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Dalla metastasi alla cura

Assorbito dal suo lavoro, ogni giorno più consapevole della statura che va assumendo, considera le istituzioni della Repubblica alla stregua di impacci.

… vuole che si sfiniscano in dispute inconcludenti e che lasciando a lui la fatica e la gioia di decidere e di operare. Apprezza, è vero, i consigli di alcuni di loro; ciò che gli riesce intollerabile è l’istituto nel suo insieme, un organo di cui più volte, nel corso della vita, ha saggiato la vigliaccheria o l’inutilità.

…una pericolosa forma di autorità fondata sulla demagogia e sul carisma personale. Il “dittatore democratico” non governa contro il popolo; ha indubbiamente bisogno di una polizia fedele, di “servizi segreti” che abbiano occhi e orecchi dove serve, di denaro per corrompere e di delatori per sapere. Ma è anche un uomo che può comparire in pubblico senza timore, sicuro anzi di raccogliere l’ovazione di una folla che lui si compiace di salutare…

…il suo potere si colloca a metà tra repressione e consenso, imposizione della volontà e ascolto delle profonde esigenze popolari, culto della personalità, totale identificazione (confusione) dei suoi interessi personali con quelli dello Stato. Il funzionamento della democrazia è macchinoso, lento, costoso; il dittatore democratico taglia i costi, accelera le decisioni eliminando gli equilibri tra i poteri, offre certi vantaggi; in cambio si sente autorizzato a limitare le libertà, a imporre il suo volere come il solo legittimo, vuole essere temuto, ma non per questo rinuncia ad essere anche amato. Il dittatore democratico si sente il padre del suo popolo e come un padre si riserva di premiare e di punire a suo giudizio. Il contrario della democrazia appunto”.

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Le correnti di pensiero interne ai partiti sono come metastasi”. Questa affermazione del nostro dittatore democratico sulla pluralità di opinioni è l’emblema di quale sia il suo pensiero in merito al dissenso o al contradditorio. Se chi diverge o esprime parere difforme dal suo è considerato alla stregua del cancro, significa che il peggior male è proprio la democrazia.

Ogni singolo atto, o semplice pensiero, che possa distaccare dal PdL una costola di destra autentica, democratica ed europea, va accolto con eccezionale gaudio.

L’avvento del dittatore democratico ha segnato la fine della destra, tradizionalmente e moralmente intesa, dando vita ad un’altra cosa che anche con i voti di destra ha costruito un ampio e pericoloso consenso.

Se l’obiezione di coscienza di Fini sia solo un fuoco di paglia lo vedremo presto. La speranza, ovvia quanto aleatoria, è che possa segnare l’inizio di un equilibrio nuovo.

P.S. Ah.. la citazione iniziale è di Augias e si riferisce a Giulio Cesare. Cosa avevate capito?

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Dai figli dei Celti ai figli di papà

È passato più o meno un ventennio dalle prime apparizioni otelmiche della Lega. Era la fine degli anni ottanta quando Bossi, braccio operativo dell’ideologo Paglierini, muoveva i suoi passi tra le lande della Gallia padana, aizzando le folle contro Romaladrona e promettendo al popolino mari e tremonti.

Poi le cerimonie alle sorgenti del Po, fiume sacro da cui discende la stirpe eletta, e le manifestazioni nelle piazze della sua foce, con il tricolore di Venezia e le scalate al campanile di San Marco.

La rivendicazione del sangue celtico si è unita all’eterna battaglia contro i privilegi romani ed i vizi insostenibili della casta centrale. Il Bravehearth di Ponte di Legno reclama da sempre un’equità sociale, basata sul vantaggio di chi lavora e produce, a dispetto di chi si lascia trascinare dal carro e dal carroccio. Rinnovare la classe dirigente e promuovere solo la meritocrazia sono da sempre due messaggi chiari che la Lega trasmette ai suoi popolosi elettori.

Ma si sa, il potere folgora chi ce l’ha. Oggi Re Umberto proclama il figlio, facendolo eleggere nella roccaforte di Brescia e designandolo erede (pre)destinato, con un cerimoniale alla Carlo Magno. In barba ai meriti e alla gavetta, in deroga a virtù innate e duro lavoro, nel più classico nepotismo all’italiana e nel clientelismo di mastelliana memoria. I guerrieri forti e impavidi erano un’altra cosa. Ritornano i figli di papà: rivoluzione per modo di dire.

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Girare a destra

Non capisco come si possa non riconoscere il trionfo del centrodestra a queste elezioni. A sentirli, sembrano tutti vincitori. PdL e Lega, che hanno tutto il diritto di esultare. Ma anche Pd, Udc, Idv e i Grillini sembrano contenti dell’esito delle urne (cosa sarà mail il 3 o 4 per cento?).

Volenti o nolenti, l’Italia vira inesorabilmente a destra. Il problema è che è la destra sbagliata.

