Archive for category Politica

E la manovra «inghiottì» muli e burattini

Silvio Berlusconi si è scottato con la borsa dell’acqua calda? C’è chi si è ustionato di più con la Legge finanziaria. Come le famiglie con figli down. Che ancora una volta si sono sentite tradite. Erano più di dieci anni che aspettavano che fosse riconosciuto a tutti i disabili, anche a quelli un po’ meno gravi che qualche lavoretto riescono a farlo, il diritto alla pensione di reversibilità dei genitori. I quali vivono con l’incubo di morire lasciando i loro cari esposti alla vita quotidiana come ai flutti di un mare in burrasca. Avevano scritto a Tommaso Padoa-Schioppa e il ministro dell’Economia, turbato, aveva dato la sua parola: quel milione e mezzo di euro necessario, cascasse il mondo, sarebbe stato trovato.

Macché: all’ultimo momento la commissione bilancio della Camera, dovendo tagliare qua e là per far quadrare i conti, ha tagliato là: «Spiacenti, i soldi sono finiti». Una figuraccia. Imbarazzante. L’ennesima di un percorso governativo accidentato. E segnato da scivoloni. Prima la rimozione dal cda Rai di uno dei rappresentanti del centrodestra, quell’Angelo Maria Petroni che, sbrigativamente rimpiazzato con l’«indipendente» Fabiano Fabiani, ha vinto il ricorso per tornare al proprio posto. Poi la destituzione del comandante della guardia di finanza Roberto Speciale con procedure così sballate (a partire dalla «promozione » rifiutata alla Corte dei Conti) da esporre l’atto all’annullamento da parte del Tar. Poi ancora il «pacchetto sicurezza» che, mille volte promesso e rilanciato dopo il brutale omicidio a Roma di Giovanna Reggiani, finisce per venire talmente pasticciato, sia sotto il profilo costituzionale sia sotto quello politico con l’aggiunta dell’omofobia, da dover essere ritirato prima di essere esposto a nuove bocciature… Insomma, una via crucis. Della quale la Finanziaria, corretta in corsa anche nelle tabelle riassuntive dato che si sono accorti che c’era un errore di 345 milioni (!) è una stazione. Di spine e dolori. C’è chi dirà che, quanto a delirio burocratese, va già meglio dell’ultima volta. Quando i commi inseriti in un solo articolo per tagliar corto con obiezioni, emendamenti e ostruzionismi vari, furono 1.365, record planetario. Ed è vero: i commi sono scesi a 1.201, cioè 164 di meno e spalmati su tre articoli. Ma sono comunque più del doppio di quei 572 commi che nel 2005 costarono al governo delle destre un brusco richiamo di Carlo Azeglio Ciampi. E’ questo che intendeva Romano Prodi quando, sotto l’infuriare delle polemiche intorno al progressivo e mostruoso gonfiarsi delle leggi di bilancio (244 commi nel 1995, 471 nel 2002  o 612 nel 2006…) promise che quella di quest’anno, dopo la prima di «rodaggio», sarebbe stata «una Finanziaria snella»? Boh…

Certo è che, rispetto agli ultimi tempi della famigerata Prima Repubblica, quando la legge di bilancio introdotta nel 1978 diventò in pochi anni una creatura affetta da una spaventosa elefantiasi e si guadagnò da Giuliano Amato la definizione di «ultimo treno per Yuma» («Chi non sale rischia di restare definitivamente a terra. Di qui le mille spinte per infilarci dentro di tutto, grandi e piccole cose, dalla spesa sanitaria al rafforzamento della Rocca di Orvieto, dalla Valtellina al restauro delle mura di Ferrara») non sembra essere cambiato molto. Anzi. Certo, non ci sono più personaggi come Wilmo Ferrari, un commercialista veronese dalle lenti spesse come fondi di bottiglia che veniva chiamato «Wilmo la clava» per l’irruenza modello Flintstones con cui randellava tutto quello che poteva dar fastidio ai suoi elettori. E anche Teresio Delfino, che pure siede ancora alla Camera per l’Udc, non ha più la cocciutaggine piemontese di un tempo, quando nei giorni in cui stava nel suo collegio cuneese produceva mucchi di figli (fino ad arrivare a sette) e quando stava a Roma produceva mucchi di emendamenti, come quello indimenticabile che fissava: «l’accettazione delle scommesse sulle corse dei levrieri di cui alla legge 23/3/1940 n. 217 è consentita presso gli impianti di raccolta situati all’interno dei cinodromi… ».

