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Tartufo costituzionale, sì o no?
Posted by Giullare in Buona Forchetta, Politica on 25 novembre 2016
“In Italia si può cambiare soltanto la Costituzione. Il resto rimane com’è”
(I. Montanelli, su Frankfurter Allgemeine Zeitung)
Le qualità migliori del mio amico Augusto sono che abita in una zona di produzione di tartufi, che se ne intende e che spesso li porta in dote con se quando si sposta. Adorabile (il tartufo).
E galeotta fu la cena. Perché ieri tra un crostino ed una tagliatella all’uovo, la taglierina ha sfavillato. Lo champagne vellutato ha ammorbidito gli animi ed il referendum costituzionale alle porte è stato oggetto di acceso dibattito. Augusto, accanito sostenitore del “sì”, mi ha dato dieci buoni motivi per approvare la riforma. Il sottoscritto, fervido difensore del “no”, ne ha suggeriti altrettanti per cassarla.
In assoluto, probabilmente nessuno dei due ha ragione. Di seguito riepilogo il nostro contributo al dibattito di riforma costituzionale. Ciascuno potrà attingere dove e come vuole.
Ah…ringrazio ovviamente Augusto per il tartufo e la padrona di casa per le ottime tagliatelle.
Voterò Sì
- perché non voglio più 315 senatori, lautamente pagati, per fare lo stesso lavoro di 630 deputati, lautamente pagati;
- perché non voglio più che i consiglieri regionali prendano somme scandalosamente alte. Lo stipendio del sindaco capoluogo di regione basta e avanza. Va bene anche che i gruppi regionali non abbiano più il finanziamento pubblico;
- perché si abolisce il CNEL, che nessuno sa cosa fa, compresi i membri del CNEL. Costa 20 milioni di euro all’anno e, in totale, è costato un miliardo alla finanza pubblica;
- perché le province saranno finalmente abolite, togliendo la parolina dalla Costituzione;
- perché non ne posso più delle materie “concorrenti” tra stato e regioni. Dopo 15 anni nessuno ha capito cosa fa uno e cosa deve fare l’altro;
- perché il Parlamento avrà, finalmente, l’obbligo di discutere e deliberare sui disegni di legge di iniziativa popolare proposti da 150mila elettori;
- perché saranno introdotti i referendum propositivi e d’indirizzo. Si abbassa il quorum per la validità dei referendum abrogativi. Se richiesti da 800mila elettori, non sarà più necessario il voto del 50% degli aventi diritto, ma sarà sufficiente la metà più uno dei votanti alle precedenti elezioni politiche;
- perché TUTTE LE FORZE POLITICHE, nessuna esclusa, nella campagna elettorale del 2013, promisero che avrebbero fatto le riforme costituzionali;
- perché se non passa questo Referendum nessuno parlerà più di riforma costituzionale per i prossimi 20 anni, con grande gioia dei senatori e consiglieri regionali;
- perché votano NO: D’Alema, Fassina, Civati e i 3.000 gruppi della sinistra dura e pura che, nel totale, hanno 2.500 voti. Perché votano no: Brunetta, Berlusconi, Grillo, Casaleggio & Associati, Fini, Salvini, Meloni e Schifani. Se votassero no anche Bersani & C. – che hanno approvato, per tre volte, la riforma in Parlamento – sarebbe un mondo perfetto.
Voterò No
- Tanto fumo. Perché il Senato non viene eliminato, viene modificato. Sarà eletto dai Consiglieri regionali, non dai cittadini. Non rappresenterà i territori, ma i partiti sul territorio. Manterrà competenza legislativa ma farà anche altro, anche se non si è capito bene cosa. Di certo, il bicameralismo rimane;
- Servitori di due padroni. Perché nel Senato i ventuno Sindaci saranno eletti dai Consiglieri Regionali. Godranno dell’immunità parlamentare. Rappresenteranno i cittadini dei Comuni o i Consigli Regionali? Faranno i Sindaci o i Senatori? Nessuna nazione al mondo annovera Sindaci in Parlamento;
- Che confusione, sarà perché votiamo. Perché è inaccettabile che i rappresentanti eletti, e delegati dal popolo, deleghino a loro volta il popolo per fare le leggi. La riforma prevede referendum propositivi e d’indirizzo, quorum ridotti per i referendum abrogativi. Insomma, chi è senza legge scagli il primo referendum. Con buona pace del risparmio e della classe politica efficace ed efficiente;
- Ripicca. Perché il Premier aveva legato le sorti del suo Governo a questo voto. Poi, di fronte ai primi sondaggi negativi, ha imboccato contromano la direzione opposta. Non sarà la più nobile delle motivazioni, ma qualcuno dovrà pur rispondere di quello che dice. Cominciamo dall’alto;
