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Usi, costumi e… Carta straccia
La Costituzione , si sa, è avvolta da un velo di riverente sacralità che la rende monolitica ed immutabile per tutti i secoli dei secoli.
Vi sono tuttavia alcune consuetudini, diffuse e tacitamente radicate, che indirettamente negano i principi costituzionali. Vi sono cioè degli usi, delle abitudini, che pur contrastando con la suprema Carta, di fatto vengono universalmente e pubblicamente accettati.
Prendete ad esempio l’articolo 4: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Balle. La Repubblica non promuove un bel niente. Il lavoro lo creano le persone e il mercato (cioè sempre le persone). E poi oggi nessuno lavora secondo la propria scelta, ma secondo quello che le circostanze, alla meno peggio, gli offrono. Pochi scelgono, molti di più s’accontentano di quel che passa il convento (quando va bene).
Vista la vicenda Cosentino, ennesima immunità concessa dai brahmani a sè stessi, non si potrebbe pensare ad una consuetudine capace di contrastare l’ormai abusato e vecchio articolo 68? “Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione… Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazione, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza”.
Che fine fanno le firme?
Andare a votare oggi sarebbe un’idiozia. Rimandando ad un altro momento le riflessioni sulla sconvenienza del voto anticipato e sui suoi inevitabili esiti e conseguenze, mi soffermo a sottolineare una sola questione.
Con il termine di questa legislatura, decadrebbero anche le 350.000 firme raccolte dai grillini nell’ambito della campagna “Parlamento pulito”. Ricordate? Parlamento senza condannati, limite di due mandati, ripristino delle preferenze sulla scheda.
Al di là del fatto che il faldone di questa petizione giace esanime da qualche tempo, in qualche sottotetto polveroso di qualche palazzo istituzionale… con lo scioglimento delle Camere si avrebbe la morte legale di quell’iniziativa popolare. Le firme raccolte hanno infatti validità per due legislature.
Colpevolmente ignorate da ogni forza politica (mi pare che anche Di Pietro se ne sia guardato bene dal farsene pubblico paladino), potrebbero ritornare in auge solo se si aprisse un dibattito sulla modifica delle legge elettorale vigente. A quel punto, cioè con un Parlamento deciso ad intervenire in materia elettorale, le richieste del Movimento Cinque Stelle dovrebbero per forza di cose essere prese in considerazione.
Cavalli e Cavaliere
ora la guerra paura non fa…
Dategli, dategli un animale,
figlio del lampo, degno di un re,
presto, più presto perché possa scappare,
dategli la bestia più veloce che c’è.
Corri cavallo, corri ti prego
corri come il vento che mi salverò…”
(R. Vecchioni – Samarcanda)
Negli anni delle guerre mondiali, tutte le potenze europee si spinsero pressoché ovunque per occupare territori ricchi di materie prime. Colonie e protettorati in ogni parte del mondo, capaci di garantire ricchezze e mercati nuovi. L’Italia non poteva essere da meno e intraprese a sua volta, e a suo modo, la campagna di conquista. Mentre Inghilterra, Francia e compagnia cantante, affondavano le mani nell’oro, nelle spezie e nei diamanti, Mussolini giocava ai castelli di sabbia. Nel 1936, in barba al fatto che ormai nulla di fruttifero era rimasto all’orizzonte, occupò con battaglie sanguinosissime un fazzoletto di dune africane: l’Abissinia. Per questo, mezzo mondo ancora ci ride dietro.
2010. Mentre la Russia stringe accordi con tutto l’emisfero per vendere il proprio gas, Obama tenta l’intesa con la potenza cinese, e le nazioni europee competono per primeggiare nell’UE, Berlusconi invita Gheddafi e trenta cavalli berberi: così, per sancire un accordo. Continueranno a riderci dietro, ma saremo orgogliosi delle losanghe al trotto e dei nostri valzer delle quadriglie. Vuoi mettere?
Dalle stellette alle stelle, e viceversa
Abbiamo avuto la favola del bel principino, nipote del re, passato in quattro e quattr’otto dall’ombra della sovranità mutilata al bagliore dei riflettori televisivi. Dall’esilio svizzero a Quelli che il calcio e Ballando sotto le Stelle, passando nientemeno che dallo spot della Saclà. Poi medaglia d’argento a Sanremo.
Italiani, brada gente. Confondiamo la fama delle istituzioni con quella dello spettacolo. Per noi i ministri e le letterine sono più o meno la stessa cosa.
E infatti non ci siamo accontentati, e abbiamo scritto anche la favola della bella principessa. Le stellette di Presidente della Camera prima, conduttrice televisiva poi. In curriculum Buona Domenica e Tempi moderni, passando per Bisturi. Irene Pivetti raggiunge l’apice della sua carriera con l’immancabile Ballando sotto le Stelle, vero e proprio approdo di talenti.
Deve aver visto molta tv il sindaco di Reggio Calabria, per ripescarla dal mazzo in questi giorni e sceglierla come membro della sua giunta, assessore all’immagine. All’immagine di un malcostume tutto italico, quello di rinunciare sempre al merito e alla qualità delle persone.
L’eredità del Picconatore
Scompare un’altra scatola nera dei misteri italiani. Gladio, Moro, Ustica, piazza Fontana, Bologna, la P2. Pare che sapesse molto su tutte queste brumose vicende. Parlò poco, si contraddisse spesso, non svelò mai. Mi auguro solo che Cossiga abbia lasciato un memoriale, capace di garantire il futuro dei nipoti e di far luce su molte domande degli italiani. Per il resto, non sentiremo la mancanza.