Il senso della Finanziaria, però, è rimasto quello che Paolo Cirino Pomicino teorizzò un giorno, ironicamente, col nostro Dino Vaiano: una distribuzione di vol-au-vent. Uno stuzzichino a tutti, con «la dignità di un negoziato politico»: alla maggioranza e all’opposizione. Basti pensare ai due milioni di euro concessi a Treviso come prima tranche per il velodromo, fortissimamente voluto (nella speranza di avere i mondiali di ciclismo del 2012: auguri) dai parlamentari leghisti Gianpaolo Dozzo e Guido Dussin, che sono tra i promotori della società «Ciclisti di Marca» e hanno fatto della bicicletta agonistica uno dei cavalli da battaglia, scusate il bisticcio, della loro campagna elettorale. Direte: cosa c’entra il velodromo con la Finanziaria? Poco. Ma non meno delle nuove disposizioni fiscali sugli «spettacoli di marionette e burattini». O delle nuove regole erariali sui «cavalli, gli asini, i muli e i bardotti destinati all’alimentazione». O del «recupero delle ferrovie dismesse con piste ciclabili». O ancora della destinazione a Foggia di 2 milioni di euro per realizzare nella città pugliese, poco nota al mondo gastronomico nonostante la «Farrata» con la ricotta o la «tiella» di riso, patate e cozze, una sede distaccata dell’Autorità della sicurezza alimentare. Per non dire della cessione alla Russia della proprietà della chiesa ortodossa di Bari oggi di proprietà del Comune, il quale avrà in cambio dallo Stato italiano un edificio oggi caserma. O della detassazione degli utili reinvestiti nelle produzioni cinematografiche voluta da Willer Bordon e Gabriella Carlucci. O della norma che finanzia l’acquisto di idrovolanti destinati al collegamento con le isole minori. Tutte cose che, per carità, saranno utilissime, centrali, indispensabili.

Come ai tempi delle Finanziarie berlusconiane, apparve indispensabile l’autofatturazione per i ristoranti che acquistano tartufi da raccoglitori occasionali «non muniti di partita Iva». Ma resta la domanda: possibile che tutte queste cose debbano ogni volta finire nell’imbuto della Finanziaria? Facciamo una scommessa. Chiusa la faticosissima partita, c’è chi dirà: basta con queste finanziarie, questa sarà l’ultima. Ecco: vorremmo che almeno questo sfogo vecchio come il cucco, almeno stavolta, ci fosse risparmiato. E’ chiedere troppo?
 

Gian Antonio Stella (Corriere Della Sera 20 dicembre 2007)
 

Nessun commento

Quelli che aspettano il panettone

Se prima era il centrodestra a fare da Cassandra, profetando ad ogni occcasione la dissoluzione del Governo, oggi le serpi cospiratrici sono tutte in seno al centrosinistra.
L’infausto Fausto, tutt’uno col ruolo istituzionale solo quando vuole lui, ha già iniziato ad esprimere sdegnati pareri di merito e a vaticinare catastrosi responsi. Ancora lui, che pose fine al primo governo Prodi, oggi dagli scranni della presidenza della Camera si lascia andare a funeste profezie. Che cambi compagnia, verrebbe da dire.
Non può essere da meno padre Clemente. “Se passerà la norma sull’omofobia nel pacchetto sicurezza, sarà crisi di Governo”, biascica irritato il Guardasigilli.
Far cadere un governo per una quisquiglia simile sarebbe una vera idiozia. Trovati traballanti compromessi su finanziarie, missioni militari all’estero e gigantismi d’ogni specie, ora si manda a casa un esecutivo per un dettaglio insignificante di un decreto legislativo? Sappia, il cattolico Mastella, che è più irresponsabile consegnare l’Italia alla staticità e alla precarità del non-governo che votare un provvedimento in difesa degli omosessuali.