- Provincialismo. Perché le Province saranno eliminate dalla Costituzione, ma possono tranquillamente rimanere come enti non costituzionali. Fuori dalla porta, dentro dalla finestra;
- Perché voterà “No” Zagrebelsky, non proprio l’ultimo degli imbonitori. Questa riforma mira unicamente a rafforzare l’esecutivo, che di fatto deciderà l’agenda del Parlamento. E se ci aggiungiamo il pastrocchio dell’Italicum, l’autoritarismo è servito. Finché governa chi ci piace tutto bene, altrimenti…;
- Ciocapiàt. Perché la sbandierata riduzione del numero dei parlamentari in realtà riduce solo una parte del Senato, cioè la Camera già più ristretta e più efficiente. Rimangono i 630 deputati, che evidentemente servono tutti quanti. La riduzione degli emolumenti dei parlamentari non dipende dalla Costituzione, eventualmente dovrebbe avvenire con Legge dello Stato. La riforma si limita invece a togliere le indennità per i senatori, ma tutto il resto, rimborsi erga omnes, rimane;
- Saggezza. Perché per dirimere le materie “concorrenti” tra Stato e Regioni si punta nella direzione sbagliata. Anziché decentrare le competenze verso un moderno federalismo, la riforma centralizza. A breve anche la riesumazione di Giolitti e Cavour;
- Circonvenzione d’incapace. Perché il quesito della scheda è scritto in modo truffaldino e spinge l’elettore sprovveduto giocoforza a concordare. Se la riforma è così bella, c’era bisogno di questo bizzarro espediente?
- Regole del gioco. Perché per cambiare la Costituzione dovremmo essere d’accordo in tanti, non solo Renzi e la Boschi. Qua cambia più di un terzo della Carta: 47 articoli su 139. La Costituzione, lo dice la parola stessa, “costituisce” la base della società civile di una nazione e come tale andrebbe scritta, emendata, rafforzata con un consenso amplissimo. E il consenso amplissimo non è una corrente di governo, né una maggioranza di un referendum senza quorum.
Raggi X
“Ho letto quella mail ma ho capito male“
(L. Di Maio)
Doveva capitare ed è capitato. Le polemiche intorno alla vicenda Raggi hanno evidenziato le goffe contraddizioni di un Movimento che, come tanti prima e peggio di lui, assurge per sua natura alla trasparenza totale e all’infallibilità intellettuale. Additare chiunque di disonestà, e autoproclamarsi paladini unici della purezza e dell’integrità, rischia di essere controproducente. Soprattutto all’atto del “fare”. Perché prima o poi a certi livelli, direttamente o indirettamente, per colpa o per dolo, si viene inevitabilmente ripagati con la stessa moneta. La storia è piena di scivoloni negli stessi anfratti che poco prima si voleva esorcizzare. Predicare è una cosa, razzolare un’altra.
Non capisco lo stupore di fronte ai riflettori puntati, però. È vero che le accuse, per fatti veri o presunti, sono tutto sommato blande. È vero anche che altrove è successo e succede di peggio, senza troppi clamori della cronaca. Ma è anche vero che nessuno come i Cinque Stelle si è mai proclamato così integerrimo e al di sopra delle parti. E le accuse di complotto… le abbiamo già sentite per trent’anni.
Il Movimento, che è stato abilissimo ad intercettare il malcontento popolare ed a fornire un’alternativa, dovrebbe prendere atto che governare è ben diverso dal fare opposizione. Dovrebbe rispondere meno alle polemiche dei giornali e più alle domande dei cittadini. Meno video messaggi e più concretezza. Perché oltre alle perplessità sulla sua incoerenza, non si instauri anche il dubbio della mediocre incapacità.
Referexit
“Il primo referendum della storia fu indetto da Ponzio Pilato, e si è visto come è andata a finire: votarono Barabba”
(G. Papi, Il Post)
Dopo aver lasciato sedimentare l’assurdo esito del voto inglese sulla Brexit, mi convinco sempre di più del fatto che il suffragio universale sia una piaga senza cura. L’assunto della concezione democratica, per cui la maggioranza è sacra, assume efficienza se la maggioranza è competente e autosufficiente. Ma spesso non lo è affatto.
Viviamo in quell’illusione, figlia della Rivoluzione francese, per cui tutti siamo uguali e ciascuno vale uno. Mi ripeto: il principio di rappresentatività, indispensabile regola per governare e amministrare i popoli, implica che “i molti” deleghino “i pochi”. Se avviene il contrario, può accadere che “i molti” risultino inadeguati e “i pochi” inutili.
