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Propositi bizzarri
(L. Bizzarri – Sanremo 2011)
Un colpo di genio la proposta sul pluralismo televisivo presentata oggi in Commissione Vigilanza. Si suggerisce che di settimana in settimana, nelle trasmissioni d’inchiesta o di dibattito politico della prima serata, si alternino i conduttori “con diversa formazione culturale”. Una settimana Santoro, quell’altra Minzolini.
Se il principio della libertà di scelta dell’elettore e della sovranità popolare viene evocato ogni qualvolta siano in ballo le dimissioni di questo o quel politico (quasi sempre di “quello”), allora lo stesso principio di “gradimento popolare” e di audience deve essere applicato alle trasmissioni televisive. Se il programma ha spettatori, vuol dire che funziona. Se è sgradito o ritenuto fazioso, ne venga proposto uno migliore e il pubblico lo giudicherà. Si chiama libera concorrenza. Non se ne può più di questa esasperazione, di questa falsa “bar condicio”. Non mi serve un format di Minoli per decidere che Vespa non mi piace, mi basta non guardarlo. Così come non chiedo di riavere Derrick perché altrimenti mi costringono a vedere CSI. Ma che ragionamento è?
Dichiarazioni specchio
“Colgo questa occasione per dare un pubblico riconoscimento al vostro Leader, per l’opera che ha saputo svolgere in questi anni, portando il vostro popolo alla piena dignità e facendo del vostro Paese un protagonista della politica internazionale e, con la sua moderazione, incitare alla moderazione tutti i popoli.
Ho approfittato di questa occasione per ripetere a lui la preghiera che continui ad essere promotore di una unione più forte tra tutti i Paesi dell’Africa. Oggi tutti i popoli dell’Africa guardano alla Libia, guardano al vostro Leader, e sanno bene che soltanto uniti potranno migliorare nel benessere e contare nel mondo alla pari con l’Europa e con gli altri continenti”.
(S. Berlusconi – Discorso per la firma del “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia”, dal sito del Governo italiano, 30 agosto 2008)
È troppo semplice, oggi, accanirsi contro Gheddafi. È troppo facile scagliarsi contro colui che fino all’altro ieri era il nostro più grande amico. La crescita esponenziale degli ultimi anni, nell’intimità tra governo italiano e dittatore libico, è sotto gli occhi di tutti. E la citazione d’apertura è solo una delle tante, inconfutabili attestazioni di stima di Berlusconi a Gheddafi. Rileggetela con attenzione: fa rabbrividire. Ho cercato un po’ di dichiarazioni (tutte autentiche) che i due leader hanno pronunciato nel corso delle loro lunghe vite politiche. Poi le ho abbinate per argomento. Ogni titolo riporta una frase di Berlusconi e una di Gheddafi, mescolate. Mi sono reso conto che talvolta è difficile distinguere con nettezza l’autore. Solo una doppietta appartiene esclusivamente ad uno dei due governanti. Quale?
LA TV, BRUTTA BESTIA
“Non dovete credere ai canali televisivi che appartengono ai cani randagi”
“La televisione pubblica diffonde l’ansia e le situazioni solo di chi protesta”
IL BUON GOVERNO
“Qui non esiste un regime. Certe volte mi dispiace di non essere un dittatore, ahimè non lo sono”
“Le dittature non sono un problema se fanno il bene della gente”
LIBERTA’ D’OPINIONE
“I manifestanti sono ratti pagati, sono una vergogna per le loro famiglie”.
“Vergogna! Hanno messo in mano a bambini di 5 o 6 anni cartelli non scritti da loro, e con affermazioni false”
LONGEVITA’
“Presidente, le chiedo scusa ma anche lei avrà delle questioni interne ogni tanto, e verrò a scuola da lei per sapere come riesce a superarle, visto i suoi molti anni di permanenza alla guida del suo paese”
“Ho vinto in passato e di questa vittoria si è potuto godere fino ad oggi”
VITTORIA!
“Io sono in grado di stracciare qualunque avversario perché nella vita ho fatto tutto ciò che gli altri non hanno fatto”
“Ho portato la vittoria in passato e di questa vittoria si è potuto godere per molto tempo. Resterò a capo fino alla morte”
NUOVI OBIETTIVI
“Il mio paese vuole essere protagonista nel mondo”
“Domani sogneremo altri traguardi, inventeremo altre sfide. Cercheremo altre vittorie che valgano a realizzare ciò che di buono, di forte, di vero c’è in noi”
CHI SONO?
