrirci il suo plauso, ma per invitarci a presentare delle scuse ad populum, scuse pubbliche rivolte a tutta scuola per i misfatti di cui eravamo autori.

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Domenica bestiale

Domenica ti porterò sul lago
vedrai sarà più dolce dirsi ti amo
faremo un giro in barca
possiamo anche pescare
e fingere di essere sul mare.

Sapessi amore mio come mi piace
partire quando Milano dorme ancora
vederla sonnecchiare
e accorgermi che è bella
prima che cominci a correre e ad urlare.

Che domenica bestiale
la domenica con te
ogni tanto mangio un fiore
lo confondo col tuo amore
com’è bella la natura
e com’è bello il tuo cuore.

Che meraviglia stare sotto il sole
sentirsi come un bimbo ad una gita
hai voglia di giocare,
che belli i tuoi complimenti
è strano, non ho più voglia di pescare.

Amore mio che fame spaventosa
dev’essere quest’aria innaturale
è bello parlare d’amore
tra un fritto e un’insalata
e dirti che fortuna averti incontrata.

Che domenica bestiale
la domenica con te
ogni tanto mangio un fiore
lo confondo col tuo amore
com’è bella la natura
com’è bello il tuo cuore.

(Una domenica bestiale – F. Concato)

Ho provato una profonda tristezza ieri, nel vedere code infinite di auto raggiungere a passo lento il centro commerciale di Desenzano. In una bellissima domenica primaverile, mentre raggiungevo la pittoresca Salò, sono rimasto traumatizzato di fronte a centinaia di cappotte luminescenti che riflettevano il caldo sole di marzo, parcheggiate strette strette di fianco a file di carrelli, o a vetrine colorate. Auto di fidanzati che hanno scelto un modo barbaro di trascorrere una domenica. Auto di famiglie che hanno perso una buona occasione per mostrare ai figli una parte di mondo.
Avverso profondamente questi luoghi angusti e frastornanti anche in circostanze normali, ma l’idea di trascorrerci una domenica mi fa rabbrividire. Meglio barricarsi in casa e godersi il piacere del sonno.

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Il genio di Cochi e Renato

Amami, amami, stringimi, sgonfiami
e amami, sdentami, stracciami, applicami
e dopo stringimi, dammi l’ebrezza dei tendini
prendimi, con le tue labbra accarezzami.
Rino, non riconosco gli aneddoti
e schiodami, spostami tutte le efelidi
aprimi, picchiami solo negli angoli,
brivido, no non distinguo più i datteri.
Silvano e non valevo le ciccioli
Silvano mi hai lasciato sporcandomi
e la gira la gira la röta la gira
e la gira la gira la röta la gira
e la storia del nostro impossibile amore continua…
anche senza di te.
E amami, amami, stringimi, sgonfiami
e allora amami, sdentami, stracciami, applicami
e stringimi, dammi l’ebbrezza dei tendini
prendimi, con le tue labbra fracassami.
Rino, sfodera scuse plausibili,
girati, scaccia il bisogno del passero,
lurido, soffiati il naso col pettine,
Everest, sei la mia vetta incredibile.
Silvano, e non valevo le ciccioli
Silvano mi hai lasciato sporcandomi
e la gira la gira la röta la gira
e la gira la gira la röta la gira
e la storia del nostro impossibile amore
continua anche senza di te

(Silvano – E. Jannacci)

Per pagare un pegno natalizio, ieri Gianluca mi ha portato a vedere uno spettacolo di Cochi & Renato a Marmirolo.
Conservo ancora con fierezza i postumi di una profonda ubriacatura di umorismo ed ironia. Immensi, irresistibili, insuperabili. Lui, Renato, ridicolo anche quando fa il serioso, con una faccia e un portamento che sono un’assicurazione sulla vita… per la sua comicità: se rimanesse zitto e immobile, rideremmo lo stesso. L’altro, Cochi, dotato di un voce e una dizione sconosciuti alla maggior parte dei suoi colleghi, capace di monologhi e canzoni partoriti con l’arte del vero attore teatrale. Nel corso del tempo ho imparato ad apprezzare maggiormente proprio quest’ultimo. Resto estasiato dalle sue doti canore, dalla sua recitazione e dalla sua visone globale sulla scena. A distanza appare lampante che è lui a trascinare il duo: Renato appoggia la voce alle movenze vocali del partner, si lascia guidare nei passi, nel dialoghi e nelle canzoni. Ed insieme si completano e si valorizzano vicendevolmente, fornendosi reciprocamente la spalla e non rubandosi mai la scena. Perfetti.
Quando, come accade me, si arriva a conoscere a memoria ogni loro canzone, a ripetere mentalmente ogni gag ed ogni battuta, allora l’estasi della risata apre lo spazio anche a qualche riflessione più approfondita. Pensavo oggi al loro ruolo nella tradizione della grande scuola comica milanese. Sono stati, e sono, due dei più grandi interpreti di un filone comico spesso sottovalutato e declassato. La corrente dei Gaber e degli Janacci per intenderci. Parolieri e musichieri di razza, troppo spesso ignorati, eternamente incompresi.
Ho aperto con la canzone “Silvano”, proprio per mostrare l’esemplarità della sua complessità. Significati reconditi e precise scelte dialettiche celati solo in apparenza da demenziali “no sense”. Potremmo giudicarla idiota e senza significato oppure parlarne per ore intere. Sta proprio in questo la loro genialità.