Un voto per il voto
“Un governo popolare, quando il popolo non sia informato o non disponga dei mezzi per acquisire informazioni, può essere solo il preludio a una farsa o a una tragedia, e forse a entrambe”
(J. Madison, quarto presidente degli Stati Uniti)
Al mondo esistono vizi e abitudini orripilanti. C’è chi spende la vita alle slot machine, chi si nutre al McDonald’s, chi non perde una puntata di “Amici” e chi compone le mail in Lucida Calligraphy. C’è chi scrive “un pò” con l’accento, chi non vaccina i bambini, chi si mette i calzini bianchi e chi condivide su Facebook le frasi di Paolo Fox. Ciascuno ha il diritto di assecondare le passioni che crede, ma c’è un problema di fondo. Il problema è che anche queste persone alle fine votano. Votano esattamente come me e come voi. Hanno il nostro stesso diritto di scegliere il governo, di eleggere il sindaco, di decretare le sorti di un referendum.
Il direttore di una rivista americana, ben consapevole di questa piaga mondiale, ha avanzato una provocazione che io preferisco definire “proposta”: sottoporre gli elettori ad un esame, per verificarne la preparazione e l’affidabilità. Per votare devi essere meritevole ed attendibile. “Se il voto è un rito consacrato della democrazia, come spesso sostengono i progressisti, è giusto che la società abbia delle pretese minime su chi vi partecipa; e se la cittadinanza è un valore sacro, come sostengono i conservatori, allora si può pretendere da un potenziale elettore lo stesso livello di informazione di un potenziale cittadino. Eliminando i milioni di elettori irresponsabili che non si prendono il disturbo di imparare i meccanismi più basilari della Costituzione, o le proposte e la storia del loro candidato preferito, forse potremmo riuscire ad attenuare le conseguenze della sconsideratezza del loro voto”.
Qualche anno fa, un settimanale americano sottopose all’esame per la cittadinanza un migliaio di cittadini: il 30% non sapeva chi fosse il vicepresidente; il 60% non conosceva la durata del mandato di un senatore; solo il 30% sapeva che la Costituzione è la legge suprema degli Stati Uniti. E in Italia sarebbe sicuramente andata peggio.
Siamo in mano a costoro, ignoranti e sbadati, apatici e imprudenti, noncuranti e minorati: eleggono chi comanda e sono i primi responsabili dei nostri destini.
Attendo fiducioso un rappresentante del popolo che si faccia portatore di questa mozione.
Tu vo’ fa l’americano
“Alcuni credono di aver fatto dei gran passi avanti, e di tutte le qualità che possiedono solo la presunzione si trova d’accordo con questa loro idea”
(A. Schnitzler, Il libro dei motti e delle riflessioni)
Da settimane l’Italia è spaccata nel dibattito sulla stepchild adoption. Non si parla d’altro. Discussione lecita, confronto sacrosanto. Ma l’impatto di queste scelte quante persone riguarda? Di quante ipotetiche adozioni di figli del partner omosessuale stiamo parlando? Dieci, cento?
Nelle stesse ore è passato in sordina un altro argomento, che meriterebbe maggiori attenzioni. Nella noncuranza del Parlamento e all’insaputa dell’opinione pubblica, all’indomani della strage di Parigi è stato convertito in legge un Decreto che attribuisce al nostro Premier speciali poteri di guerra. In poche righe viene modificata la catena di comando. Saltando il voto del Parlamento, Renzi può decidere in autonomia le operazioni dell’Aise (servizio segreto per la sicurezza esterna): i nostri militari di unità speciali avranno le garanzie degli 007, licenza di uccidere e impunità per eventuali reati commessi”. I servizi segreti, sotto la cabina di regia del premier, assumono il comando, mentre i militari agiscono con garanzia di totale impunità. Gioca a fare la Cia, il nostro Presidente.
Ecco, vorrei che si parlasse più di questo che delle coppie gaie.
Annuntio vobis
“Niente ha bisogno di essere riformato quanto le abitudini degli altri”
(M. Twain, Wilson lo svitato)
Un anno fa, febbraio 2014. Il neo premier prometteva “una riforma importante al mese, per i successivi tre mesi”. Ne son passati dodici.
Ogni giorno ci raccontano che le province saranno azzerate, ma sono ancora tutte lì. Il morituro Senato sta vivendo una seconda giovinezza, mentre accoglie nuovi componenti eletti a vita. La legge elettorale non convince né decolla. Il Jobs Act ci ha portato indietro di trent’anni. E si potrebbe continuare, parlando di pubblica amministrazione, di depenalizzazione per evasioni fiscali inferiore al 3% dell’imponibile, di ventuno votazioni per eleggere i giudici della Corte Costituzionale.
Nel frattempo il rappresentante della Folletto che siede a Palazzo Chigi continua a raccontarcela: riforme urgenti e improcrastinabili, chi ci ferma è perduto.
È un po’ il divario che c’è tra il dire e il fare, tra l’annuncio e l’opera.
Attendere, prego.
