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Lo strappo di Calearo
Dice il ministro rifondarolo Paolo Ferrero che l’idea di Veltroni della comunità del lavoro «è una classica idea di destra organicista, la traduzione del “siamo tutti sulla stessa barca” con i lavoratori che remano e Agnelli al timone». «Una stupidaggine», sentenzia: «La società è divisa tra chi sfrutta e chi è sfruttato». Quindi, come ha sancito Fausto Bertinotti, tra l’operaio scampato all’incendio della Thyssen e l’ormai ex presidente di Federmeccanica Massimo Calearo candidati insieme nel Pd, o è di troppo l’uno o è di troppo l’altro. Per carità: potrebbero esserlo tutti e due. Nella prospettiva di un partito attento ai processi più nuovi della società, Antonio Boccuzzi ha oggi un altissimo valore simbolico dopo la catena di omicidi bianchi ma porterà in Parlamento la prospettiva di un lavoratore di un settore esausto e assai poco innovativo. Ed è fuori discussione che l’ex rappresentante degli industriali vicentini, che sono tra i pacchetti di mischia combattivi del Paese, è del tutto estraneo alla storia del centrosinistra. Non bastasse, ha sottolineato subito questa sua estraneità confidando di non aver «mai» votato da quella parte e infilando una serie di battute, a partire da «San Clemente» che hanno incendiato il dibattito come una torcia in un pagliaio.
Veltroni poteva trovare di meglio per aprire a quel Nord Est da decenni avaro di soddisfazioni per la sinistra? Può darsi. I mal di pancia dell’elettorato che si riconosce nel Pd sono forti. E nel rivangare un’infelice battuta del neo-capolista democratico sullo sciopero fiscale («a mali estremi…») crescono i sospiri di dissenso di quanti avrebbero preferito che Walter puntasse (ammesso e non concesso che accettassero) su altri cavalli, forse meno ruspanti e meno in sintonia con gli umori dei piccoli e medi imprenditori veneti, ma mai vissuti come «avversari», e tanto meno come «falchi»: Pietro Marzotto, Mario Carraro, Luciano Benetton. Ma Veltroni voleva lo strappo. Netto. Carta vincente o carta perdente? Si vedrà. Al di là dei turbamenti democratici e dei veleni della destra che urla al «tradimento», le polemiche su Calearo dimostrano però ancora una volta tutti i limiti d’una certa sinistra nel capire il Nord Est. Basti leggere Liberazione.
Dove i settentrionali sono «prigionieri del benessere blindati nelle villette-bunker» contrapposti a «meridionali costretti a una nuova ondata migratoria verso i paesi di quelle villette». Uno stereotipo che fa il paio col modo in cui Alfonso Pecoraro Scanio sbertucciò le paure dei veneti dopo il massacro di Gorgo al Monticano: «Il tono del dibattito sulla sicurezza è ormai da barzelletta». E con l’idea di una società spaccata come una mela di Ferrero. Sia chiaro: il mondo è pieno di sfruttati e sfruttatori. E gli uni e gli altri vanno chiamati col loro nome: sfruttati e sfruttatori. Ma questa sinistra è convinta di conoscerli davvero, i «suoi» operai del Nord Est? Dicono le tabelle delle ultime politiche che i risultati ottenuti da Rifondazione in alcuni paesi ad altissima densità operaia della provincia iper-industrializzata di Vicenza sono i seguenti: 2,7% ad Arzignano, 2,7 a Carrè, 2,0 a Rosà, 1,8 a Rossano Veneto, 1,6 a Zermeghedo… Come mai? Forse le cose sono un po’ più complesse…
(Gian Antonio Stella – Corriere della Sera, 07 marzo 2008)
Walter Caligola
“Incitato equo, cuius causa pridie circenses, ne inquietaretur, uiciniae silentium per milites indicere solebat, praeter equile marmoreum et praesaepe eburneum praeterque purpurea tegumenta ac monilia e gemmis domum etiam et familiam et supellectilem dedit, quo lautius nomine eius inuitati acciperentur; consulatum quoque traditur destinasse”.
A proposito del suo cavallo Incitato, il giorno che precedeva i giochi del circo, aveva preso l’abitudine di far sonare il silenzio dai soldati nelle vicinanze in modo che il suo riposo non fosse turbato; e non solo gli assegnò una stalla di marmo, una greppia d’avorio, coperte di porpora e finimenti tempestati di pietre preziose, ma gli regalò anche un palazzo, alcuni schiavi e un arredamento per ricevere più splendidamente le persone invitate a suo nome; si dice anche che progettò di nominarlo console.