Eppure epurano
(C. Caselli – Insieme a te non ci sto più)
Nel Popolo delle Libertà non c’è spazio per la libertà d’opinione. Bizzarro paradosso. Un po’ come se nel Club Alpino Italiano non ci fosse posto per gli amanti della montagna o come se nell’Avis potessero starci solo i talassemici.
“Non sono più disposto ad accettare il dissenso”, dice chiaramente Berlusconi. E oggi che il dissenso è diventato dissenteria, iniziano le purghe. Chi esprime pareri ed opinioni propri, non può stare nel PdL. “Confonde la leadership con la monarchia assoluta”, si era detto tempo addietro suscitando vivaci polemiche e critiche reverenziali.
Ben venga dunque questo dissenso, ben vengano i contrasti e magari anche le scissioni. Perché la destra meriterebbe una dimensione diversa da Berlusconi. Meriterebbe d’essere se stessa, coi suoi valori e le sue aspirazioni. Non ridotta a parafulmine del capo e nemmeno a serbatoio di voti per sistemare le leggi a vantaggio dei soliti pochi.
Chissà che in Italia non nasca un’opposizione.
Caccia alle streghe
Angelino Jolino Alfano, che di (in)giustizia se ne intende, dice che “non si può fare la caccia alle streghe”.
Non è ben chiaro se voglia limitare le licenze dell’attività venatoria o se sia più preoccupato per la specie “strega”, in evidente via di distinzione.
Ultimamente, tutti i ministri e i sottosegretari accusati sono stati prima difesi a spada tratta, poi costretti a goffe dimissioni. La cricca degli appalti, invece, è sempre più simile ad un’associazione massonica a delinquere. E la macchia, come il petrolio nel Golfo del Messico, s’allarga di giorno in giorno. Streghe, orchi, mostri infernali.
Per i numeri che emergono, quest’epoca di corruzioni e malcostumi non ha precedenti. La “manipulite” della Prima Repubblica diventa una bazzecola al confronto.
Sull’argomento Voltaire diceva che “le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle”. Io inizierei con un bel falò.
Predestinato
Ieri il mio fabbro mi ha fatto notare che Brancher, oltre ad essere un encomiabile ed inossidabile ministro è anche un verbo francese. Significa: allacciare, attaccare, collegare. Sempre il fabbro, certosino osservatore, mi anche fatto notare che più o meno lo stesso verbo, “brancà”, esiste anche nel nostro dialetto. Significa prendere, accaparrare, afferrare. Qualcosa, insomma, che è molto vicino all’appropriazione indebita e alla ricettazione. Invece “banchèr” è il banchiere, con il quale si possono allestire loschi affari e diabolici patti. Un destino segnato dal nome, insomma. Poveretto, non è tutta colpa sua.
Quattro marmittoni alle grandi manovre
“Quattro marmittoni alle grandi manovre” è una commediola del ’74, dove alcune reclute in cerca d’autore combinano ogni disastro possibile ed immaginabile. Arriva per loro il momento del riscatto, quando devono occuparsi delle “grandi manovre”.
Senza uscire troppo dalla metafora… occasioni per riscattarsi dai disastri e dalle nefandezze, il Governo ne ha avute molte. Ultima, forse, la “grande manovra” di questi giorni.
È già stato detto tutto sull’argomento. Sarebbe inutile approfondire in questo sgabuzzino i contenuti e i dettagli, perché in qualsiasi sito si possono reperire i particolari del provvedimento e ci si può “perdere” con facilità nelle analisi degli esperti o dei semplici lestofanti.
Mi limito a due considerazioni.
1 – Pare che la categoria più colpita sia quella dei dipendenti pubblici. Può dispiacere, ma va detto che si tratta (in generale, anche se non si dovrebbe mai generalizzare) di una categoria che gode da tempo di molti ed evidenti vantaggi, almeno rispetto ai dipendenti del settore privato.
2 – Gli impatti sui più abbienti e la lotta all’evasione è pressoché inesistente. Basterebbe poco per far pagare le tasse a tutti (o almeno a “più”), ma si dice sempre e non si fa mai. Peccato.
Come dice il Premier: “siamo tutti sulla stessa barca”. Vabbè: qualcuno ha il gommone, qualcun altro lo yatch. Ma sono sottigliezze.
Scaj sport
Che un ministro accusato di aver ricevuto in regalo un appartamento si dimetta, mi pare il minimo. In questi casi se uno è innocente, si discolpa e ritorna al suo posto. Se invece è colpevole, prima se ne va e meglio è.
Però, a quanto pare, qua non parliamo di una banale calunnia, ma di qualcosa di più concreto. L’architetto che avrebbe pagato metà del lussuoso appartamento (confermato anche dai venditori), e che Scajola ha detto di conoscere a malapena, appare ufficialmente come incaricaricato della ristrutturazione, tra le carte depositate al comune. Un legame, insomma, tra casa, ministro e pagatore occulto, esiste eccome.
D’altronde la scusante: “evidentemente mi hanno regalato metà casa, ma io non lo sapevo” è quantomeno stravagante.
Ho letto che Scajola nell’83 si fece 72 giorni di carcere, poi fu prosciolto. Poi molti anni di altre accuse e di sospetti, su una carriera politica e amminsitrativa un po’ torbida. Non ultima l’imposizione della tratta Alitalia “Roma-Albenga”, per viaggiare comodo da casa sua ai palazzi capitolini (e poi l’Alitalia va a puttane! Mah!)
Verrebbe da dire che il lupo perde il pelo, ma non il vizio, ma significherebbe condannarlo aprioristicamente.
Di certo questa vicenda pone ulteriori interrogativi (ce n’era bisogno?) sulla qualità della classe dirigente, sui suoi vezzi e i suoi vizi.
E in attesa di regali, noi paghiamo i mutui.