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Beato Craxi
“Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia”.
(Vangelo di Matteo 5,3-11)
Mi sono riletto le beatitudini e non ho trovato alcun cavillo legale pensato dal solerte evangelista, in grado di giustificare la beatificazione di Craxi. In un attacco di Alzheimerpoliticallycorrect, anche Napolitano ha cercato la via del revisionismo e dell’assoluzione postuma. Demenza senile? Non credo. Se si tratti di un buonismo diffuso o di una misera cecità è difficile dirlo.
Craxi grande statista, ovvio. Uno che trascorre metà della sua vita in politica, nel bene o nel male è sempre un grande statista. È questo un merito? Può darsi, anche se io credo di no. Il fatto poi che abbia pagato più di altri le pecche della malapolitica, non significa affatto che sia innocente e che vada assolto. Per uniformare colpe e punizioni, andrebbero puniti gli altri, non riabilitato lui.
“Beati gli ultimi, se i primi sono onesti”. Forse è questo il grande equivoco che ha dato origine alla beatificazione in corso.
Gratta e prescrivi
Ormai siamo assuefatti, e come tali non ci scandalizziamo nemmeno di più di fronte agli abominevoli tentativi di spazzare via quel lieve strato di polvere di giustizia che rimane. Non serve essere dei boia per accorgersi che si stanno percorrendo tutte le strade, pur di evitare processi scomodi ad imputati eccellenti. L’ultimo di questi tentativi è il ddl che sancisce la prescrizione di due anni per i processi in corso in primo grado e per reati inferiori ai dieci anni di reclusione. Si sa, non c’è neppure bisogno di specificarlo, che la norma si applicherebbe anche ai processi in corso. Ovviamente.
Vent’anni fa ci scandalizzammo, quando per la legge italiana il vecchio Priebke sembrava aver raggiunto la prescrizione per i suoi misfatti. Oggi ci sembra normale che un altro vecchio modifichi le leggi a suo vezzo e piacere, per riuscire comodamente a scavalcarle (essendo vecchio è meno agile ed ha sempre bisogno di un “sostegno”).
Come tutto ciò possa velocizzare i processi, rebus sic stantibus, rimane un audace mistero. A meno che non si accetti l’assioma: “cancellazione = velocità”.
Bocciata la strada del Lodo Alfano, per altra via evaporeranno i processi a carico del Premier per frode fiscale e per corruzione di testimone. Ma anche quelli di aggiotaggio Parmalat (chi glielo spiega a Tanzi che bastava aspettare qualche mese?) e Antonveneta, di tangenti Enipower-Enelpower, di truffa allo Stato per rimborsi falsi (vedi clinica San Carlo).
La prescrizione di due anni non si applicherà a reati come il borseggio o l’immigrazione clandestina o la truffa di un “gratta e sosta”. Woaaauh! Meno male.
Silenzio, avanti i candidati
“Troppo cerebrale per capire che si può star bene
senza complicare il pane;
ci si spalma sopra un bel giretto di parole vuote, ma doppiate”
(S. Bersani – Giudizi universali)
Non voterò alle primarie del Pd, fondamentalmente perché non mi riconosco in quel partito. Pur ammettendone i numerosi e macroscopici difetti intrinseci, non ultimo il controllo del voto unico, va detto che l’elezione del segretario è un atto di fondamentale democrazia. In tempi dove l’elettore non sceglie i parlamentari che lo rappresentano, e di fronte ad avversari che dalla nascita del loro partito non hanno mai selezionato il leader attraverso un’elezione, la possibilità di votare un segretario è senz’altro un’ottima eccezione.
Certo, Bersanilfavorito vincerà senza problemi e la disputa risulterà solo virtuale, uggiosa. Ma meglio di niente.
Stupisce invece che il dibattito sulle differenze dei candidati, sui programmi che essi rappresentano, sulle idee che li motivano, non sia mai decollato. Tg, giornali e dibattiti televisivi sembrano glissare l’argomento ed i pochi contributi alla discussione non esauriscono affatto la questione.