“Io sono un rivoluzionario”
“Io non sono un fine politico, sono un rivoluzionario in politica, politicamente scorretto”
DIO
“Io sono il tuo Messia, ti libero dall’abbraccio mortale della tua fazione”
“Non ho mai proclamato questa sciocchezza. Di essere unto dal Signore”
Il trasformista senza talento
Nei romanzi di Le Carrè, spesso la spia fa il doppio gioco. Alcune volte, quando è l’eroe del libro, riesce a farla franca, salva se stessa e magari anche il mondo. In altre occasioni, invece, le cose vanno peggio: la spia viene scoperta e con un rocambolesco colpo di scena i destini si ribaltano.
Stasera, mentre scrivo, su Rai3 va in onda Il Trasformista, filmetto di terza segata (sic!) di Luca Barbareschi. Già… proprio lui: l’attore, il caratterista, il presentatore e infine il politico. Non è il solo ad aver iniziato come uomo di spettacolo, prima di passare nelle aule del Parlamento, ma è certamente il solo ad aver recitato così malamente il ruolo del trasformista.
Barbareschi, finiano di ferro, viene eletto nelle file del Pdl, ma al momento della scissione entra subito a far parte di Futuro e Libertà. La scorsa settimana, durante la votazione per la restituzione degli atti relativi alla vicenda Ruby alla Procura di Milano, Barbareschi annuncia coerentemente di votare “contro”, in linea con tutti gli altri finiani. Angela Napoli, deputata di Futuro e Libertà e capogruppo di Fli in commissione Antimafia, racconta minuziosamente quanto accade. “Barbareschi ha premuto il rosso, cioè contrario al deliberato della Giunta, così come era stato concordato da tutto il Fli. Poi ha messo il telefonino sulla lucetta rossa e ha scattato una foto. Che cinema… quindi ha lasciato il telefonino sopra la lucetta rossa. Ho capito che stava per fare qualcosa e ho toccato il braccio di Buonfiglio, facendogli segno di guardare lì. Alla fine, mentre il presidente Fini stava dicendo “votazione chiusa”, Barbareschi ha cambiato premendo il bianco, e dunque votando l’astensione, così come è apparso sul quadro generale d’Aula. Quando è apparsa la lucetta bianca sul quadro, in mezzo a tutti i rossi, ho sentito gridare dai banchi del mio gruppo: “Chi è stato?”. Io ho subito detto: Barbareschi. Perché l’avevo visto. Ma lui mi ha mostrato la foto che aveva sul cellulare. A quel punto gli ho risposto che era uno sciocco. Il voto è quello che appare sul quadro e viene registrato. Quando ha capito che aveva fatto un’eresia, Barbareschi ha detto “ho sbagliato” ed è andato giù a dirlo agli stenografi. Ma il suo voto non è stato cambiato e non sappiamo se si sia realmente avvicinato a loro e abbia detto qualcosa”. Una bella recita, non c’è che dire.
Ma per ora è ancora lontano dal ruolo di protagonista. Gian Antonio Stella ci ricorda infatti che Barbareschi ha il 52,3% di assenze nelle sedute del Parlamento: più che un protagonista, direi una comparsa. E quando Ferrucci, giornalista de Il Fatto Quotidiano, nel 2009 gli chiese come uno stipendio lordo di 23 mila euro al mese, più benefit, potesse giustificare tutte quelle assenze, il buon Barbareschi rispose: “…non ce la farei ad andare avanti con il solo stipendio da politico”.
Bocca della verità
Copioincollo un articolo d’attualità di Giorgio Bocca. Bocca è un giornalista che non mi è mai piaciuto granché, troppo sinistrorso per i miei gusti. Però in questo pezzo è davvero spassoso. Sarebbe un articolo scontato, se non fosse che è stato scritto nel lontano 1985. Invece è amaramente moderno. A volte la premonizione è più reale del reale.
Non sono mai stato uno di quei moralisti che piangono per l’esistenza dei network, della libera concorrenza e del denaro, anzi mi sono sempre adeguato al mutare dei tempi, cercando di vivere decorosamente e in agiatezza senza troppo sottilizzare su chi mi dava pane e companatico.
Ma – nonostante ciò – sento oggi la necessità di parlare di una storia che ho saputo grazie alle intime confidenze di un’amica, ricca e facoltosa signora della borghesia lombarda.
A quanto mi ha raccontato la mia amica, persona in tutto degna di fede, il dottor Silvio Berlusconi, il famoso proprietario delle Tv private più importanti e di numerosi giornali a grande tiratura, come il famigerato TV Sorrisi e Canzoni, organizza periodicamente a casa sua delle “seratine televisive“.
Il titolo curiosamente familiare nasconde in realtà un gioco di società assai divertente e appetitoso che il geniale imprenditore piduista ha inventato per sé e per i suoi più fidati amici (qualche socialista cocainomane, qualche industriale, qualche mafioso). Il gruppo, riunito come in un racconto del marchese De Sade davanti alla Tv, sceglie ogni sera, tra presentatrici, ballerine e showgirls dei programmi di Retequattro, Italia1 e Canale 5, quelle che dovranno essere chiamate a soddisfare le voglie dei presenti in un crescendo di situazioni viziose.
