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25 aprile, Festa della Restaurazione

“25 aprile.
Una data che è parte essenziale della nostra storia:
è anche per questo che oggi possiamo sentirci liberi”

(E. Biagi)

Avremmo dovuto celebrare in serenità la Festa della Liber-Azione, ma di liber-attivo c’è stato ben poco. Su sessanta milioni di italiani, non siamo riusciti a trovarne uno che potesse diventare Presidente della Repubblica. Ritorna dunque “Napo orso capo”, uno sbarbatello della politica, classe 1926. Grande rispetto per Re Giorgio, ma è nato prima del dirigibile Italia, quando il cinema era ancora muto, la penicillina non era stata scoperta e non era stato inventato neppure il transistor. L’altro ieri insomma. Doveva esserci profumo di novità, invece rimane un forte odore di canfora.

Per la Presidenza del Consiglio, personalmente caldeggiavo il ritorno di Andreotti, per fare pendant con tutto il resto dell’arredo. Invece scende in pole position il sempregiovane Enrico Letta,. Finalmente un volto del cambiamento. Più o meno.

Enrico Letta è innanzitutto nipote dell’eminenza grigia Gianni Letta, con il quale oltre a spartire cognome e pranzi di Natale, condivide anche gli incarichi istituzionali. Nel 2006 Gianni cede ad Enrico la carica di Segretario del Consiglio dei Ministri. Nel 2008 Enrico restituisce ancora allo zio Gianni la stessa carica: impieghi di famiglia.

Ma il giovane Enrico è stato anche presidente dei Giovani Democristiani e poi Ministro di altri due personaggi bizzarri, D’Alema e Amato. Appena l’anno scorso Lusi, l’ex tesoriere della Margherita indagato per aver sottratto ingenti somme al PD, sostenne che parte di tali soldi finì proprio in tasca ad Enrico Letta. Illazioni, forse. Ma valeva la pena affidarsi ancora a questi personaggi?

Buon 25 aprile a tutti.

25aprile

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La strega cattiva

“La strega fuggì felice: l’unico antidoto era il primo bacio d’amore,
ma credeva che credendola morta i nani l’avrebbero sepolta”

(G. e W. Grimm – Biancaneve)

Qualche giorno fa Travaglio ha indicato i motivi per cui la Bonino non potrà essere il nuovo Presidente della Repubblica. Fondamentalmente perché per dieci anni si è candidata col suo partitino, al fianco di Forza Italia sostenendo talvolta battaglie insostenibili. È vero, per molto tempo il Partito Radicale ha mostrato il tipico limite di chi, essendo troppo piccolo per contare qualcosa, si affida alle braccia di chiunque possa sollevarlo dal guano in cui è solito sguazzare. Pannella & Co avrebbero fatto qualunque patto con qualunque diavolo, pur di entrare dalla cruna del Parlamento. È questo un peccato inespiabile? Forse sì, ma onestamente abbiamo visto anche di peggio.

Travaglio poi tende a confondere la condotta radicale (voto in Vigilanza Rai per imporre la par condicio tv, approvazione dell’intervento in Iraq, negazione dell’arresto di Cosentino) con la morale personale di Emma Bonino.

Emma Bonino si batte da tempi non sospetti per quello in cui crede davvero. Senza proclami falsi, senza scandali personali, senza compromessi in nome del tornaconto privato. È esponente dell’unico partito italiano veramente europeista e veramente transnazionale ed è forse l’unica a non aver mai piegato la schiena di fronte alle stringenti pressioni del clero. Condivido poco del suo pensiero, ma stimo molto la sua caratura e la sua appassionata vita politica.

Navigata senatrice ed europarlamentare, Vicepresidente del Senato, Ministro, Commissario europeo…l’esperienza c’è.

In tutti i sondaggi che interpellano gli Italiani, lei appare sempre ai primi posti. Forse perché in molti, su quello scranno la vedrebbero bene.

Ma Emma Bonino non sarà mai Presidente della Repubblica. Perché non stringe l’occhio a nessun partito importante, perché detesta gli ambienti democristiani e le stanze vaticane, perché non ha nessun pacchetto prezioso da portare in dote.