Nessun commento

L’ennesimo lifting

Il coniglio estratto dal cilindro del Cavaliere, in piazza S. Babila pochi giorni fa, ha stupito ogni astante e sorpreso tutti gli addetti ai lavori. L’inatteso exploit del più esperto dei prestigiatori.
Con un sol colpo, magistralmente meditato e riuscito, Berlusconi ha portato in cascina parecchio fieno.
Innanzitutto si è ritagliato una settimana (almeno) di prime pagine e discussioni, rientrando sulla scena politica dalla porta principale. Non s’è parlato d’altro, rievocando anacronisticamente lo spirito nuovo della sua “discesa i campo”. Proprio come se per quindici anni fosse stato altrove.
In secundis il Cavaliere ha oscurato, con una sorta di ingente eclissi mediatica, Veltroni e il suo neonato partituccio. Mesi e mesi per partorire il deforme feto del PD ed oggi il perbenista Walter si ritrova senza voce e senza i clamori e la pubblicità che tanto aveva sognato, progettato, meritato. Doveva essere la stagione del Partito Democratico, nella quale spiegare e promuovere uomini, idee e programmi nuovi (nuovi?), ed invece si è rivelata la stagione del Partito del Popolo delle Libertà, delle donne arrembanti e del rosso malpelo.
Infine Berlusconi ha ristabilito le gerarchie all’interno della propria scuderia. Soffrendo, il Nostro, di egocentro-narcisismo tremens, mal sopportava i picchi di popolarità ed il successo dei Fini e dei Casini qualunque: “il capo sono io, o con me o contro di me”.
Proprio quest’ultima circostanza, ovvero il macero della CdL, rischia di rappresentare l’elemento più innovativo di tutta la delirante fiction.
Delle anomalie politiche che farciscono l’annuncio di Berlusconi, le più macroscopiche sono fondamentalmente due.
La prima è che a fronte della farsa del referendum “subito al voto” promosso contro Prodi, Berlusconi ha applicato una curiosa proprietà transitiva. Siccome, secondo lui, dieci milioni di italiani vogliono che Prodi vada a casa, allora questi cittadini vogliono che io fondi un partito nuovo. Intanto sarebbe interessante verificare davvero quanti si sono recati ai gazebo per l’assurda raccolta di firme di Forza Italia, dieci milioni sembrano francamente un po’ troppi. Ma poi come si può trasporre la richiesta di nuove elezioni, nel mandato a fondare un nuovo partito? Per assurdo anche un rifondarolo potrebbe chiedere le dimissioni di Prodi, ma questo non significa che sia pronto ad aderire al club della Sciura Brambilla.
La seconda anomalia andrebbe spiegata agli elettori. Che cosa differenzia Forza Italia dal Partito del Popolo delle Libertà, o come cavolo si chiama? Non cambia il vertice, né la base, non si annettono partiti terzi… Qual è il valore aggiunto dunque?
L’impressione è che il Redivivo abbia puntato sull’ennesimo lifting, ringiovanendo i tessuti del partito e facendo un po’ di liposuzione ai vecchi colonnelli plurinquisiti. Per altri quindici anni dovrebbe essere a posto.

Nessun commento

Beota ignoranza

C’è un’inquietante ignoranza nelle firme raccolte in questi giorni per “Subito la voto”, l’iniziativa di Forza Italia per mandare a casa il governo Prodi. Non che il Gabinetto di Centrosinistra abbia acquisito grandi meriti e debba essere plaudito e premiato, anzi… tutt’altro.
Le migliaia di persone che si sono recate nei gazebo a firmare, dovrebbero sapere che il loro contributo civile non avrà alcun fine pratico. Le raccolte di firme possono avvenire o per promuovere referendum abrogativi di leggi esistenti (divorzio, caccia, leggi elettorali) o per dare vita a proposte di legge di iniziativa popolare (ultima in ordine di tempo quella del “Parlamento pulito” di Beppe Grillo). Non ha alcun riscontro con la storia, e soprattutto con il diritto pubblico, una raccolta di firme per licenziare un governo in carica. Terminato il weekend di mobilitazione popolare, e consegnate le migliaia di adesioni, cosa si aspettano che accada? Che Napolitano, ricevute centomila firme, sciolga le camere ed indìca nuove elezioni? Ma si può essere più ingenui? Più beoti, più ignoranti?
Bene inteso che l’ignoranza non alberga in Forza Italia, pienamente consapevole di aver mobilitato solo una campagna d’opinione e di aver fomentato e pilotato un dissenso diffuso e sostenuto, ma piuttosto nei cittadini plagiati da tanta demagogia e permeati da un analfabetismo del diritto.
Se poi si sapesse (e lo si dovrebbe sapere!) che questa legge elettorale è la peggiore della storia repubblicana e che, se non verrà cambiata prima delle nuove elezioni, produrrà nuovi ed ulteriori abomini, forse non ci si recherebbe a firmare tanto facilmente.