(Svetonio – Vita dei Cesari, Libro IV Caligola)
Strumentali specchietti per le allodole più ingenue.
Dal rifornimento coatto di cariatidi, siamo passati alla chiamata dell’anonimo “signor nessuno”. Ripulite le soffitte dalla polvere degli imbalsamati De Mita di turno, ecco pronte le nuove leve. La precaria del call center, l’operaio della ThyssenKrupp, l’impiegata dell’Asl. Parte da qui la ventata di rinnovamento del Pd. Candidati nuovi, lindi, inattaccabili. Ci si interroga su quale merito li abbia portati a capeggiare le liste, quale esperienza, quale percorso. Assolutamente nessuno. Come se per guidare un paese bastasse la faccia acqua e sapone. Ma Walter è andato oltre, per non farsi mancare nulla e nessuno. Al fianco dei precari indigenti, spunta l’imbarazzato Matteo Colaninno, per strizzare l’occhio a Confindustria. Mancherebbe il clero. Con Don Matteo esaudirebbe sia i cattolici che gli amanti delle fiction. Aggiungendo un bel cavallo bianco prenderebbe i voti anche degli animalisti. Un successo sicuro.
Quarto grado
La decisione del PdL di non presentare alle elezioni politiche candidati condannati, fosse anche in ultimo grado di giudizio, poteva essere davvero una notizia. Un segnale chiaro e limpido di pulizia e rinnovamento. È arrivata invece la celere e rassicurante precisazione di Bondi: la messa al bando dei pregiudicati non potrà escludere dalle liste del neonato partito i condannati per motivi politici. Bene. Rimane da decidere chi decreta che il mandante è semplicemente giudiziario oppure anche politico. Chi decide se la condanna per frode, concussione, falso in bilancio, corruzione è “politicamente” asettica? Chi sceglie cioè se la sentenza è “giusta” o “ingiusta”? Serve un ulteriore grado di giudizio, superiore ed eticamente ineccepibile, affidato magari direttamente all’arbitrio illuminato del Cavaliere?
La Padania come il Kossovo?
Al di là dei dubbi che permangono sulla liceità e la legittimità dell’indipendenza kossovara pronunciata nei giorni scorsi, la sparata di Borghezio sul parallelismo col destino del “popolo padano” è l’ultima scemenza partorita dalle fini menti leghiste. Fa ribrezzo pensare che cervelli di questo spessore posino comodamente le loro natiche sugli scranni dell’Europarlamento.
Il diritto all’autodeterminazione dei popoli, che spinge legittimamente a cercare l’indipendenza, non ha alcun nesso con la cosiddetta Padania. Semplicemente perché non esiste un popolo padano. Non esistono una storia, una lingua, una razza o una cultura padane. Esistono storie, culture e dialetti regionali come in qualsiasi altro posto al mondo. Ma identificano regionalità comuni, non popoli specifici. A ciò si aggiunge che la fantomatica secessione è auspicata da una minoranza circoscritta di questo inesistente popolo padano. Ed i motivi, tutt’altro che storico-politico-culturali, sono meramente economici.
Per questo e per l’idiozia di certi personaggi, il Kossovo non può costituire alcun precedente giurisprudenziale europeo per la secessione padana. Robe da matti.
Il dubbio di Pier
Se in seno alla sinistra i giochi di potere sono quasi perfettamente delineati (manca solo qualche piccolo dettaglio), a destra l’incognita Udc tiene in bilico tutta le scenografia.
È interessante vedere come si muoverà Casini. Illuso, usato, sbeffeggiato da Berlusconi, il Pier si trova oggi di fronte ad un bivio assai tortuoso. Dopo aver assaporato un ruolo primario nella Cdl, è scivolato dietro agli ultimi gregari, in una posizione quasi ininfluente per il Cavaliere e la sua corte. Rientrare in squadra insomma, avrebbe un prezzo altissimo e lo relegherebbe irrimediabilmente in panchina. Ma i numeri esigui del suo partituccio e la diaspora dei suoi colonnelli (Baccini, Giovanardi, Tabacci) lo rendono fragile all’autonomia elettorale: se si presentasse da solo raschierebbe con le unghie una manciata di voti per accedere alla Camera, mentre resterebbe fuori dal Senato. Una sconfitta annunciata, insomma.
Ecco pronta però, la mano tesa e la Rosa Bianca dei vecchi amici dc, pronti a spalancargli le porte. Questo tuttavia sancirebbe l’addio definitivo alla carovana vincente, quella di Berlusconi, e la rinuncia irreparabile alle comode poltrone e ai morbidi cuscini.