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Quaresima, tra finte rinunce e sfide personali

Ho sempre letto le rinunce della Quaresima non tanto come sudati dettami religiosi da seguire, quanto piuttosto come una patrimonio di tradizioni da preservare. Costumi culturali che raccontano la nostra storia, con lo stesso valore della ricetta dei capunsèi o dei proverbi del nonno.
Ricordo, da piccolo, una disquisizione filosofica con mia madre. Strenua sostenitrice del “mangiar di magro”, fu messa in crisi dal giovane figlio che le poneva l’insidioso quesito “se fosse meglio un’abbuffata di aragosta che un tocco di pane raffermo insaporito da una fetta di salame?”.
Il significato religioso (nell’anno Domini 2007) sta nel valore della rinuncia in sé, non nella prescrizione del digiuno e della rinuncia alle carni.
È per queste premesse che ho sempre aderito ai precetti con spirito libero. I bigoli con le sardelle o il cuspetù sono sempre stati per me un ritorno alla tradizione, non una flagellazione corporale. Nessun sacrificio insomma.
L’occasione della Quaresima può essere però la sfida alla forza di spirito di ognuno. Mi sono auto-ordinato (mai mi accadde nella storia) una rinuncia forzata e sofferta col solo ed unico scopo di verificare la mia forza di volontà. Semplicemente come un vecchio stoico, mi sono imposto dei severi limiti da non oltrepassare. Nessun voto, nessuna sacra ispirazione. Solo il gusto di sfidare me stesso al fine ultimo di premiare il vincitore.

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Boicottiamo San Valentino

Faccio parte di quella schiera di persone con la puzza sotto il naso, che snobbano la festa di San Valentino con aria di smisurata superiorità e penetrante ribrezzo. È più forte di me, non ce la faccio. Non riesco a concepire le corse al regalo per l’amata o le sanguinarie prenotazioni nei ristoranti opportunisti. Decidere di festeggiare un sentimento specifico e peculiare per definizione, in un giorno comune a tutti, e per di più imposto dall’esterno, è un’incoerenza.
Ciascuno si scelga un modo proprio ed unico per festeggiare. Altrimenti che senso ha?

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Quei fantasmi che lasciano la traccia

E la candela la sta mai ferma e la se möev cuma la memoria,
anca el ragn sö la balaüstra ricama ‘l quadru de la sua storia.
La ragnatela di me pensee la ciapa tütt quèll che rüva scià
ma tanti voolt la g’ha troppi böcc e l’è tuta de rammendà.

La finestra la sbàtt i all, ma la sa che po’ mea na via
e anca i stèll g’hann la facia lüstra, cuma i öcc de la nustalgìa.
In questa stanza senza nissöen, vardi luntàn e se vedi in facia,
in questa stanza de un òltru teemp, i me fantasmi i lassen la tracia
”.

E la candela non sta mai ferma, si agita come la memoria,
anche il ragno sulla balaustra ricama il quadro della sua storia.
La ragnatela dei miei pensieri raccoglie tutto quello che passa di qua
ma spesso ha troppi buchi ed è tutta da rammendare.

La finestra sbatte le ali, ma sa che non può andarsene
e anche le stelle hanno la faccia che brilla, come gli occhi pieni di nostalgia.
In questa stanza senza nessuno, guardo lontano e mi vedo in faccia,
in questa stanza di un altro tempo i miei fantasmi han lasciato la traccia.

(D. Van De Sfroos – Pulenta e galena fregia)

Oggi, rimettendo un po’ in ordine l’outlook, sono casualmente incappato nell’ultima mail del Lele, quella in cui mi comunicava la data e l’ora della sua laurea. L’ho riconosciuta subito. Non scorderò mai, per tutta la vita, quell’oggetto un po’ ironico, un po’ serioso, che riassume in modo esemplare la sua persona: “È la mia volta”.
Beh… non ce l’ho fatta, non sono riuscito ad aprirla, non ho trovato il coraggio di rileggerla.
Mi chiedo da dove vengono questi fantasmi che continuamente ritornano, e che lasciano indelebili aloni d’assenza. Mi chiedo fino a quando i ricordi del passato consumeranno gli istanti del presente.

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