Nessun commento

Editto Bulgaro – L’Estremo oltraggio

“Caro Enzo,
non vorrei disturbare il tuo secondo giorno di Paradiso, anche perché ti immagino lì affacciato sulla nuvoletta in compagnia delle tue adorate Lucia e Anna e dei tuoi amici Montanelli e Afeltra.
Ma, se vuoi farti qualche sana risata, dai un’occhiata a quel che sta accadendo in Italia intorno alla tua bara, perché ne vale la pena. Berlusconi è fuori concorso: ieri ha ringraziato l’Unità per aver riportato il testo dell’editto bulgaro in cui ti dava del «criminoso» e ordinava ai suoi servi furbi di cacciarti dalla Rai. «L’Unità – ha detto – finalmente mi ha reso giustizia».
Dal che puoi dedurre quale sia il suo concetto di giustizia. Poi ha rivelato che l’editto bulgaro non c’è mai stato.
Ma, a parte il Cavaliere che ormai appartiene all’astrattismo, o al futurismo, ci sono tanti colleghi che, appena saputo della tua morte, han ritrovato la favella sul tuo conto, dopo un lungo silenzio durato sei anni, e han cominciato a parlare a tuo nome.
Marcello Sorgi chi non muore si rivede ha scritto sulla Stampa che «il maggior dolore di Biagi, nel 2002, all’epoca dell’editto» bulgaro, non fu l’editto bulgaro medesimo, ma «il ritrovarsi nel calderone berlusconiano dei reietti insieme con Santoro, Freccero, comici come Luttazzi e la Guzzanti e così via». Gentaglia, insomma.
Non ricorda, il pover’uomo, che tu eri orgoglioso di quella compagnia, come hai ripetuto mille volte nei tuoi ultimi libri e nelle tue dichiarazioni, al punto di farti intervistare per due ore da Sabina per il film «Viva Zapatero» e di intervistare Luttazzi all’inizio della tua ultima avventura televisiva.
Poi ci sono Feltri e Cervi, che approfittano della tua dipartita per dire che in fondo, tra te e il Cavaliere, è finita pari e patta. «Biagi l’ha fatta pagare ai suoi detrattori e loro l’hanno fatta pagare a lui», anzi «Biagi e Berlusconi si somigliano». Cervi, sul Giornale che ti ha insultato per sei anni di fila raccontando che te n’eri andato volontariamente dalla Rai per intascare una congrua liquidazione, riconosce spericolatamente che «Berlusconi ha sbagliato», ma pure «Biagi aveva acceduto»: uno a uno, palla al centro. Anche il nostro amico Michele Brambilla, purtroppo, scambia le cause con gli effetti, non distingue il lupo dall’agnello e domanda a chi osa rammentare chi e come ti ha rovinato gli ultimi sei anni di vita: «Ma perché tutto questo rancore?». Parla addirittura di «uso politico della morte», come se non fosse proprio chi ti ha voluto e fatto tanto male a usare la tua morte per minimizzare l’accaduto o addirittura negarlo o comunque raccontarlo a modo suo, profittando del fatto che non puoi più smentire certe frottole. Brambilla cita una frase di Paolo Mieli: «Non credo che Enzo avrebbe voluto essere ricordato per quell’episodio». Strano: ci avevi dedicato gli ultimi tre libri (l’ultimo, scritto con Loris Mazzetti, s’intitola «Quello che non si doveva dire») e ne parlavi sempre come della peggiore violenza che tu avessi mai subìto nella tua vita, peggio di quella della Dc che ti silurò dal tg Rai nei primi anni 60 e di quella di «Artiglio» Monti che ti cacciò dal Resto del Carlino.
Così il diktat bulgaro viene ridotto a incidente di percorso, a sfogo momentaneo, peraltro giustificato dalle tue «esagerazioni» (avevi financo intervistato Montanelli e Benigni). E nessuno ricorda che ancora un anno fa l’amico Silvio, quello che ti stimava tanto, non contento di averti fatto licenziare dalla Rai, chiese di farti fuori anche dal Corriere: «È una vergogna che un giornale come il Corriere della Sera ospiti i rancori di un vecchio rancoroso che ce l’ha con me» (Ansa, 21 maggio 2006).
Per fortuna è rimasto in vita qualche tuo vecchio amico di buona memoria, come Sergio Zavoli, che ha ricorda come la tua «prova più ardua e iniqua» sia stata proprio l’editto bulgaro. Ma è uno dei pochi. Era già accaduto al vecchio Indro, anche lui come te troppo generoso per aggiungere al testamento la lista delle persone che non avrebbe voluto alle sue esequie (lui però, forse presagendo l’affollamento di coccodrilli e paraculi attorno al feretro, diede disposizione di non celebrare alcun funerale). Prima di salutarti, caro Enzo, ti segnalo un’ultima delizia: Johnny Raiotta, quello del Kansas City, ha chiuso lo speciale Tg1 a te dedicato con queste parole: «Biagi fu cacciato dal tg dopo pochi mesi, io al Tg1 sono durato già il doppio. In qualche modo, l’Italia migliora…». Che vuoi farci, è l’evoluzione della specie.”