Quanto questo silenzio sia figlio dell’informazione imbrigliata e schiava, e quanto invece dipenda dalla cronica incapacità di comunicazione del vertici Pd è difficile a dirsi.
Il martire
“Beati i perseguitati per causa della giustizia perché di essi è il regno dei cieli”
(dalle Beatitudini evangeliche)
Benvenuta la sentenza della Consulta sull’incostituzionalità del Lodo Alfano, ma una sola rondine, si sa, non fa primavera. Non basta questo atto isolato, e tutto sommato dovuto, per inneggiare al cambiamento di tendenza, all’apologia della democrazia, al germe della rivoluzione.
Le prescrizioni, o altri nuovi “lodi”, riporteranno tutto sui binari consolidati di colui che puote ciò che vuole.
Si è posto l’accento sulla natura della decisione della Corte e sull’origine delle motivazioni, ma si è forse dimenticato quali sono i procedimenti a carico del Premier. In altre parole, si è tralasciato il peso che questo provvedimento racchiude. Perché non si tratta di sospendere il giudizio sul furto di quattro galline, ma di qualcosa di un pochino più pesante.
Berlusconi è imputato per frode e falso in bilancio nell’ambito del procedimento per i diritti tv Mediaset. Si tratta della compravendita dei diritti televisivi e cinematografici di società americane per 470 milioni di euro, che sarebbe stata effettuata da Fininvest attraverso due società off-shore nel periodo ‘94-‘99. Nella stessa vicenda avrebbe fatto inviare 600.000 dollari all’avvocato Mills come ricompensa per non aver rivelato in due processi, in qualità di testimone e quindi con l’obbligo di legge di dire il vero e non tacere nulla, le informazioni sulle due società off- shore usate per creare i fondi neri. Mills è stato condannato a quattro anni e sei mesi per corruzione giudiziaria.
Berlusconi, insieme all’uomo d’affari egiziano-statunitense Agrama è poi indagato per concorso in appropriazione indebita. Fino al 2005, quando cioè era già da quattro anni Preseidente del Consiglio, avrebbe sottratto denaro a Fininvest ed a Mediaset per occultarlo all’estero ai danni degli azionisti, del fisco americano e di quello italiano.
Infine pende su di lui un’indagine per istigazione alla corruzione, nell’inchiesta in cui si ipotizza la compravendita di due senatori del centrosinistra, affinché passassero nelle file del centrodestra durante il voto sulla legge finanziaria.
Berlusconi ha reagito, definendosi senza esitazioni la persona più perseguitata nella storia dell’umanità. Al sentore di queste parole Gesù Cristo, il Dalai Lama e sei milioni di ebrei sono sobbalzati ed hanno deciso di promuovere una class action contro il Premier. Chi glielo spiega che in Italia Berlusconi ha tolto anche questo diritto?
La tv dell'obbligo
La trasmissione che Bruno Vespa non avrebbe mai dovuto fare. Vespa ha sapientemente iniziato la puntata con la toccante storia di Giulia. Nel computer della studentessa, morta sotto le macerie del terremoto, è stato trovato il progetto per la costruzione di un asilo a forma di libro. Ieri, alla presenza dei genitori, è stata inaugurata la nuova scuola materna costruita con i soldi raccolti dalla trasmissione e firmata, appunto, da Giulia Carnevale. Nonostante la commozione, questa è la trasmissione che Vespa non avrebbe dovuto fare. Per evitare le violente polemiche suscitate. Ma anche per orgoglio professionale, per non rovinare quanto di buono aveva fatto a favore dei terremotati della sua città. Vada per «Porta a porta» spostata in prima serata per la consegna delle villette agli sfollati di Onna. Vada per Vespa cronista privilegiato al seguito del Presidente tornato gioiosamente impresario edile. Vada per il monologo del premier sulla ricostruzione, e il suo sciorinare cifre e sondaggi favorevoli.
