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Cabaret internazionale
Ma li avete visti? Sembrano tutto tranne che due capi di stato.
Gheddafi e Berlusconi, due vecchi signori dai capelli pittati e dall’aria tronfia. Uno agghidato come l’eore di guerra che non è mai stato, con divisa da parata e medaglie farlocche; l’altro irrimediabilmente impettito, col sorriso liftato e la gag in tasca, pronta all’uso.
Macchiette, sagome da operetta, caricature da avanspettacolo. Io un po’ di vergogna ce l’ho.
Erano meglio le veline
Il dubbio che l’annoso parlare di questi giorni sulle scabrosità del Premier serva a distogliere l’attenzione dalla politica vera è più che lecito. Non s’è spesa una parola sull’Europa, sui propositi da perseguire, sugli intenti da ricercare. Nulla è stato detto sui programmi e sulle azioni che dovranno seguire il voto. Niente di tutto ciò. Da destra a sinistra il dibattito è unico ed armonico: le attitudini di Noemi ed i frizzanti vizi di Berlusconi. Ad una settimana dal voto europeo, le copertine dei tg ritraggono solo l’austero ghigno di Ghedini e le panoramiche welcomtravel di Villa Certosa.
L’elettore più critico, però, vede questa vicenda come fumo negli occhi, come abile arma di distrazione di massa.
A qualche centinaio di chilometri da qui, nella circoscrizione sud dell’Italia, rispuntano infatti i nomi imbarazzanti di Mastella e Cirino Pomicino, come candidati del Popolo delle Libertà alle elezioni Europee.
Mastella, icona del trasformismo politico italiano, vendette a Berlusconi la caduta del governo Prodi (addirittura in un accordo scritto, come rivela lo stesso Clemente) ed oggi riscuote gli interessi del debito. Pomicino, condannato ad un anno e otto mesi di reclusione (tangente Enimont) e patteggiata la pena di due mesi per corruzione per i fondi neri Eni, si ripresenta lindo davanti ai suoi elettori.
Abili trasformisti, certo, ma la colpa non è la loro. Più colpevoli sono quanti hanno permesso di presentarli nelle liste, tacendo agli italiani le loro candidature. A questo punto erano meglio le veline.
Un’altra discesa in campo
Sono stato a lungo in dubbio se scrivere o meno questo post. La mia riluttanza deriva dal fatto che un articolo di questo tipo potrebbe essere inteso (forse a ragione) come un banale e squallido appello elettorale. Poi mi sono detto che almeno la metà dei lettori di questo blog non è residente a Volta Mantovana, e pertanto non voterà alle amministrative voltesi. Buona parte della rimanente metà ha già inderogabilmente deciso per chi votare, dunque il mio appello non sortirà effetto alcuno. I pochissimi indecisi, invece, sopporteranno l’apologia della discesa in campo e se ne faranno una ragione.
Ho deciso di “scendere in campo”, come direbbe quell’altro Silvio, perché ho avvertito una sorta di germe della responsabilità. Ho trascorso anni a scagliare critiche contro le pecche dell’amministrazione, e poi mi son detto: provaci tu, allora, visto che fai tanto il figo. E diciamocelo… se Beggi può fare il sindaco, io potrò fare il consigliere. O no?
Sono stato spesso sull’orlo di questo precipizio, ma non mi sono mai buttato. Le liste colorate, fatte dai partiti, non mi hanno mai attratto. Forse perché non mi colloco appieno sotto nessuna bandiera.
La Svolta parte con presupposti diversi. È civica, nel senso che cittadini di varie estrazioni hanno sottoscritto un intento comune. La storia delle divisioni politiche lascia il tempo che trova: è vero che raggruppa personaggi partitici, ma la maggior parte di noi non ha in tasca alcuna tessera ed il capolista neutrale dovrebbe essere, me lo auguro, una garanzia per tutti.
Ma veniamo ai principi ispiratori di questa scelta.
Amo il nostro territorio ed il nostro patrimonio culturale. Salvaguardia e promozione delle ricchezze culturali ed ambientali di Volta devono essere le parole d’ordine. Ogni provvedimento dovrebbe rispettare queste regole e questi presupposti. Questo finora non è avvenuto.
Le devastazioni edilizie devono finire, perché la promozione del paese non può prescindere dalla difesa del territorio. Non può prescindere nemmeno dalle frazioni o dalle borgate appena a ridosso del centro storico, completamente dimenticate dall’ondata di ristrutturazione degli ultimi anni.