(Marco Travaglio – 8 novembre 2007)

Mi limito ad aggiungere che anch’io ho vuto l’impressione che il Tg1 di Riotta sia uno dei peggiori degli utlimi anni. E mi dispiace, perchè mi sembrava un buon giornalista.

Nessun commento

Quell'impossibile via di mezzo

Tra il garantismo preventivo e insensato di Rifondazione, che vuole “ammorbidire” qualsiasi cosa, anche un decreto fetale a rischio di aborto o di malformazione da forcipe, e le sparate irresponsabili della Lega che invoca ronde e giustizia sommaria, potrà pure esserci un punto di equilibrio? Nel mezzo, nella vasta landa che spazia dai comunisti ai neo-squadristi di Pontida, è peregrino sperare che ci possa essere una diffusa comunione di intenti ed obiettivi, finalizzata a provvedimenti ragionevoli ed equi? È davvero balzana la speranza che si possa arrivare ad una sintesi condivisa e saggia? Che si lavori insieme per un risultato comune?

Ha ragione il direttore del Sole 24 ore, Ferruccio De Bortoli, quando dice che i politici sono riusciti a  trovare intese trasversali sull’indulto, ma non sanno trovare accordi quando in ballo c’è davvero la sicurezza dei cittadini.

Nessun commento

Voglio Previti ministro

Vorrei svegliarmi una mattina e leggere sul giornale che Previti è diventato Ministro della Repubblica. Mi piacerebbe vederlo a capo della Giustizia. Per una rocambolesca legge del contrappasso, sarebbe curioso ritrovarlo a governare la sfera che tanto lo ha fatto soffrire.
A pensarci bene, qualche controindicazione potrebbe esserci. Se domattina, dopodomani, o in un qualsiasi futuro, Cesarone diventasse ministro, potremmo correre davvero qualche rischio serio.
1-Avremmo un facoltoso faccendiere a capo di uno dei più importanti dicasteri e questo non gioverebbe all’immagine dell’Italia. Un personaggio torbido e fumoso, votato alla ricerca del potere più che alla vocazione della giustizia e del bene comune.
2-Tra i suoi primi atti, ci sarebbero prescrizioni e perdoni; giusto per cancellare velocemente peccati e peccatori.
3-Cercherebbe prima di tutto di salvaguardare sé stesso ed il capo della sua coalizione, nella convinzione unica di difendere il proprio potere e custodire la posizione conquistata.
4-Si farebbe celia dei magistrati, screditando ogni atto giudiziario o invocando la legittima suspicione laddove i giudici iniziassero ad indagare sul suo conto.
5-Probabilmente ricatterebbe anche il governo, qualora si trovasse da solo a combattere contro gli attacchi delle toghe.
6-Ricorrerebbe alla demagogia populista, tipica di chi rimane disarmato a fronteggiare un’opinione pubblica pienamente convinta dei suoi misfatti.
7-Biascicherebbe di democrazia infangata, di regimi totalitari e di complotti ad personam. Rasenterebbe la commedia.

Ma queste ipotesi grottesche, inverosimili, e deo gratia surreali, sono legate a Previti. Mastella invece…
Mastella è anche peggio, perché non è affatto un’ipotesi.