E dunque al posto di questa terribile strega, attendiamo fiduciosi un fantoccio con accontenti tutti.

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Prassi istituzionale

Il medico accorto, se gli avviene di sbagliare la cura,
non farà male a cercare chi, chiamato a consulto,
lo aiuti a portare la bara del paziente”.

(Baltasar Gracián y Morales, Oracolo manuale e arte della prudenza, 1647)

 In questi giorni tutti si chiedono che Governo avremo. È facile. Nella migliore delle ipotesi un manipolo di personaggi pro tempore, probabilmente rispettabili e anche capaci, che per qualche mese raccoglierà il supporto del Parlamento su alcuni punti programmatici chiari, elementari, indiscutibili. Seguiranno elezioni nel giro di un anno. Nel peggiore dei casi nessuno appoggerà nessuno e, dopo un mese di paralisi e di Rigor Montis, avremo le elezioni di maggio.

Intanto Re Giorgio avvia timidamente le consultazioni. La prassi costituzionale prevede che il Presidente della Repubblica individui il potenziale Presidente del Consiglio, in grado di ottenere la fiducia dalla maggioranza del Parlamento e di formare un Governo.

Al di là delle pletore di illazioni, sensazioni, ipotesi e commenti (spesso banali) che accompagnano le cronache di queste circostanze, l’elemento più interessante è rappresentato dai tecnicismi e dalle regole che governano questi giochi. Mi annoia la domanda: “Bersani riuscirà a fare un Governo?”. Mentre mi intriga la circostanza che Grillo vada a parlare con Napolitano.

Ho studiato Diritto Costituzionale e Diritto Pubblico, ma non riuscivo a spiegarmi perché Napolitano abbia convocato proprio Grillo per le consultazioni con il Movimento 5 Stelle. Perché lui e non i capigruppo grillini di Camera e Senato? Perché non invitare un esponente parlamentare del partito, preferendo un leader esterno ufficioso ad uno ufficiale?

La risposta è che questa fase della vita istituzionale del Parlamento è disciplinata soltanto dalla consuetudine e dal galateo istituzionale. Non esiste una normativa precisa in materia, la Costituzione non ne fa menzione. Il tutto è affidato alla sensibilità e al buonsenso del Capo dello Stato che potrebbe chiamare anche Pozzetto, Villaggio, Gigi e Andrea. Dire che non è una regola, ma solo una prassi significa accettare che Napolitano potrebbe anche farne a meno. Se ad esempio in questi giorni avesse voglia di starsene barricato in casa a guardarsi le repliche di Derrick su ClassTv, potrebbe dire alla signora Clio: “se suonano al campanello dì che non ci sono”, e nessuno potrebbe obiettare. Nei milioni di leggi italiane che regolano ogni aspetto della vita, non ce n’è una che sancisca con chiarezza inequivocabile chi deve parlare con il Presidente della Repubblica per fare il Governo. È pazzesco.

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La storia (siamo noi)

Un caro amico mi ha sottoposto questa citazione, evidenziandone la profonda attualità. Agghiacciante.

Il capo del Governo si macchiò ripetutamente durante la sua carriera di delitti che, al cospetto di un popolo onesto, gli avrebbero meritato la condanna, la vergogna e la privazione di ogni autorità di governo. Perché il popolo tollerò e addirittura applaudì questi crimini? Una parte per insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse e tornaconto personale. La maggioranza si rendeva naturalmente conto delle sue attività criminali, ma preferiva dare il suo voto al forte piuttosto che al giusto. Purtroppo il popolo italiano, se deve scegliere tra il dovere e il tornaconto, pur conoscendo quale sarebbe il suo dovere, sceglie sempre il tornaconto. Così un uomo mediocre, grossolano, di eloquenza volgare ma di facile effetto, è un perfetto esemplare dei suoi contemporanei. Presso un popolo onesto, sarebbe stato tutt’al più il leader di un partito di modesto seguito, un personaggio un po’ ridicolo per le sue maniere, i suoi atteggiamenti, le sue manie di grandezza, offensivo per il buon senso della gente e causa del suo stile enfatico e impudico. In Italia è diventato il capo del governo. Ed è difficile trovare un più completo esempio italiano. Ammiratore della forza, venale, corruttibile e corrotto, cattolico senza credere in Dio, presuntuoso, vanitoso, fintamente bonario, buon padre di famiglia ma con numerose amanti, si serve di coloro che disprezza, si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, di profittatori; mimo abile, e tale da fare effetto su un pubblico volgare, ma, come ogni mimo, senza un proprio carattere, si immagina sempre di essere il personaggio che vuol rappresentare.”