Sappiamo bene che ho il pallino di Voltapagina, periodico che intendo stravolgere se, come auspico, mi verrà dato il compito di occuparmene. Non concepisco il giornale comunale come catalogo pubblicitario dell’amministrazione, ma l’ho sempre sognato come organo di comunicazione tra cittadino e amministratore. Servono delle sezioni dedicate alle richieste dirette dei cittadini, le lettere al direttore (anche se scomode), uno spazio dedicato alla cultura e alle tradizioni locali, una maggiore frequenza delle pubblicazioni. Il giornale non deve servire all’amministrazione per persuadere i cittadini: deve servire ai cittadini per persuadere l’amministrazione. Tutto questo ha costi irrisori, ma non è mai stato fatto.
Il dialetto, di cui sono innamorato, merita divulgazione su tutti i fronti (pubblicazioni, eventi, installazioni multimediali) e con esso anche un’ampia diffusione del patrimonio folkloristico del paese.
Benché funzioni bene, anche per la biblioteca si può fare di più. Con il sostegno di sponsorizzazioni sarà possibile incrementare l’organizzazione di convegni, di conferenze tematiche, di concerti, o di incontri musicali, cinematografici e letterari. Perché la sete di cultura del cittadino deve essere placata da chi si è preso la responsabilità di amministrare.
Penso a tutto ciò in concomitanza ad un potenziamento della struttura tecnologico-informatica: la realizzazione di un ampio e approfondito sito internet, collegato alle strutture artigianali e commerciali del tessuto locale, dovrà servire ad incentivare il turismo e a renderlo fruibile alle realtà professionali del nostro paese. Proprio le categorie professionali, unite all’associazionismo, dovranno essere coinvolte nella fase di proposizione degli eventi. Non si dovranno eliminare le importanti manifestazioni che oggi fanno vivere il nostro paese. Occorrerà anzi ampliarle, se possibile, e farvi partecipare attivamente i cittadini, perché l’indotto sia per tutti, non solo per le casse degli amministratori. È in quest’ottica che artigiani, commercianti e pubblici esercenti potranno aiutarci ad inventare e promuovere nuovi “pacchetti turistici”, destinati ad ogni tipologia di visitatore. Possiamo inoltre impegnarci per ampliare la rete ciclabile, per favorire e “catturare” l’ingresso del turismo stanziato sul Garda, ideando anche percorsi guidati per la visita del paese e dei luoghi circostanti.
Troppe chiacchiere, e pochi fatti, sulla realizzazione di un teatro polifunzionale hanno lasciato intendere la volontà di non occuparsi di questo bisogno culturale del paese. L’ambizioso obiettivo di una struttura simile, in grado di ospitare spettacoli e conferenze d’ogni tipo, risponde senza equivoci a questa sete di cultura. Mi adopererò per sostenere questa domanda, anche se sono consapevole che sarà dura realizzare una struttura simile.
Ho trovato in Pino Adami un interlocutore di alto profilo. È finita l’epoca delle politiche decise ed imposte da poche persone a tutti i cittadini. Se vincerà la Svolta, le decisioni saranno prese con il concerto di amministrazione, associazionismo, realtà produttive e cittadini. Perché se le scelte sono condivise, sono scelte migliori.
Tutto ciò, badate bene, non è una promessa, ma un semplice auspicio. Un intento, un augurio.
E la speranza è anche quella che i buoni propositi di queste righe mi servano in futuro, per ricordare come è nato tutto. Se entrerò in consiglio, questo blog sarà uno dei mezzi di trasparenza di quanto votato in sede amministrativa. I papocchi, se ci saranno, saranno “pubblici”.
La solita Europa
“La federazione europea non si proponeva di colorare in questo o quel modo un potere esistente.
Era la sobria proposta di creare un potere democratico europeo”.
(Altiero Spinelli)
Tra pochi giorni, insieme alle amministrative delle quali ci sarà modo di parlare, andremo a votare per le europee. Voto quasi inutile, ma non per colpa nostra. Il peccato appartiene ai soliti noti, che ci escludono ed imbavagliano da tempo. Non siamo liberi di scegliere i nostri rappresentanti e se ci avete fatto caso, non è stata spesa una parola sulle politiche europee nella campagna elettorale. Cosa farà il PDL in Europa? Ed il PD? Quali argomenti sciorinano UDC e IDV? E la Lega? Nulla, “un erbal fiume silente”. Semplicemente perché non sanno cosa dire, non hanno idee e non hanno idea di cosa significhi europeismo e politica comunitaria. Scranni scaldati, favori concessi agli onorevoli trombati alle politiche nazionali, arrogante disinteresse. È questa la dimensione italiana in Europa. Questo vale a destra come a sinistra. Nessuno esente dall’infamante prassi, abitudine, usanza, taciuta e dunque accettata.