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Regioniamo un po'

Più di una persona mi ha chiesto indicazioni di voto per le elezioni regionali. Come sempre, su questo argomento deludo i miei interlocutori. Potrei almeno dire per chi voterò io, ma il fatto è che non lo so ancora. Non ho un partito di riferimento, dunque per me la scelta è sempre più difficile che per altri.

Da una parte Formigoni, che governa da sempre. Dicono che la Lombardia sia la prima regione per il livello di sanità e di servizi, e questo depone certo a suo favore. Noi comunque avevamo un ospedale pubblico, ora ne abbiamo uno privato… È indubbiamente la regone più ricca, ma non per merito del Roby. Forse però è anche tra le più inquinate.  Sono sempre scettico di fronte a chi governa da tanto tempo. Se vuoi servire un comune, una regione o uno stato, dovresti dare il massimo e poi andartene. Se resti per troppo tempo, potresti suscitare il sospetto di tenere troppo ai tuoi interessi, non a quelli degli altri. Comunque ha dimostrato di saperci fare, ammettiamolo.

Dall’altra Penati (chi è costui?), che nella mestizia del cognome conserva tutte le incognite e le incertezze del caso. Cosa volete che faccia Penati? Ritengo che l’emergenza più forte della Lombardia rimanga l’ambiente. Inteso come salvaguardia del suolo, come difesa dalla cementificazione e dall’inquinamento (qualsiasi). Pulluliamo di villette a schiera e tra poco ci sarà anche il Ti-Bre. Forse se c’è qualcuno più attento alla causa… mah.

Non escluderei nemmeno la lista Grillo, unica ad esplicitare il malcontento globale contro la classe dirigente. Ma anche il movimento a cinque stelle inizia a deludere: tante urla e poca concretezza. Sarà anche colpa del poco seguito, ma ho da sempre l’impressione che la loro preoccupazione sia più quella di distruggere che di proporre. Non bene. Escluderei a priori i Pezzotta e i figuranti vari delle liste minori. Lasciamoli perdere.

Insomma… un discorso inutile per dire: “votate chi vi pare”. Mi raccomando però: ragionate da soli e non fatevi suggerire troppo! E l’importante è andare a votare e non astenersi mai.

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L’accusativo

A tutti quei giudici che non sanno usar l’accusativo e sanno la differenza tra assolvere, risolvere e dissolvere

(A. Bergonzoni – Non ardo dal desiderio di diventare uomo, finché posso essere anche donna, bambino, animale o cosa)

Giudici svizzeri, che intervengono in tempi da cronografo alla vigilia delle elezioni. Ma giudici Banda Bassotti a Trani, giudici martiri della libertà a Bari. Come è possibile?

Berlusconi tratta le due inchieste di questi giorni, con due misure diverse. Doppiopesismo di vecchio stampo, e di vecchio scalpo (il suo). Si può dubitare di tutto e di tutti. Si può sempre urlare al complotto o frignare contro la cosprazione, a prescindere.

Però chi ha la coscienza a posto in genere è sereno e quasi sempre, se non ha nulla da temere, attende che il tempo galantuomo porti giustizia.

Si lascino lavorare i giudici, anche quelli ipoteticamente prevenuti e forcaioli. Se non hanno nulla in mano, cosa c’è da preoccuparsi?

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E vissero tutti iscritti e contenti

Il Tar ha riammesso la lista “viziata” di Formigoni. Non perché il vizio in sé fosse venuto meno, ma perché autorizzati a sollevarlo erano solo le liste escluse, ed i radicali, rei di aver puntato il dito, non erano in questa condizione. Ora l’ordinanza del Tar abolisce anche il controllo sulle firme.

Si può dissentire sul cavillo, ma la giustizia amministrativa ha fatto il suo corso e dunque non c’è nulla da eccepire. “Si ristabilisce la democrazia”, plaudono i più, perché viene salvaguardato il diritto di centinaia di migliaia di elettori di votare per lo schieramento Pdl. Forse è vero: eliminare il primo partito italiano dal concorso elettorale delle principali regioni avrebbe significato guastare e pervertire il naturale equilibrio democratico. È una questione di evidente buonsenso. Tuttavia, il rispetto delle regole dovrebbe venire ancora prima del buonsenso. Questo perché il primo è un principio oggettivo, mentre il secondo rimane comunque un fatto arbitrario e dunque soggettivo.

Ad ogni modo, Tar a parte, il colpo di mano del provvedimento ad listam era, ed è, già pronto. L’ennesimo decreto legge, che regola d’urgenza i paletti della competizione elettorale già in corso. Come se una squadra, subendo un gol sul filo del fuorigioco, cambiasse d’ufficio la regola dell’offside e si riportasse immediatamente sullo 0 a 0. Il decreto stabilisce che la scadenza della presentazione delle liste si misura con l’orario d’ingresso in tribunale di coloro che portano le firme, non con la consegna effettiva dei plichi: questo “salva” il Pdl a sostegno della Polverini. Stabilisce poi che l’autenticazione sia valida anche in assenza di alcuni requisiti formali, purché tali requisiti siano “desumibili” da tutto il resto della documentazione: questo recupererebbe Formigoni, già spedito sulla via del quarto mandato.