Ma Vespa si sarebbe dovuto opporre allo slittamento di «Ballarò» e, visti i suoi buoni rapporti con Palazzo Grazioli, anche a quello di «Matrix». Perché, in questo modo, anche una cerimonia importante come l’inaugurazione delle casette antisismiche ha dato adito a ogni sospetto. E soprattutto è parso uno di quei rituali sovietici a reti unificate, in stile Putin, a metà strada tra populismo demagogico e culto della personalità. Ieri sera Vespa (con non poche resipiscenze) e il direttore generale della Rai Mauro Masi hanno fatto fare un passo indietro all’informazione tv, l’hanno riportata ai tempi del pensiero e del canale unico. La tv dell’obbligo. Dopo quello scolastico, è stato ripristinato l’obbligo televisivo. Non è tv di regime (c’era anche Piero Sansonetti), ma un brutto modo di fare tv. Il fatto è che i tempi mediatici sono cambiati e sull’episodio è sceso anche un velo comico. Specie quando a Berlusconi sono stati serviti su un piatto d’argento gli argomenti per la difesa scontata sul conflitto d’interesse.
Dicono che Berlusconi avesse paura che altre trasmissioni di approfondimento frazionassero l’ascolto e insinuassero dubbi, non veri secondo lui. Dicono che la concomitanza delle partite di Champions su Sky, che vedevano impegnate Juve e Milan, rappresentassero già un temibile diversivo. Dicono che… Qualunque cosa si sia detto o pensato la concorrenza, politica e televisiva, deve restare il sale della democrazia. Non si può accusare, in nome del libero mercato, il leader dell’opposizione Franceschini di voler abolire l’Auditel dai programmi informativi e poi accettare che vengano spostate due trasmissioni che avrebbero potuto sottrarre audience a «Porta a porta». Oggi l’Auditel ci dirà quanti spettatori hanno seguito la trasmissione, ci darà anche una radiografia della tipologia di questo pubblico. Ma l’unico dato certo è che ormai l’informazione tv è spinta a rafforzare il suo ruolo di «mediazione», di organizzazione dello sguardo sul mondo, di interpretazione e valutazione degli eventi, per quella parte della popolazione che, per diverse ragioni, non ha accesso alle nuove tecnologie. Per gli altri è tutta un’altra storia, informativa.
(Aldo Grasso – Corriere della Sera, 16 settembre 2009)
Il servomuto dei terremotati
È agghiacciante lo slittamento della trasmissione Ballarò, per fare posto all’improvvisa diretta di Porta a Porta. Ma d’altronde… incombe la consegna delle chiavi per le prime abitazioni dell’Abruzzo e le telecamere di Vespa sono il servomuto ideale.
Scansare uno spazio di dibattito politico, seppur partigiano, per far posto ad un estenuante spot governativo è il segnale più macroscopico del marciume dell’informazione italiana. Questa non è più faziosità manifesta, ma subdolo abuso di potere. Modificare i palinsesti per assecondare il desiderio dei governanti, il capriccio del re, il vezzo del sovrano.
La questione non sta nel martirio dei giornalisti della sinistra, ma piuttosto nell’ennesima manipolazione e nel solito imbrigliamento del sistema informativo. Un imbroglio acclarato, un sopruso palese e sfrontato.
Non può un governo dirsi democratico e stravolgere al contempo i piani del servizio pubblico, imponendo la “propria” informazione. Sennò è un’altra cosa.
Ronda su ronda
Mah… tutto il frastuono sull’istituzionalizzazione delle ronde, proprio non lo capisco. Gli accostamenti con lo squadrismo delle epoche infauste, o con i regimi militari in genere, mi pareva azzardato prima, e ridicolo ora. Ci hanno detto che saranno gruppi formati al massimo da tre persone, con la casacca fluorescente di chi deve cambiare la ruota di un’auto ed il cellulare in mano. In presenza di reati, o di fronte a circostanze sospette, potranno solo avvertire le forze dell’ordine, nient’altro.
Il pericolo della deriva giustizialista, il rischio della supplenza delle forze di polizia da parte del cittadino o l’avvento della giustizia fai da te mi sembrano un’insensata fantasia, una facile demagogia.
