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Sega, ferrata nomen omen

Prima sgambata stagionale, per saggiare il passo in vista delle uscite più impegnative.

La partenza, poco fuori Avio

La ferrata Gerardo Sega è piuttosto facile, ma in alcuni tratti non banale. I due traversi sono bellissimi per l’ambientazione e il paesaggio, ma percorribili con discreta semplicità. Qualche verticalizzazione nell’ultima parte, e il poco traffico, permettono alla ferrata di dirsi interessante. Si può usare quasi sempre un solo punto d’attacco, ma alle mie spalle udivo l’insolente “click-clack , click-clack”, del doppio moschettone di Vicensa, atleta che si assicura anche al cesso, uomo con gli standard di sicurezza più ferrei di quelli di Bertolaso.

Il primo dei due traversi

Il primo traverso

Il lungo avvicinamento ed il ripido sentiero del ritorno rendono più impegnativo il cammino rispetto alla ferrata vera e propria. In totale, il giro ci ha impegnato sei ore. Un buon allenamento in un paesaggio sorprendentemente variegato e dunque apprezzabile.

Ah… se qualcuno volesse aggiungersi, può segnalarmelo. Come sempre, terremo conto della difficoltà degli itinerari in funzione dell’utilizzatore finale.

Il tratto finale

Il tratto finale

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Il cugino antipatico

A proposito del suo interismo, scrive oggi Severgnini che “c’è una simpatia che scivola nella compassione; e noi l’abbiamo rischiata, anni fa. Così esiste un’antipatia che confina con l’arroganza. E quella dobbiamo evitarla, è lo stile di qualcun altro”.

Caro Beppe, ormai è troppo tardi.  In questi anni l’arroganza dell’Inter, figlia legittima dell’arroganza del suo allenatore, ha superato abbondantemente ogni confine conosciuto. Hic sunt presuntuoses.

Si dice che siano diventati troppo vincenti per essere amati e per essere celebrati da tutti. Squadra che vince, non si canta? Forse.

Certo è che non avevamo mai visto un allenatore più insopportabile e sbruffone. I Capello e gli Zenga, professionisti della polemica e della boria, si ritrovano ormai retrocessi al ruolo di dilettanti malconci, da invitare a casa per un . Mourino insulta i giornalisti e poi li fa precipitare ai propri piedi. Critica ogni collega e si lamenta degli oscuri complotti contro la sua squadra. Vittima, poco credibile, di congiure ordite da chissà chi e chissà quando. Si autocelebra eroe buono e divino, capace di riportare la giustizia celeste sulla terra dei comuni peccatori. O lo si odia, o lo si ama.

È vero, col suo modo di fare ha rotto la routine di un’omologazione fastidiosa, dove tutti parlano avvolti in una circostanza di ovvietà imbarazzante e vuota. Ma ha suscitato altresì sentimenti finora sconosciuti. Poi è assurto a icona dell’Inter, e dei suoi tifosi costantemente in cerca d’autore, che lo amano incondizionatamente solo perché li ha fatti vincere come mai prima d’ora (pare poco?). Ecco che per la proprietà transitiva, noialtri confondiamo i pusillanimi interisti con la loro guida, cioè con il loro allenatore, con la sua prepotenza e la sua irrefrenabile altezzosità.

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Cippa Lippi

Agghiacciante. La lista dei papabili mondiali è qualcosa di inverecondo. Tracima di juventinità, nell’anno del peggior campionato della Juve dal secondo dopoguerra ad oggi. Niente fantasia e tanta geriatria. L’unica buona notizia è l’esclusione del Pupazzo.

Per ogni commento, aspettiamo di vedere se reciderà qualche cariatide dalla rosa dei trenta mannari.

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Se telefonando…

A sentire gli juventini, dall’udienza odierna di Napoli dovevano emergere sensazionali rivelazioni. Magari qualche scudetto ritolto o addirittura riassegnato. Invece… nessun botto.

Dalle intercettazioni del defunto Facchetti emerge chiaramente che anche l’Inter aveva rapporti troppo confidenziali con gli arbitri. Tutto qua.

Non ho mai dubitato che fossero nelle stesse condizioni il Milan, o la Roma. Arbitri a cena, designatori al telefono, proprio come si fa con gli amici di vecchia data, o forse come si usa semplicemente con i colleghi. Ne esce un sistema falso, malato, incancrenito, tutt’altro che credibile. E cosa c’è di nuovo? Cosa di sensazionale oggi più di allora? Radiassero tutti i dirigenti, dal primo all’ultimo! Sarebbe tutto di guadagnato.