Non nascondo che la vicenda mi appassiona, perché avvince. Il belloccio sale e pepe sceglierà la dignità o il tornaconto?
Valeva la pena fargliela pagare
Valentino s’appresta a liquidare il debito col fisco, pagando un quinto del dovuto.
S’ammaina dunque lo sbandierato vessillo della lotta all’evasione fiscale, tanto caro al Centrosinistra. La strenua lotta per far pagare le tasse a tutti (per pagarne tutti meno) cozza alquanto con le prime pagine dei quotidiani, che annunciano al popolino di lavoratori dipendenti l’eclatante trattamento di favore riservato al Doctor.Valeva la pena, forse, cavalcare l’onda e l’opinione pubblica, strumentalizzando cinicamente la vicenda e facendo pagare al super campione quel che effettivamente ci doveva. Il messaggio all’orbe sarebbe stato ben altro. E anche l’obiettivo di convincere gli italiani che con il centrosinistra le tasse le pagano tutti ne sarebbe uscito rafforzato. Invece… Invece uno sportivo di fama, ma direi un libero professionista in genere, un lavoratore autonomo, si sentirà autorizzato ad evadere come e più di prima. Nella peggiore delle ipotesi pagherà una multa minore dell’evasione originaria.
Walter e il cinema fantasy
Prima delle elezioni, questo Governo, d’intesa con le parti sociali e l’opposizione deve “realizzare un intervento fiscale a sostegno dei salari”. Lo ha dichiarato il segretario del Pd Walter Veltroni, nel corso di una conferenza stampa. “Rivolgo un invito a tutti – ha aggiunto Veltroni – a rendersi disponibili per un intervento a sostegno dei redditi e della crescita e mi auguro che venga accettata questa sollecitazione perchè non si possono perdere 4 mesi: il Paese ha bisogno di ricominciare a muoversi” (da Il Sole 24 ore del 06 febbraio).
Ma questo dove vive? Prima delegittima il Governo Prodi, flirtando con Berlusconi. Poi, quando ovviamente Berlusconi lo lascia a piedi, dichiara al mondo che il Pd può correre da solo. Nel suo delirio moralizzatore, invita il Cavaliere a fare altrettanto: certo, sono tutti scemi quelli della Cdl! Non domo, si gioca ovunque la faccia, sostenendo a ragione la necessità di una nuova legge elettorale, prima di andare al voto. Adesso, con le camere praticamente sciolte, lancia l’appello alla riforma sei salari, da realizzare in concerto con l’opposizione. Ma ha capito che il gioco è finito o serve un disegno? Un minimo realismo, di buonsenso… Non ci si mette d’accordo per riformare il sistema di voto e si dovrebbe trovare l’intesa per una riforma fiscale? Veltroni è un grande esperto di cinema, genere fantasy suppongo. È preoccupante che il Pd si ritrovi una leader simile.
Indiana Jones, tra politically correct e voli pindarici
La querelle sulla necessità di una nuova legge elettorale, o sul bisogno di elezioni immediate, è l’ultimo fuoco del traballante spettacolo pirotecnico in scena al Parlamento. Al di là di tutte le considerazioni profonde sollevate in queste ore, la questione, se ridotta ai minimi termini, è semplicissima. Berlusconi e la CdL vogliono il voto immediato per cavalcare l’onda d’impopolarità del Centrosinistra: prima si vota e migliore sarà il risultato. In quest’ottica ogni giorno che passa rischia di annebbiare la pole position del Cavaliere. Di contro il Centrosinistra deve temporeggiare: ogni istante che passa è un istante guadagnato alla riconquista di quell’appeal, perso nel fresco naufragio dell’esperienza governativa. Tutto il resto, le spiegazioni, i principi, le giustificazioni, costituisce solo un colorito corollario.
È in questa fenditura che s’inserisce il mandato esplorativo conferito oggi a Marini. Un atto doveroso ed inevitabile quello di Napolitano. Ineccepibile. Le sue motivazioni all’investitura del Presidente del Senato sono sacrosante, inappuntabili. La scelta del Capo dello Stato di tentare la via di un Governo di scopo (come si chiama oggi) è politicamente corretta, poiché è doveroso tentare di giocare qualsiasi carta, anche la più disperata. Coagulare una maggioranza di voti, finalizzata alla redazione di una legge elettorale è quanto di più auspicabile esista. L’augurio è che si possa davvero condividere un metodo che sbaragli il porcellum e restituisca agli italiani preferenze e governabilità. L’esploratore Marini ha un compito arduo, ma assolutamente ragionevole e condivisibile.