Basta poi una telefonata del boss e ai direttori di rete mandano a casa Berlusconi, impacchettate e pronte a tutto, le schiave della serata. Programmi specificamente allestiti, come Viva le donne, M’ama non m’ama, Drive In, ecc. assicurano il giusto flusso di carne fresca per il “divino Silvio”.
Ora io non voglio fare un discorso moralista, né spezzare una lancia a favore della castità. Riconosco al dottor Berlusconi un grande senso pratico in queste faccende e non discuto neppure sul fatto che lui si diverta così. Ma non posso non sentirmi infastidito se penso che, tra i tanti “amici” che sono stati invitati a godersi le ballerine e le presentatrici, il mio nome non figura mai.
L’Italia è proprio un paese in cui il merito viene spesso calpestato e dove trionfa l’ipocrisia, il partitismo, il denaro. Sono andati a passare qualche ora da Berlusconi, ora presidenti del Consiglio, ora presidenti di banche, ora camorristi, ora rapitori e riciclatori di denaro sporco, ora trafficanti di cocaina, ora assassini prezzolati, ma non è mai stato invitato nessun uomo di cultura, nessun intellettuale e – senza voler essere demagoghi – nessun proletario.
Come mai? Eppure – faccio notare – io, come tanti altri intellettuali, lavoriamo per Berlusconi, partecipiamo ai suoi programmi, rendiamo culturalmente accettabili anche le puttanate più forti del network. E credo che ci meriteremmo almeno una piccola ballerina.
Parlo per me, ma penso di interpretare anche il pensiero dei colleghi Arrigo Levi e Guglielmo Zucconi, nonché Maurizio Costanzo dell’Occhio Nero – pur essendo il più brutto di tutti noi –, che comunque fa storia a sé, essendo nato in passato e forse ancor ora, membro della stessa loggia dei boss.
Mi si potrebbe obiettare: perché non telefoni tu stesso ai direttori dei programmi per farti mandare a casa presentatrici e gnoccolone varie? Inutile, ho provato, per scrupolo di cronista, a fare dei tentativi. Ogni volta mi sono sentito sghignazzare in faccia. Insomma senza un invito di Berlusconi non riuscirò mai a partecipare a una vera serata di piacere.
E questo, come ex partigiano e come uomo, mi secca abbastanza. Devo pensare che la colpa vada attribuita al mio maledetto riportino, che certe volte il vento agita fino a mostrare il bianco della pelata?
Riportino sì o no, dispiace che un imprenditore così accorto come Berlusconi sottovaluti gli intellettuali, proprio quando si tratta di spartirsi “la gnocca”.
Controfigura democratica
Con un Premier occupato a non finire in carcere, con una maggioranza indaffarata nella macchina del fumo e un Parlamento inchiodato al palo, Bersani organizza una serrata opposizione.
Non smaschera i ciarlatani, non scredita gli imbonitori, non aiuta la magistratura. Non propone nemmeno un’alternativa reale, non cerca punti comuni per alleanze strategiche, non spiega perché con lui dovrebbe essere meglio. Non guida neppure l’affondo finale, non chiede autorevolmente il conto.
La cosa più brillante che riesce a fare è annunciare la raccolta di dieci milioni di firme per destituire Berlusconi. Come dire: vorrei cacciarlo, ma mi serve il consenso… Questa sì che è democrazia!
Bersani sembra sempre più la controfigura di Maurizio Ferrini: anche lui non capisce ma si adegua.
Leone e pecorina
Sul bunga bunga e sulle “erezioni anticipate” tutti hanno detto tutto. Aggiungere un’opinione personale significherebbe solo ricalcare quello che altri hanno già dichiarato e ribadito. Inutile.
Sottolineo dunque un altro aspetto, inerente il circuito dell’indotto che gravita attorno alla vicenda e che riguarda il modo di informare.
Porta a Porta è costretto a parlare di Sanremo, a promuovere il film di Ricky Memphis, a rispolverare Avetrana, pur di non approfondire le abitudini di Arcore e della Villa delle Libertà.
Il Tg1 fa molto meglio. Dovendo azzardare un paragone tra la vicenda Ruby e quella di altri celebri politici rovinati dai presunti scandali, riesuma l’ex presidente della Repubblica Giovanni Leone, costretto a dimettersi per lo scandalo Lockheed.