E. Morante – 1945

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Primarie e privarie

Da mesi il Centrosinistra, invece di infierire sul PdL allo sbando, litiga senza successo per le proprie primarie. Passerà l’inverno, il letargo, e noi continueremo a non dormire, chiedendoci invano se Renzi deve rottamare Bersani, o se PierluigisignoraCoriandoli deve rimanere saldamente al suo posto; continueremo a chiederci se la Puppato o Civati (chiiii?) sono effettivamente meglio di Ventola, se sia giusto votare nei gazebo oppure nelle vecchie cabine telefoniche dismesse. Dubbi amletici al limite del trascendente, che tolgono il sonno e l’appetito.

Non riescono ad accordarsi neppure sulle regole del (proprio) gioco, figuriamoci quando dovranno governare. Quando si dice “un inizio promettente”.

In barba a questa drammatica empasse, la Lega ha invece deciso in un fine settimana il proprio candidato alla Regione Lombardia, facendolo scegliere in quattro e quattr’otto a 10.000 elettori padani. Detto fatto, si è avverato il motto celtico: veni, vidi, votai.

Ritiratosi il monarca, anche il PdL inizia a parlare di primarie, confidando nel proverbiale motto “gli ultimi saranno i primi”.

Insomma: tutti concentrati ad assicurare la democrazia, quando le votazioni sono poco più di un gioco però. Per le politiche vere del 2013 continueremo a votare col vecchio Porcellum e nessuno pare trascorrere notti insonni per questo. Per assurdo: oggi possiamo “preferire” i candidati delle primarie, ma siamo privati del diritto di scegliere i rappresentanti effettivi del Parlamento. Ci sono primarie e privarie. Perché, come si sa, per le politiche i listini sono imposti e bloccati dai partiti stessi.

Ci vorrebbe il maggioritario a doppio turno. Al primo turno, in modo proporzionale, ogni elettore esprime liberamente la sua prima preferenza. Al secondo turno accedono i candidati che hanno ottenuto più preferenze di tutti, che hanno preso più voti proporzionali. A questo punto l’elettore effettua una seconda scelta, votando nuovamente chi preferisce davvero o chi gli fa meno schifo. Questo consentirebbe un’effettiva e libera scelta dei rappresentanti.

È chiaro, non me lo sono mica inventato io. Molti studiosi ne parlano e talvolta ne caldeggiano l’applicazione.

Ovviamente i partiti non vorranno mai un sistema dove l’elettore seleziona con più cura i propri rappresentanti. Però, per venire incontro alle esigenze dei partiti despoti, Sartori propone addirittura dei correttivi: il passaggio al secondo turno sarebbe consentito ai primi quattro-cinque partiti. Dopodiché, al secondo turno i due partiti minori (dei quattro-cinque) avrebbero la scelta di ritirarsi e così di fruire di un “premio di tribuna” (ad esempio del 20% dei seggi); oppure di combattere le elezioni, perderle, ma così facendo perdendo anche il proprio premio di tribuna.

I modi e le idee per cambiare un po’ ci sono. La volontà meno.

 

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Regione e sentimento

“Fiorito è un prodotto della democrazia.
Molti italiani che oggi sbraitano contro la casta,
ove ne facessero parte, sarebbero identici a Franco Fiorito,
per il semplice fatto che sono identici a Franco Fiorito anche adesso.”