Lo dissi tempo addietro e oggi lo ribadisco: l’unico partito con una vocazione europea, con qualche buon proposito, con mentalità aperta al continente ed al transanazionalismo politico è quello di Emma Bonino. Pensatela come volete (io mica sono radicale), ma il voto dato a questa lista nelle elezioni europee è quello meno sprecato di tutti.
Vantaggi dell’inquisizione
“Persino sul banco d’accusato, è sempre interessante sentir parlare di sé”.
(Albert Camus)
Mi fatto pensare questa frase del romanziere e drammaturgo francese, che sottolinea quanto sia bello sentir parlar di sé, anche nelle circostanze peggiori. Che sia davvero così? Oppure il silenzio va preferito alla mala pubblicità? In una società dove le vicende matrimoniali di un premier, che per sua stessa e fantomatica richiesta dovrebbero restare private, vengono sfoggiate nella vetrina di Porta a Porta, sembra davvero che l’audience premi in qualunque caso. Perché dalle accuse e dai riflettori dell’inquisizione si possono trarre forza e popolarità. Tracimazione dell’io, straripamento dell’ego, ma anche calcoli matematici. Se ne parli, anche male, ma se ne parli… “Tristezza, per favore vai via”.
La casta che perpetra se stessa
“Quando cominciai a bazzicare alla stazione dei taxi e a fare dei lavoretti dopo la scuola ho sentito che volevo essere dei loro. Fu là che capii che cosa significa far parte di un “gruppo”. Per me significava essere qualcuno in un quartiere pieno di gente che non era nessuno. “Loro” non erano mica come tutti gli altri, “loro” facevano quello che volevano, e nessuno chiamava mai la polizia… Giorno per giorno imparavo come si campava a sbafo, un dollaro qua un dollaro là. Vivevo come in un sogno”.
(Ray Liotta – Quei bravi ragazzi)
La modifica alla legge elettorale poteva costituire un piccolo, iniziale svecchiamento del dinosauro politico italiano. Se è vero che i problemi del sistema sono tanti e complessi, è anche vero che l’avvento di una normativa elettorale più assennata e democratica poteva rappresentare un minuscolo passo verso il miglioramento. Perché in fondo da qualche parte si dovrà pur cominciare. L’iniziativa popolare che ha indetto il referendum non è certo volta a cambiare il mondo, ma un seppur minimo intento di evoluzione le va accordato. Depennare il meccanismo perverso che attribuisce il premio di maggioranza alla coalizione più votata (anziché alla lista) dovrebbe impedire l’invenzione di fantomatiche ed innaturali alleanze tra partiti. Il divieto poi delle candidature multiple eliminerebbe uno dei malcostumi tutti italioti, quello di candidare i leader di partito in tutte le circoscrizioni, per accaparrare voti attraverso i cognomi altisonanti.
Queste, insomma, le buoni intenzioni del popolino.
Ma di fronte alle proposte in grado di minare anche esiguamente i privilegi acquisiti, la casta sfodera tutte le sue risorse di controffensiva. La politica sguaina ad uno ad uno tutti i gladi, per ostacolare anche il più inoffensivo dei cambiamenti.
Cerca innanzitutto di evitare il referendum, individuando pedissequamente vizi che ne inficino la forma. Qualora ciò non sia possibile, tenta di posticipare la consultazione. Benché non si potesse “sforare” la metà di giugno, quest’anno in fretta e furia si è votato un decreto per derogare la legge del 1970, che prevedeva l’indizione delle votazioni referendarie nelle date comprese tra il 15 aprile ed il 15 giugno. La pianificazione della data del 21 giugno scongiura infatti un alto quorum, sfavorendo di fatto il “popolo dei sì”.
Stabilita la stravagante data, la casta celerà ogni informazione, puntando all’astensione massiccia del volgo ignorante. Non avendo buone motivazioni per spalleggiare il “no”, sosterrà biecamente l’astensione. Convinta ed unita.
Il resto sarà un film già visto: con gli italiani a sonnecchiare sotto l’ombrellone, le urne vuote e la casta a festeggiare l’ultima vittoria prima del meritato riposo estivo.