Ma le intercettazioni del Totem non mostrano richieste di favori palesi. Non chiede ammonizioni ad personam, né intercessioni particolari su fuorigioco o reti da annullare. Non emergono minacce, nè regali. Non ci sono sim pagate agli arbitri per le comunicazioni “private”, né direttori di gara chiusi negli spogliatoi. Non emergono Gea o società affini in grado di manovrare il calciomercato.

E allora?

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L'identità di Ferrara

Ferrara, recita wikipedia, è una città dell’Emilia-Romagna, situata nella bassa pianura emiliana, sulle sponde del Po di Volano. Ferrara gode di un importante periodo aureo quando nel basso Medioevo e nel Rinascimento sotto il governo della famiglia degli Este viene trasformata in un centro artistico di grande importanza non solo italiano ma anche europeo.

Ma Ferrara, recitano le cronache sportive degli ultimi tempi, è anche un giovane e sfortunato allenatore, che non gode affatto di un periodo aureo e che è bel lungi dal trovare fama in Italia e in Europa.

Ferrara, la città, suscita ammirazione di primo acchito, fascino in seconda istanza. Ferrara, l’allenatore, accende anzitutto genuina simpatia, ma poi stimola alla cristiana compassione e quasi all’imbarazzo, quando lo si vede combattere tra le insidiose forche di un pianeta calcio troppo grande per lui. Scarso, forse, e certamente poco fortunato.

Nessun augurio per lui (con quello che guadagna, vorrei averli io i suoi problemi), ma solo la speranza di capire se si tratta di una marionetta, di un cialtrone o semplicemente di uno sciagurato innocente.

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Il culo di Lippi

Si parlava, ad USA ’94, del celebre “culo di Sacchi”. Epigrafe abusata e tutto sommato neanche tanto azzeccata. L’Arrigo da Fusignano arrivò sì in finale giocando malamente e coi sorrisi del fato, ma perse la storica coppa per un rigore di Baggio calciato fuori (quanti rigori avrà calciato così Baggio in carriera?). I vari Trap, Zoff, Donad… non ebbero poi sorte migliore.

Poi arrivò Lippi, che vinse il mondiale. Tutti si sono ben guardati dall’attribuirgli la fortuna, ma di fatto vincemmo il mondiale non per meriti suoi, ma perché avevamo la nazionale più forte degli ultimi trent’anni di calcio italiano.

Ieri la dea bendata del sorteggio, che per il condominio del girone F regala a Lippi tre vicini di casa sconosciuti: Paraguay, Slovacchia, Nuova Zelanda. Eppure di squadre forti in giro ce n’erano, ma Marcellino pane&juventino s’è precipitato a chiarire che queste avversarie “non sono facili”. Ma col culo di Lippi supereremo il girone battendo questi portenti.

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Napule è… (storia di una trasferta di metà settimana)

Napule mille culure,

Napule è mille paure,

Napule è a voce de’ criature,

che saglie chianu chianu

e tu sai ca nun si sulo.

(P. Daniele – Napule è)

E quando mai avrò l’occasione di andare al San Paolo? È stata questa la domanda che mi ha spinto ad accettare l’invito del caro Antonio all’evento calcistico della (mia) stagione sportiva: Napoli Milan allo stadio di Napoli.

Tante le suggestioni, da quel 3-2 che vent’anni fa spalancò al Milan le porte dello scudetto, ai memorabili gol di Virdis e Maradona, all’Hamsik miogioellodelfantacalcio.

La trasferta, come ogni viaggio che si rispetti, racchiude da subito le caratteristiche della faticaccia fisica e l’idea filosofica dell’”andare verso”, del “tendere a” qualcosa che fa dimenticare ogni stanchezza e ogni levataccia.

Curva Margherita, i fedelissimi

Curva Margherita, i fedelissimi

Da Roma arriviamo in treno a Napoli Centrale. Il tempo per mangiare una pizza veloce, accompagnata dalla classicissima Peroni, e poi Antonio mi trasmette già la sua impazienza: “Qua è un casino, è meglio che ci avviciniamo ai cancelli d’ingresso”. Sono le 17.15 e mi pare una follia entrare allo stadio per una partita che si giocherà alle 20.45. Da subito mi accorgo che la coda è già piuttosto corposa. Ma tutta questa gente non ha nulla di meglio da fare che andare allo stadio quattro ore prima della partita?