Viene piuttosto da chiedersi se serviva fare una legge per stabilire che un cittadino può avvisare col cellulare la polizia, qualora si trovi ad essere testimone di un presunto reato. A destra si propone il nulla, a sinistra si critica il nulla.
Onorevole propaganda
L’ultimo annuncio di Beppe Grillo, lungi dal coinvolgere appassionatamente le coscienze politiche, suona piuttosto come l’ennesima boutade provocatoria e propagandistica. Figuriamoci se il Nostro non ha fatto i conti con i vincoli all’iscrizione, che pregiudicherebbero la sia designazione. È davvero così sprovveduto da annunciare la candidatura senza verificarne gli opportuni presupposti?
Forse l’obiettivo è solo un can-can mediatico da belle époque, che in caso di rifiuto da parte dei vertici PD, e dunque di mancata candidatura, dipingerebbe Grillo come un’onorevole vittima sacrificale.
Da reclutatore di folle è divenuto folle recluta. I suoi messaggi condivisibili rischiano di sembrare sparate di un piazzista in preda al delirio. Mi piaceva di più quando faceva la vera politica, quella delle proposte audaci, delle idee nuove e delle soluzioni concrete
Nel dossier Usa sette righe su Silvio
Per la serie… “come ci vedono gli altri”
Laggiù, a Washington, qualcuno non lo ama. Ricordate lo sfregio dell’anno scorso, quando le note consegnate ai giornalisti americani al G8 in Giappone traboccavano di accuse, malignità e veleni al punto da costringere la Casa Bianca a scusarsi? Bene: qualche cosa, al Silvio Berlusconi, è andata storta anche stavolta. Proprio nel giorno in cui incassava i sorrisi e l’abbraccio di Barack Obama, portato in maniche di camicia tra le macerie di questa città così bella e gentile, il malloppo di fogli dato ai giornalisti Usa per «infarinarli» intorno ai protagonisti del viaggio presidenziale rifilava al Cavaliere una nuova stilettata. Sette-righe-sette di micro biografia. Data e luogo di nascita, nazionalità, professione, ultima vittoria elettorale, data d’inizio del nuovo governo. Fine.
Uno sberleffo, in rapporto allo spazio dato a tutti gli altri. Certo, la massima sintesi a volte può essere un segnale di sobrietà. Basti ricordare come Eugenio Montale, coprendo automaticamente di ridicolo tanti suoi colleghi che descrivevano le proprie piccole faccende con sdiluvianti ricostruzioni di pagine e pagine quasi avessero da raccontare le gesta di Alessandro il Grande, riassunse se stesso sulla «Navicella» parlamentare: «Montale Eugenio. È nato a Genova il 12 ottobre 1906 e risiede a Milano. Dottore in lettere, giornalista, scrittore, poeta, premio Nobel per la letteratura nel 1975». Questa asciuttezza ha un senso, però, se è scelta dal protagonista. Non se viene usata da una manina altrui per marcare maliziosamente un distacco. Per tentare di capirci qualcosa occorre appunto ripartire dall’anno scorso. Quando il «Press kit» preparato dall’ufficio stampa della Casa Bianca (con impresso in copertina il sigillo del presidente) a uso dei giornalisti americani al seguito di George Bush al G8 di Hokkaido, in Giappone, era piuttosto «inusuale» nel mondo ovattato dei vertici internazionali. Diceva infatti che il premier italiano «è uno dei leader più controversi nella storia di un Paese conosciuto per la corruzione e il vizio del suo governo». Lo liquidava come «un dilettante della politica che aveva conquistato la sua carica importante solo mediante l’uso della sua notevole influenza sui media nazionali», ricordava che era stato accusato di «corruzione, estorsione e altri abusi di potere che lo costrinsero a dimettersi nel 1994», rideva degli anni giovanili quando «aveva cominciato a fare soldi organizzando spettacoli di burattini a pagamento» e «faceva i compiti di scuola ai compagni di studi in cambio di denaro». Per non dire della iscrizione alla «sinistra loggia massonica P2 che aveva creato uno Stato dentro lo Stato». Parole pesanti. Soprattutto rispetto agli assai più moderati profili di certi presidenti africani al potere da decenni. Come il ritratto dedicato nel «Press kit» attuale all’uomo forte dell’Angola Josè Eduardo Dos Santos, di cui si racconta asetticamente che si è laureato in ingegneria petrolifera nell’Urss, che è diventato presidente dell’Angola dopo la morte di Agostino Neto nel 1979 (trent’anni fa: in un Paese martoriato dalla guerra civile…) e che è sposato con “lady Anna Paola dos Santos” che gli ha dato tre figli… Ma sproporzionate soprattutto rispetto a quello che era allora il capo della Casa Bianca, quel George W. Bush che aveva con l’«amico Silvio» un rapporto speciale. «I sentimenti espressi nella biografia non rappresentano il punto di vista del presidente, del governo americano o del popolo americano», si precipitò a scrivere Tony Fratto, il vice portavoce della Casa Bianca, riconoscendo che quel profilo usava «un linguaggio che insulta sia il premier Berlusconi che il popolo italiano».