La vicenda è nota. Nel 1972 alcuni esponenti del mondo politico e militare furono accusati di aver intascato tangenti per la fornitura di aerei americani, giudicati dall’aeronautica militare “troppo costosi”. In effetti fu dimostrato che solo cinque dei quattordici aerei acquistati, potevano volare. L’episodio, molto complesso, si risolse con la condanna di molti illustri personaggi e con l’assoluzione di Leone, vessato però da una campagna d’opinione che lo costrinse a dimettersi. Anni dopo i suoi accusatori gli chiesero pubblicamente scusa. Facile trarre il parallelo: come accadde per Leone, potrà succedere che domani molti chiederanno scusa a Berlusconi, quindi pensateci bene a reclamare la sua destituzione.
Paragone azzardato. La nebbia di quella tangentopoli non è rapportabile al limpido chiarore della nostra concessionaria di “escort”. Il paragone, semmai, va cercato in altri politici, vittime della “porca assassina”. Ad esempio in Clinton o in Marrazzo: entrambi accusati, entrambi colpevoli, entrambi dimessi.
Una storia vera
Questa è la storia di un losco personaggio, che un bel giorno, messosi a capo di un grande partito, decise di prendere il potere del governo e di non mollarlo più. Nonostante i numerosi misfatti della sua torbida carriera, si avvicinò alla religione, per curare evidentemente l’opportunità finanziaria, più che quella spirituale. Divenne un grande amico di Gheddafi e dei party, tanto da spendere l’equivalente di venti milioni di dollari per una sola festa. I suoi vizi contribuirono al degrado economico della sua nazione, già in difficoltà, e nonostante si prodigasse in migliaia di inviti, la maggioranza dei grandi leader mondiali manifestò profondo imbarazzo nei suoi confronti, rifiutando di frequentarlo. Anche se il suo paese era formalmente di natura costituzionale, non vennero mai fatte riforme democratiche di rilievo, in compenso rimase ampiamente praticata la persecuzione dei suoi oppositori politici. Tra le tante imputazioni, fu anche accusato di appropriazione indebita. Ebbe tante donne e numerosi figli.
La storia è vera. Vi ricorda qualcuno?
Ahi, permette signorina…
(V. Capossela – Che cos’è l’amor)
Un’idea Capossela me l’aveva data. Ma non era riuscito a spiegarmi bene che cosè di preciso la vajassa. C’è riuscita invece la Carfagna, nella sua sottile polemica con la Mussolini. A volte un’intervista val più di mille canzoni.
Intanto le marionette della sinistra acclamano e plaudono: adesso la modella di Max è il ministro più apprezzato bipartizan (cioè lato A e lato B). Ma come? Fino a ieri era il simbolo del velinismo prestato alla politica e oggigiorno il migliore dei ministri? Da sempre citata come “più gnocca che intelligente”, e ora la riscoprono abile e competente?
Un’incoerenza d’ideali piuttosto misera per chi si propone come alternativa di governo. Neppure Capossela sarebbe d’accordo. Ma forse, come tutti, suo malgrado s’adeguerebbe. Perchè “se questa è la miseria, mi ci tuffo con dignità da rey.”
Un semplice sillogismo
Berlusconi dice che il Lodo Alfano, quello che surgela retroattivamente i processi alle alte cariche dello Stato, non l’ha certo chiesto lui. Se non l’ha chiesto lui, allora significa che la cosa non rientra tra le sue priorità e se non è una priorità, evidentemente non gli interessa. Poiché Napolitano e Fini non si sono mai proclamati particolarmente entusiasti del provvedimento e poiché Schifani non ha processi in corso, è lecito pensare che neppure i presidenti di Repubblica, Camera e Senato abbiano chiesto la stesura del lodo. Dunque, nessuno dei beneficiari è interessato alla legge.
Ma se non interessa a nessuno, allora perché tante dispute sulla norma? Perché è divenuta una priorità? Se nessuno la vuole, perché non accantonarla?
Non ho sentito alcun rappresentante dell’opposizione far leva su questo semplice sillogismo per mettere a nudo le contraddizioni di un governo banditesco e per chiamare allo scoperto la cricca che riscrive l’informazione. Di Pietro parla di democrazia, Bersani di referendum, Casini di astensione. Tante volte la gente comune capirebbe meglio i messaggi più semplici.
Zuppa di Porro
Ho sempre pensato che Nicola Porro fosse un tipo in gamba. Uno dalle idee chiare, espresse con argomentazioni nitide, senza pregiudizi inutili né facili retoriche. La risposta ai tanti, troppi, che dicono che a destra non possono esserci giornalisti capaci ed intellettualmente “puliti”.
Scopro invece che è fatto della stessa pasta dei Belpietro e dei Sallusti, stesso torbido minestrone. Quello cioè che non parte dalle notizie per costruire l’opinione, ma parte dall’opinione per costruire le notizie.