Nessun commento

L’illusione democratica

Ebbi già modo di dimostrare i limiti intrinseci all’idea stessa di un neonato Partito Democratico. Nel post Né partito né democratico esposi dubbi e perplessità per un soggetto che non rispetta i canoni del partito, né quelli della democrazia. Oggi milioni di elettori si recano alle primarie, convinti ed illusi di detenere un grande potere democratico, da mettere a disposizione del nuovo soggetto politico. Nell’illusione democratica di possedere nella propria matita il potere di decidere chi lo guiderà, il popolo della sinistra moderata finge di non capire che tutto è deciso, confezionato, perfettamente predisposto. Si dovrà fingere che il nome di Veltroni è stato scelto dalla gente, non dai palazzi. Ma i cavalli buoni non sono al via. A mascherare la finta corsa rimangono la bardotta Bindi ed il modesto Letta, al fianco di altri illustri e balzani sconosciuti. I Prodi, i Rutelli, i D’Alema e gli altri ministri nemmeno si candidano: meglio non rischiare di oscurare la galoppata del Walter. La lista dei candidati è blindata: chi poteva accendere il dibattito è stato escluso a priori. Di Pietro e Pannela, disposti a sottoscrivere il programma, sono stati relegati in soffitta, democratica anch’essa. Il voto dell’ignaro elettore servirà solo a dare una parvenza democratica a questo atto d’imperio delle stanze dei bottoni, che hanno deciso di ripartire da Veltroni e chiedono una finta unzione popolare. Altro che democrazia, è il potere forte che per sopravvivere inganna la plebaglia, illudendola di avergli ottriato il potere decisionale. Nulla di nuovo, sveglia!

4 Commenti

Mastella e i panni sporchi

Ho sempre avuto un’avversione razziale per il Ministro Mastella. Leader dell’Udeur e dell’equilibrismo politico, il Nostro si è sempre caratterizzato più per il trasformismo performante che per le battaglie politiche tout court. Se la classe politica italiana soffre di un cronico attaccamento alla poltrona, possiamo dire che Mastella cura con la colla il proprio malessere, finendo per essere un tutt’uno con la poltrona stessa. Comoda o scomoda che sia, l’importante è stare seduti.
Colpevole quanto e più di lui, è chi negli anni gli ha garantito spazio e vita. Con la manciata di voti dei suoi parenti è arrivato a capo di uno tra i più importanti dicasteri: in pochi sono riusciti meglio. A chi ancora non crede all’idea della casta, chiederei di spiegare la vita politica ed i meriti che hanno portato Mastella nel salotto delle istituzioni.
È di qualche mese fa la firma che ha acceso la fiamma dell’indulto, a dimostrazione che i piromani, se si alzano dalla poltrona, possono fare ancora peggio. Clemente nel nome, e un po’ troppo nei fatti.
Nei giorni scorsi, la puntata-inchiesta di Annozero ha palesemente screditato l’operato del Ministro, intento ad insabbiare le indagini scomode, più che a ricercare la Giustizia che dovrebbe presiedere. Giudici troppo curiosi allontanati dalle indagini allorquando arrivano a bussare alle porte sbagliate. Le controcampane della trasmissione non sono riuscite a confutare un solo argomento delle tesi accusatorie. Capitola la reputazione del Ministro e con lui quella della casta di governo. Ma l’indomani Mastella tuona e chiede provvedimenti contro Santoro, pena la sfiducia al Cda della Rai: robe da regime. Robe da totalitarismo imbavagliante. E Prodi, sulla stessa falsariga, appoggia il Suo Ministro. Lo stesso Prodi che aveva pianto lacrime quando la Banda Berlusconi, in una sorta di epurazione di sistema, aveva soffocato la voce di Santoro, oggi razzola peggio. Se allora fu un atto antidemocratico e dittatoriale, perché mai oggi dovrebbe essere lecitamente accettabile?
La verità è che le coscienze sono sporche, tutte quante, e questo spinge i politici a sopprimere i promotori della pulizia. L’impressione è che ancora una volta i panni si laveranno in famiglia. Mentre fuori, in cortile, si vedrà il solito bucato bianco, ben steso ed immacolato a prendere il sole.

Nessun commento

La volta buona?

Che sia la volta buona? Non lo so.
Sto ascoltando Ballarò ed il tema della puntata è la mala politica, la sua casta e i suoi costi, lo scollamento con la società civile, vittima, quest’ultima, delle sue domande che restano sempre più senza risposte. Il terremoto Grillo entra in tv, in prima serata. Non credo ai miei occhi ed alle mie orecchie.
I politici si arrabattano, da destra a sinistra, cincischiano, rispondono in politichese, circuiscono il problema. Fanno giochi di prestigio, nascondendo le carte e cercando d’imbonirsi il pubblico. Partono sconfitti. Non ammettono, ma fantasticano. Non sanno che così facendo notificano le loro colpe, che col qualunquismo si audenunciano, che col populismo mostrano che i loro inquisitori hanno ragione.
Io per natura vedo solo i bicchieri mezzi vuoti, ma mi piacerebbe tanto che il sistema iniziasse davvero a traballare. Che fosse davvero la volta buona.

2 Commenti