E proseguiva: «Ci scusiamo con l’Italia e col premier Berlusconi per questo spiacevole errore». Il Cavaliere accettò le scuse: pietra sopra. Tutto poteva immaginare, quindi, tranne il nuovo sgarbo di ieri. Che è tutto nel confronto coi ritratti degli altri protagonisti e comprimari del viaggio di Barack Obama a l’Aquila, a Roma e in Ghana. Una pagina e mezza viene dedicata al presidente della Commissione dell’Unione africana Jean Ping, del quale si ricorda che si è laureato a Parigi in scienze economiche, che ha lavorato all’Unesco ed è stato ministro delle poste del Gabon. Due al presidente algerino Abdelaziz Bouteflika. Due abbondanti al successore di Mandela alla guida del Sudafrica Jacob Zuma, quasi due e mezzo al turco Recep Tayyp Erdogan, due al brasiliano Luiz Ignacio Lula da Silva, tre al cinese Hu Jintao e all’egiziano Hosny Mubarak, compresa la lista delle medaglie, delle decorazioni militari e delle lauree ad honorem ricevute in giro per il mondo. Due al presidente del Ghana John Atta Mills, nel quale si specifica che è originario di Ekumfi Otuam, che si è diplomato alla scuola secondaria Achimota, che ha studiato a Stanford e pubblicato una dozzina di libri tra cui «L’esenzione dei dividendi dalla tassazione sul reddito: una valutazione critica». E Berlusconi? Come dicevamo: sette righe. Contro le tre pagine di Giorgio Napolitano. Con la precisazione, vagamente offensiva, che quelle poche note sono tratte da BBC News e da un’agenzia della Associated Press. Come se l’anonimo autore della schedina non si fidasse del sito Internet ufficiale di palazzo Chigi (dove l’epopea berlusconiana viene ripercorsa, diciamo così, record dopo record) neppure sulle date. Dirà forse il Cavaliere, facendo buon viso a cattivo gioco: sono così famoso da non avere bisogno di piccole biografie. Sarà. Ma anche il Papa è abbastanza noto. Eppure il «Press kit» ha ripreso integralmente quattro pagine biografiche del sito ufficiale vaticano: dalla madre cuoca alla tesi di laurea (“Popolo e casa di Dio nella dottrina della Chiesa di Sant’Agostino”), dalla fondazione della rivista di teologia “Communio” alla laurea ad honorem del College of St. Thomas in St. Paul in Minnesota…
(Gian Antonio Stella – Corriere della sera, 09 luglio 2009)
Lo sforzo inutile
Gesti inutili, azioni vane, atti limpidamente superflui.
Non servirà assolutamente a nulla, ma andate ugualmente a votare per i referendum elettorali.
Il quorum non sarà neppure sfiorato ed il fastidio di recarsi alle urne, unitamente ai soldi spesi, sarà annoverato tra i soliti, clamorosi sprechi.
Fatelo per la coscienza civile, che ognuno di noi in fondo in fondo coltiva. Unica e sottile consolazione che ci farà stare un po’ meno peggio.