Il continente Italia
“Farò come Fini che è di destra, ma persona seria, e non si presenterà”
Dario Franceschini, segretario del PD – 30 marzo 2009
In vista delle elezioni europee, il solito bailamme sulle candidature costituenti si abbellisce di nuovi colori. Devono, o non devono, i principali esponenti dei partiti, autocandidarsi nelle liste europee? È corretto o meno, che capeggino le liste, quando poi giocoforza rinunceranno alla nomina di parlamentari europei? Ovviamente, non solo è scorretto, ma è anche abominevole. Ho scritto la tesi di laurea su queste cose, ovvero su come le elezioni europee siano l’occasione per fare teatro politico all’italiana. “Meno tasse per tutti”, recitava lo slogan delle Europee ’99 di Forza Italia, come se Berlusconi potesse abbassare le tasse da Strasburgo. I diessini gli facevano eco inneggiando al pericolo Berlusconi, dando prova della pochezza di idee e mostrando che gli argomenti “italiani” sono buoni anche per i dibattiti “europei”. Il focus del dibattito, cioè, veniva e viene spostato dagli ambiti europei alle questioni nazionali. In Italia, solo in Italia, non si parla mai di Europa né di politiche europee. Qualcuno di noi conosce i nostri rappresentati al Parlamento Europeo o sa come stanno operando i partiti che ha votato?
Le candidature dei vari big nazionali nelle elezioni europee sono la conseguenza più naturale di questo malcostume provinciale e meschino. Grezzi specchietti per le allodole: più il nome è grande sui manifesti, più la gente vota. E anche i seggi riservati ai “trombati” delle politiche nazionali, o agli epurati delle correnti interne divergenti, rispondono a queste bieche logiche di bottega.
Dovremmo avere il senso critico di informarci su quanto avviene in Europa, su come si muovono i gruppi parlamentari e le varie commissioni. I politici e i media certo non ci aiutano, ma almeno prendiamone atto.
La fine della destra
La lenta e progressiva transumanza di Alleanza Nazionale verso gli alpeggi rigogliosi e lussureggianti del Partito delle Libertà segna irrimediabilmente la fine di un’ipotetica destra tradizionale e democratica.
I valori propositivi coltivati negli orti della destra moderna potevano, dopo Fiuggi, affrancarsi dai gravosi macigni dell’intolleranza e del fascismo, e raggiungere una posizione moderata e utile, in nome della democratica pluralità del pensiero. La tutela della famiglia, il conservatorismo intelligente, le difese sociali, e molti altri valori “positivi”, avrebbero potuto affermarsi in una dimensione diversa, complementare e non contrapposta a quella della sinistra italiana. Punti di vista antitetici per discutere meglio di valori spesso condivisi. Questa sarebbe la vera democrazia. Questo è quello che è accaduto in molti paesi europei.
Invece la destra italiana, come il più vizioso dei marinai, ha abboccato alle roboanti sirene di Arcore, scegliendo di fatto una deriva senza ritorno. Oltre alla propria identità spezzata e azzerata, è incappata dunque in una nuova dimensione, assumendo connotazioni e caratteristiche proprie non di un’altra idea politica, ma di un altro partito, di un’altra persona.
Il cavaliere pigliatutto si è impossessato dunque (e anche) di un’intera area politica, che poteva e doveva intraprendere un percorso diverso. Alleanza Nazionale da anni si fonde e si confonde con le motivazioni e i disvalori che muovono Forza Italia. Non esiste più la destra. Al suo posto esiste solo Berlusconi, che per me è un’altra cosa.
Libertà di non votare
“I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”.
(Art. 68 – Costituzione italiana)
Dopo l’idea di negare il diritto allo sciopero e dopo la conferma dell’assenza delle preferenze sulle schede elettorali, ecco la nuova balzana proposta di riservare ai capigruppo la facoltà di votare in Parlamento.
Solo chiacchiere, certo. Non è in pericolo la democrazia, semplicemente perché non viviamo in una società di cent’anni fa. Da questo punto di vista, ci siamo un po’ evoluti. Queste proposte, tuttavia, dovrebbero dare l’idea della concezione democratica del nostro premier. Non metto in guardia da nessun rischio, sottolineo solo qual è il pensiero del partito che ad ogni elezione fa il pieno di voti. E con le imminenti consultazioni amministrative ed europee, c’è da meditare.
Diritto allo sciopero virtuale
Arriva lo sciopero virtuale. Alcune categorie di lavoratori, la cui astensione da mansioni e prestazioni possa determinare la concreta impossibilità di erogare un servizio principale ed essenziale, dovranno dichiarare preventivamente la propria adesione allo sciopero. Saranno tuttavia obbligati a prestare il servizio, perdendo però la retribuzione.
Insomma, idealmente si potrà scioperare (dichiarandosi “scioperanti” e rinunciando alla paga), praticamente si dovrà lavorare. Verrà meno il diritto di scioperare e di astenersi dal lavoro, ma vuoi mettere… si avrà il diritto di lavorare gratis.