(M. Serra – L’Amaca)

L’unica, amara, consolazione è che certe cose non succedono solo in Lombardia. Regione che vai, spreco che trovi. Le cronache dei clientelismi, dell’esosità e delle ruberie della politica ormai non sorprendono più. Non disgustano più l’immoralità e la smodatezza dei costumi, perché, nostro malgrado, ci siamo abituati. Ciò che ripugna è la sfrontatezza e l’ingordigia con cui gli sperperi si perpetrano e ci vengono candidamente sbattuti in faccia. L’ingordigia dei mediocri, la chiama Stella.

Ultimo caso: il Lazio. Mentre gli operai abitano sui tralicci per difendere il lavoro, tredici consiglieri regionali ottengono in un anno due milioni di euro, spendendone 900.000 in manifesti e 200.000 in alberghi, bar e ristoranti (sarà il caro prezzi del settore alimentare?).

Nel bilancio del gruppo consiliare Pdl alla Regione Lazio, 665.000 euro sono destinati a “collaboratori e consulenze”, 114.000 alle “spese di rappresentanza”. Per la stessa voce i Radicali spendono 662 euro, e d’altro canto stanno all’opposizione.

Sempre in Lazio, il capogruppo Udc, che siglava tutte le ricevute, non sa spiegare cosa comprendessero i 145.000 euro di “spese varie”. Come Rutelli, che firmava i bilanci di Lusi, risponde: “Non lo so, non sono mica un ragioniere”. Ci mancherebbe…

E mentre in Veneto, a sentir parlare di sprechi, si urla “Ostrega!”, al ristorante Batman urla “Ostrica!”: 800.000 euro in pesce, champagne e auto nuova. Cene da supereroe.

Illo tempore il Comune di Volta spese 5.000 euro per un calendario con foto d’epoca: troppi soldi, si tuonava. La Regione Calabria ne ha buttati 140.000 per stampare un libro autopromozionale di 125 pagine dal titolo “Il senso delle scelte compiute”.

Sempre la Calabria sborsa 700.000 euro per la c.d. “rappresentanza”. Cifre che non dicono nulla, perché non abbiamo grossi riferimenti. L’Emilia Romagna però ne spende un sesto, anche se i suoi abitanti sono il doppio e il suo pil il quadruplo.

Sicilia: non basta il monito per gli scandali dei figli di Di Pietro e di Bossi. Il governatore Lombardo, dopo aver collocato il fratello, ora candida il figlio. “Ricongiungimenti familiari”, li chiamava qualcuno.

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Pesca alla Trota

“Alcune prove circostanziali sono molto solide,
come quando si trova una trota nel latte”

(Henry David Thoreau)

Inizia a diventare demagogico e populista fare la lista dei privilegi della Lega e ormai è quasi inutile parlare del buco verde creato in Padania e perseverare nella pesca alla Trota.

Non voglio rincarare la dose, ma le dimissioni di Renzo Bossi pare che gli fruttino una discreta buonuscita. La legge regionale numero 12 del marzo 1995 stabilisce infatti che “Ai consiglieri cessati in corso di legislatura… spetta una indennità di fine mandato”. La sua indennità di fine mandato supera i 40 mila euro. Ci scappa l’auto nuova, per dare l’esempio.

Nulla di stupefacente, certo. Però se fossi uno di quei dodicimila che l’hanno votato alle regionali farei un po’ fatica ad addormentarmi.

Buonanotte e sogni d’oro a tutti.

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Dimissioni inaspettate

Quando vedo il tricolore mi incazzo.
Il tricolore lo uso per pulirmi il culo

(U. Bossi, senatore della Repubblica Italiana, 26 luglio 1997)

 

In un paese dove per un autogol in serie A puoi guadagnare 300.000€ e dove uno stenografo della Camera è pagato più del sovrano spagnolo, provocano meraviglia le dimissioni di Bossi per qualche migliaio d’euro sottratto al suo partito.

In pochi però si sono meravigliati del fatto che le sue dimissioni non siano arrivate nei decenni scorsi. Nel 1994 è condannato con sentenza definitiva dalla Cassazione a otto mesi di reclusione per violazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti. Massì, cosa vuoi che sia? È il sistema.