Delirio democratico
“La democrazia fondata sull’uguaglianza assoluta è la più assoluta tirannide”
(C. Cantù, Attenzione!)
Per carità, io sarò anche schizzinoso, su questo siam d’accordo. Però qualcuno mi deve spiegare bene la pantomima delle Quirinarie Cinque Stelle. I parlamentari pentastellati si sono presi l’impegno di candidare al Quirinale il personaggio più votato dalla rete dei simpatizzanti. Ma perché? Per mostrare un immenso spirito democratico? Per l’incapacità di motivare la scelta arbitraria di un nome qualunque? Per vacanza di idee credibili?
Conseguenza: Imposimato si ritrova candidato, perché votato da 16 mila Italiani su 60 milioni. Viene designato alla Presidenza della Repubblica perché scelto dallo 0,27% della popolazione.
La democrazia è un’altra roba.
La guerra di Troika
“Si prega Grillo e M5S di scendere dal carro del vincitore in quanto Syriza è un partito dichiaratamente di estrema sinistra (postideologico un par de ciufoli) inoltre in Europa te lo vedi davanti perché sta seduto dall’altra parte, tu accanto c’hai Farage”
(commento spassionato di un utente sul web)
Come volevasi dimostrare, la vittoria della sinistra radicale greca contro la cosiddetta Troika fa applaudire tutti i flottanti euroscettici d’Italia, prontissimi a cavalcare qualsiasi onda, senza badare troppo al colore o alla direzione. Allora tutti con Tsipras, chiunque esso sia.
Meloni: “il risultato delle elezioni in Grecia racconta il fallimento delle politiche della Troika e la voglia di libertà che arriva dai popoli europei”. Salvini: “un bello schiaffone all’Unione Sovietica Europea dell’Euro, della disoccupazione e delle banche. Adesso tocca a noi”. Anche Grillo, dopo averne detto peste e corna, ora riabilita il modello Tsipras.
Se la vittoria di Tsipras sia un bene oppure un male, è presto per dirlo. Le inevitabili ripercussioni in Italia e in Europa arriveranno nei prossimi mesi. Nel frattempo, un po’ di silenzio e di coerenza non guasterebbero.
Vade retro
(G. Soriano – Malomondo)
Dalla nascita del Codice Civile ad oggi, credo sia la prima volta che si arretra in materia di diritto del lavoro. Fino ad oggi ci sono state innumerevoli negazioni dei diritti richiesti, ma mai retrocessioni sulle conquiste sindacali raggiunte. Inerzia sì, ma regressione no.
Lo fa un governo di centrosinistra, con un lenzuolo di voti di fiducia. Ottima prova di responsabilità.
Dai sindacati arriva una domanda assillante, alla quale però nessuno ha ancora risposto: quale nesso scientifico esiste tra il libero licenziamento ed il superamento di una crisi economica? Probabilmente nessuno.
A parte ciò, il problema è alla fonte. La vera preoccupazione non è la riforma dell’articolo 18, circostanza di per sé residuale e forse anche poco significativa. La vera angoscia sta in questa tendenza a togliere quello che si ha, a demansionare senza motivo l’individuo, di fatto ad impoverirlo.
Chi ha votato coloro che, convinti od obbligati, hanno favorito l’approvazione di questa nefandezza, è bene che si faccia delle domande. Per il resto… indietro così.
Ogni erba non è un fascio
(G. Brera, L’arcimatto)
È tipico del qualunquismo generalizzare un comportamento particolare e attribuire a tutti una caratteristica tipica di pochi o di molti. Nel gergo contadino si chiama “fare d’ogni erba un fascio”, cioè generalizzare eccessivamente, non considerando le differenze e le distinzioni tra i vari tipi di “erba” e pretendendo di riunire tutto in un unico “fascio”.
Finalmente qualcuno è riuscito a mettere in rete una classifica sull’affidabilità dei singoli parlamentari, esorcizzando la diffusa opinione che alla fin fine son tutti uguali.
Sul sito di Openpolis c’è innanzitutto la classifica delle presenze. E si scopre che molti assidui ospiti di Porta a Porta entrano in Parlamento poche volte l’anno. Altri anonimi ragionieri rasentano l’en plein di presenze. Non sarà un indicatore infallibile, ma è difficile che chi non arriva neppure all’1% di presenze, risulti credibile quando promuove il proprio impegno per i cittadini .
E poi viene calcolato un indice di produttività, sulla base di un algoritmo che considera la tipologia di atti prodotti, il loro iter procedurale (quanta strada riesce a fare un atto in Parlamento) ed il loro consenso (quante firme ottiene da altri parlamentari), la partecipazione del parlamentare stesso ai lavori in Commissione e in Aula, gli interventi effettuati, le presenze alle votazioni.
Nulla di infallibile, ma comunque un discreto supporto per giudicare con ragione, senza sparare troppo nel mucchio.