In coda tolgo il portafoglio dalle tasche per nasconderlo all’interno del giubbino (non si sa mai!) e Antonio mi dice di estrarre il biglietto solo all’ultimo (sai… i furti…). Una sciarpa nel Napoli al collo dovrebbe mimetizzare la mia settentrionalità ed evitare che mi facciano problemi su quella carta d’identità che recita inequivocabilmente “Volta Mantovana” al cospetto del settore distinti, riservato ai soli cittadini della Campania. Passo il tornello e salgo le scale. Siamo tra i primi…

Difficile ingegnarsi per far passare tre ore di attesa. Ecco qualche consiglio.

1 – Portate sempre qualche giornale. Oltre a proteggervi il culo dal milione e mezzo di malattie ospitate sui seggiolini, è utile per superare la prima ora. Io mi sono letto tutto il Fatto Quotidiano e mezza Repubblica presa in albergo.

2 – Studiate i personaggi, fate le vostre categorie sociali e magari cercate anche qualche somiglianza. Io sono abbastanza esperto e questo passatempo, benché antico, mi dà sempre grosse soddisfazioni. Le categorie classiche del settore “distinti” sono: l’ENCICLOPEDICO, che si riconosce dalla Gazzetta aperta e dall’intrusione nei discorsi altrui: quando chiedi al vicino se Storari è in panchina, lui da tre file sotto ti risponde che è in tribuna perché da tempo soffre di una lesione al tendine semimembranoso della coscia sinistra. A uno così cosa gli rispondi?; l’ULTRAS SURROGATO, quello che urla e canta (in modo clamorosamente stonato) ad ogni coro dello stadio. Eccede nel tifo e racconta anche che “lui gli striscioni li prepara al venerdì sera”, che lui “la trasferta a Cagliari l’ha fatta”, che lui “il portiere lo vede tutti i giorni all’allenamento e… non è male”; il PATER FAMILIAE, quello che ha lo zaino più grosso del figlio (non dello zaino del figlio, ma del figlio proprio): al suo interno panini, succhi di frutta, coca cola e merendine multicolor ai polifosfati aggiunti. Perché il figlio deve crescere.

3 – Fate conoscenza col vicino di posto, ma attenzione. Studiate bene l’individuo e lasciate a lui l’iniziativa. Una buona conversazione può far bruciare un’abbondante mezzora, ma se l’individuo vi perseguita con le classiche chiacchiere da bar dello Sport, c’è il rischio che il pre-partita diventi un incubo interminabile.

Terminata l’attesa, assistiamo ad una bella gara, rigorosamente in piedi sul seggiolino. Si sente inveire da ogni parte, fendenti verbali in napoletano stretto feriscono l’arbitro, Mazzarri, Rinaudo e un po’ tutti i 22 in campo. Esce la Napoli colorita e fantasiosa, che esprime con epiteti frizzanti tutta la sua creatività ed il suo disappunto.

Sono costretto a tacere la mia fede rossonera e al grido di “chi non salta rossonero è”, fingo indifferenza restando immobile, ma mi sento osservato: furor persecutionis, capirò poi.

Il finale di partita è un pugno allo stomaco. Il risultato si ribalta in tre minuti e lo stadio cade giù, in un terremoto di urla ed abbracci e sventolii di sciarpe. Mio malgrado, mi ritrovo ad abbracciare personaggi sconosciuti, tifosi spiritati che in quel momento vorrei solo gettare dagli spalti. E c’agg ‘a fa?

Fuori dallo stadio, le vie sembrano ospitare i festeggiamenti di una vittoria mondiale. Cosa sarà mai successo nel luglio 2006? Scooter scassati ospitano due-tre persone a bordo, rigorosamente senza il casco, clacson indemoniati impazzano tra le file disordinate di sciarpe e cappellini azzurri, indossati da pedoni agitatissimi. Qualche vespa imbocca ad alta velocità le strade contromano, ma nessuno protesta e tutti festeggiano.

Più tardi, Antonio e suo padre mi danno un’ulteriore prova della loro ospitalità, preparando una cena davvero inaspettata. Mentre scorrono le insopportabili immagini delle reti private, capaci di commentare per ore il 2-2 rocambolesco, affogo la delusione nella mozzarella campana e nelle olive verdi.

Si è fatta l’una e mezza e andiamo a dormire. Domattina alle 7 un nuovo treno ci riporterà nella vecchia dimensione.