Nel 1997 è condannato in contumacia a un anno e quattro mesi di reclusione, per vilipendio alla bandiera italiana. Nel 2007 la Cassazione lo condanna in via definitiva. Solo folklore, lui è fatto così

La vita privata, se possibile, è ancora peggio.

Nel 1975 si sposa con una commessa di Gallarate. Bossi ha 34 anni e non ha, all’epoca, un lavoro fisso. La moglie dà al marito un ultimatum: un lavoro stabile è necessario per portare avanti la famiglia. Nel 1982 la moglie chiede e ottiene la separazione, dopo aver scoperto che Umberto usciva tutte le mattine di casa con la valigetta del dottore, dicendole “ciao amore, vado in ospedale”, senza essersi però mai laureato in medicina.

Umberto da sempre si scaglia contro i privilegi e il nepotismo, ma la seconda moglie è titolare di una baby pensione dall’età di 39 anni, e suo fratello (licenza media inferiore) è nominato nel 2004 assistente parlamentare: 12.750 euro al mese.

Dulcis in fundo, il figlio Renzo. Nel 2009 è nominato membro dell’Osservatorio sulla trasparenza e l’efficacia del sistema fieristico lombardo (organismo istituito proprio su iniziativa della Lega): stipendio di 12.000 euro mensili. Renzo attualmente è componente sia della Commissione I Programmazione e Bilancio sia della Commissione II Affari Istituzionali di Brescia e percepisce un trattamento economico netto mensile tra 9.831 e 11.4970 euro.

Tutto normale, meravigliamoci delle dimissioni. Inaspettate davvero.

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Rigor Montis

Ti ricordi quando tu combattevi per qualcosa in più
Figlio della povertà, di un onesto uomo andato via

(Timoria – Sacrificio)

 

Se questi identici sacrifici economici li avesse proposti Berlusconi, tutti quanti l’avremmo accoltellato seduta stante, tacciandolo come infame sultano dello stato di bananas. Invece la manovra di Monti ci appare magicamente necessaria ed inevitabile, quasi quasi ci piace pure.

Magie della suggestione, ma non solo. La differenza la fa la credibilità dell’uomo. Monti non bestemmia, non racconta barzellette ai giornalisti, ma li redarguisce se arrivano in ritardo alla conferenza stampa. Non trascorre le serate a mignotte e non deve difendersi da nulla. In Europa non sbeffeggia i capi di stato, non fa le corna e tutti quanti gli stringono la mano.

La gente moribonda, in preda al rigor montis, resta ora in attesa di vedere tutti i dettagli della sua mazzata. Nel frattempo apprendiamo con piacere che per primo si sia levato gli stipendi. Non è granché, ma almeno l’immagine è salva. Soffriremo in silenzio.

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Auguri professore

 “…la storia è questo giorno qui, questo paese che non cambia mai,
queste strade che non portano da nessuna parte”

(S. Orlando – Auguri Professore)

Non è passato nemmeno un mese da quell’apostrofe a Gheddafi “sic transit gloria mundi”, che Berlusconi si ritrova col culo per terra: sic transit gloria a Monti.

Arriva il professore, cioè la miglior cosa che poteva capitarci. Ottimismo sì, ma anche attesa prima del giudizio. L’ottimo Stella ha già definito il primo metro per misurare se Monti ed il suo governo tecnico saranno utili, oppure no.

Scelga di chiamarsi fuori da quelle posizioni di rendita, spalanchi le finestre, imponga la massima trasparenza, mostri ai cittadini tagli veri a una politica ingorda che in trent’anni ha moltiplicato per 41 volte i costi degli affitti di Montecitorio, punti su uomini che, non cercando consensi elettorali, sgobbino dove devono sgobbare e non passino le giornate (i dati sono dell’Osservatorio di Pavia) andando in tre anni 38 volte a Porta a Porta e spostandosi come trottole da un convegno a una inaugurazione, da un meeting a una sagra della zucca, della castagna o del peperoncino. Se la giochi fino in fondo. E vedrà che, rovesciando tutto, forse avrà più possibilità che non rovescino lui“.

Auguri professore.

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