Le obiezioni del Centrodestra, tuttavia, sono inconfutabili: se non si è riusciti in due anni a fare una legge elettorale con un Governo pienamente investito, come si può sperare di riuscirci in pochi mesi, con un pugno di parlamentari e un’opposizione apertamente contraria? Folle.
L’esploratore, insomma, rischia di tentare inutilmente il volo verso mete impossibili. Però tentare a volte è l’unica via d’uscita.
La strettoia di Ceppaloni
Il governo pericolante, in continuo bilico e costante agonia, non è una novità. Il porcellum dell’ultimo voto gli ha consegnato un mandato a breve scadenza: quasi ad orologeria. Le contraddizioni interne della combriccola di maggioranza hanno aggiunto un’instabilità ulteriore. Che fosse per un veto di Rifondazione, per il voltagabbana di qualche senatore transumante o per la mozione di qualche partituccio del centro… poco sarebbe cambiato. La caduta ai primi veri passi, insomma, era nella fisiologia delle cose, prima ancora che negli annunci delle cassandre.
L’imminente voto al Senato segnerà con ogni probabilità la fine della sventurata avventura di Prodi. Una fine che si compie, se possibile, nel peggiori dei modi.
Innanzitutto, la retromarcia dell’ingombrante Mastella ha un sapore triste ed amaro. Nella politica della Casta corrotta e privilegiata, il massimo tutore della Giustizia, che non dovrebbe dare neppure l’occasione del dubbio, si ritrova accusato da quella magistratura che in altre circostanze aveva sempre difeso. Il Nostro risponde dapprima lanciando fumo, poi lanciandosi alla fuga. Non affida la sua difesa alle braccia della Giustizia, che presiede, ma tenta di screditarla, scappando poi come la più braccata delle vittime. Vedendo che il quadrato eretto dai compagni di casta questa volta non regge, si vendica scendendo pesantemente dal carrozzone. E domani quello stesso carrozzone non riuscirà a passare dalla strettoia di Ceppaloni.
In secondo luogo, la caduta del Governo avviene nel momento più sconveniente per il paese, perché quanto accadrà nelle prossime settimane sarà catastrofico. Alle cose “non fatte”, ai mesi di stasi, s’aggiungerà un periodo di completo blocco. Nessun governo tecnico e nessun governo istituzionale potranno restituire agli italiani una legge elettorale decente. Mesi a discutere sui dettagli che ogni modello importato (tedesco, francese, spagnolo, etc…) evidentemente comporta, e poi ci ritroveremo alle urne con la nefandezza del porcellum, delle sue liste bloccate et similia. Ci ritroveremo di nuovo Berlusconi, in un quadro generale pressoché immutato. Da Ceppaloni non solo non si passerà, ma si tornerà rovinosamente indietro.
Io voto yankee
I cosiddetti presunti “esportatori di democrazia”, stavolta andrebbero davvero seguiti ed imitati. Si contano sulle dita di una mano le lezioni che dovremmo imparare dagli americani perché un popolo senza storia ha poco da insegnare, ma in questo caso un pensierino al riguardo dovremmo farlo. Forse i media italiani sono riusciti a creare un po’ di confusione, ma il sistema elettorale delle primarie statunitensi è quanto di più vicino all’idea di democrazia rappresentativa che possa esserci. Le elezioni primarie di questi giorni danno inizio ad un lungo processo che terminerà con l’elezione del presidente degli Stati Uniti. Sono il primo passo di un lungo ed articolato cammino. Ogni stato ha un proprio sistema elettorale, in base al quale gli elettori scelgono i propri candidati: chiunque può proporsi, sarà il voto a fare la selezione. Laddove il sistema è “chiuso”, potranno votare solo gli elettori iscritti al partito; se invece il sistema è “aperto”, tutti sono ammessi alla consultazione, indipendentemente dalla militanza politica. L’aspetto fondamentale è che chiunque è ammesso alla candidatura, non esistono candidati “preconfezionati” dai partiti né nomination decise dalla classe politica (vedi primarie PD). I partiti, in sostanza, subiscono le candidature scelte dall’elettorato, come deve giustamente essere, non viceversa. I candidati, nominati dal popolo, concorreranno all’elezione finale di novembre per aggiudicarsi (ancora una volta a suon di preferenze) la poltrona della Presidenza. Altro che Casta di Untouchables.