Distinti Signori

Distinti Signori

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Quaddisti cercasi

Lo scorso weekend, in occasione di un addio al celibato di un amico mantovano, sono stato ad Arco di Trento, per un’esperienza senz’altro da consigliare. Un giro in quad (la moto a quattro ruote) tra le montagne in riva al lago. Sentieri, stradine ripide e curve polverose. Sullo sfondo il lago di Garda e quello di Cavedine, le falesie ed i frutteti, i boschi e il ponte romano.

Il percorso supera i 60 chilometri ed è intervallato da soste tattiche per mangiare o semplicemente per ammirare i panorami. Si può noleggiare il quad in coppia, oppure montarlo da soli.

Se qualcuno volesse aggregarsi, possiamo organizzare una puntatina.

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La cima mancata, tanta fatica per nulla

È ormai abitudine che almeno una volta l’anno mi ritrovi con l’amico Simone (di seguito Vicensa) per imbragarmi e dare l’assalto a qualche bella parete. L’impresa alpinistica di quest’anno è la ferrata Bolver Lugli (dai nomi dei finanziatori), che risale da Col Verde alla Cima Vezzana, nel comprensorio delle Pale di San Martino.

Dopo la salita pomeridiana di 700 mt, trascorriamo la serata e la notte al rifugio Rosetta, tra strampalati ricordi ed abbondanti grappe alle erbe alpine. La notte si fa subito problematica per entrambi: i materassi scomodi, il fetore e le russa della camerata ci tolgono il sonno. Come sempre, quando non mi addormento mi innervosisco, pensando che il giorno dopo sarò stanco. Quasi tutta la notte è in bianco.

Di primo mattino lanciamo la carica alla parete rocciosa. La prima mezzora è una salita libera, senza assicurazioni metalliche. I° e II° grado d’arrampicata, roba facile. Tuttavia il non essere legati mi inquieta e mi dà un po’ d’apprensione. Finalmente il cavo! E una salita verticale che si fa subito aspra (alla fine saranno 700 i mt di ferrata). Qualche buon passaggio tecnico, qualche sforzo sovrumano per superare brevi tratti in sporgenza e molta esposizione. Chiedo a Vicensa di immortalarmi nel punto più panoramico della via, ma lui scuote il capo: “non ce la faccio, sono sfinito, andiamo su”, mi sussurra con cipiglio gemente e piangente. Il panorama è fantastico: il paese di San Martino si fa piccolo piccolo, mentre la Pala ed il Cimon sono lì e quasi quasi si possono toccare.

Arriviamo al bivacco dell’anticima dopo due ore di intensa arrampicata. Ho un quarto d’ora di vantaggio su Vicensa. Questo mi permette di godermi da solo il silenzio di quest’angolo di paradiso, prima che la carovana di gente che ci segue arrivi a fare rumore e confusione.

Eccolo, barcollante, madido ed esausto. Vicensa arriva ciondolando, ma visibilmente soddisfatto. Il tempo di mangiare qualcosa poi gli chiedo se saliamo alla vetta. Basterebbe un’ora di sentiero per raggiungere la sommità della Vezzana (3192mt). Invece il mio compagno d’avventura mi costringe a rinunciare. Dopo tutto quello sforzo, abbandoniamo proprio sul più bello. La vetta è lì, ad un soffio, e invece noi riprendiamo gli zaini per scendere.

Una discesa peggiore della salita, tra un ghiaione a tratti ricoperto di neve ed un canalone di rocce sgretolanti che ci fanno davvero rischiare l’incolumità.

Arriviamo a pezzi, contenti dell’impresa ma con tanti sassi nelle scarpe. Non ultimo quello della cima mancata, che probabilmente non vedremo mai più.

Freschi prima dell'inizio

(Autoscatto prima di partire: la ferrata sale nel mezzo della parete che si vede alle spalle)

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Spirito Candido

Non che scrivesse articoli irresistibili, è solo che dalla sua penna coglievo sempre l’amore innato e limpido per lo sport. Ci leggevo lo spirito candido di chi è innamorato di quello che scrive, incantato da quello che racconta. Per questo presi il suo nome come pseudonimo per firmare gli editoriali sul periodico del nostro fantacalcio, quel FantAsma apprezzato da molti e rimasto nel ricordo dei più.
Candido Cannavò dalla Sicilia era salito sino a Milano, in un viaggio simile a quello che da semplice giornalista, l’aveva condotto sino alla direzione della Gazzetta per quasi vent’anni.
Da oggi scriverà i suoi articoli ancora più in alto, nel cielo che ha sempre sognato rosa, lasciandoci la nostalgia di un uomo che faceva sorridere.

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