I paladini della democrazia, i garanti dei diritti del popolo, dovrebbero accorgersi che per assicurare il sacrosanto diritto di votare un partito si è proceduto a cambiare in corsa le regole del gioco. Ma questo non sarebbe accaduto se gli esclusi fossero stati una civica di pensionati di Campobasso o la lista “No Euro” della Liguria. Due pesi, due misure. La salvaguardia democratica è un’altra cosa.

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Aspira-polveri….

L’esclusione della lista Pdl a Roma mi pare una follia. Questi qua è da vent’anni che presentano documenti alle elezioni e arrivano in ritardo? Ma dai!

Ipotizzo altri cinque motivi per la possibile esclusione.

– La lista è stata cancellata per l’imbarazzo dei candidati stessi, quando hanno scoperto un inquietante errore di battitura nel nome della lista: “Insieme per la PolverinA

– La lista è stata ritirata dai membri dell’Udc, confusi di fronte ai sostegni incrociati di Casini. Pier sosteneva contemporaneamente la Polverini in Lazio, Mercedes Bresso in Lombardia, un aspirante probiviro alla Canottieri Napoli, un revisore dei conti all’Avis a Conegliano Veneto e Miss “maglietta bagnata” a Roccella Ionica;

– La lista è stata boicottata da Bossi, perché Cota non sapeva chi è la Polverini;

– La lista è stata bocciata perché mentre attendevano chi presentasse tutti i documenti, ha citofonato Capezzone;

– La lista è stata scartata perché quel poco di colore rosso del simbolo è stato giudicato incompatibile con la tinta di Bonaiuti.

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Mal condicio

Scrive Massimo Fini che hanno avallato per anni lodi e leggi ad personam e ora dicono: “Sta per saltare il tappo“.

Dopo aver putrefatto tutto il sistema ora ci dicono che la corruzione va combattuta e deprecata. Che non si possono candidare uomini compromessi. E quelli che si sono compromessi prima e ora legiferano per noi? No, quelli possono rimanere. Da quando le leggi (eventuali) sono retroattive?

E poi il vero male di queste settimane sarebbe Morgan?

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Protezione Incivile

Le indagini di questi giorni sull’operato, i favori, le amicizie e le abitudini dei vertici della Protezione Civile non sorprendono nessuno. Il confine tra verità e strumentalizzazione è, ed è sempre stato, incerto e labile. Se siano cioè vere le accuse, o piuttosto se si stia delegittimando una potente macchina gestionale, non ci è dato di sapere.

Le verità però sono due. La prima, che la Protezione Civile di questi anni ha raggiunto obiettivi eccellenti, risolvendo egregiamente problematiche molto complesse. La seconda, che l’ente in questione ha goduto e gode di facilitazioni operative senza eguali. Potremmo dire: è più semplice fare bene, avendo carta bianca su tutto.

Chi è sottoposto alle indagini della magistratura dovrebbe sempre mettersi a disposizioni degli inquirenti e dimostrare la propria innocenza. Eludere, riluttare, giustificare… significa nascondersi. Vero è che chi accusasse senza giusta causa dovrebbe, alla fine delle indagini, pagare dazio.

Se questo can can fosse servito ad evitare la privatizzazione dell’ente, sarebbe di per sé già un ottimo risultato. Se il polverone favorisse altresì una regolamentazione più attenta, tanto meglio.

Perché se oltre al terremoto, alle inondazioni, alle frane… vengono dichiarate emergenze anche i mondiali di nuoto, i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia o il centenario del Padova Calcio, allora è chiaro che l’occasione fa l’uomo ladro e la Protezione Incivile.

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Legittimo turbamento

Gli impedimenta, in latino, erano i bagagli e i carichi che seguivano gli eserciti. Legittimo impedimento, con uno sforzo di fantasia intellettuale, potrebbe pertanto dirsi: insieme degli oggetti e delle attrezzature indispensabili all’attività di un esercito, armamentari e strumenti regolarmente in dotazione alle frange militari. L’espressione potrebbe sintetizzare ed accostare insieme due concetti: quello dell’esercito, cioè di un insieme sterminato di persone, e quello di legittimità (cioè di “legale”, ma al contempo di “giusto”).

Invece no. Bandita l’accezione storica e romantica del significato, oggi legittimo impedimento ha per noi un significato ben più mesto. Non riguarda un assembramento sconfinato di persone, ma una strettissima schiera di illustri signorotti. Lungi dall’essere giusto e morale, distorce la legge conformandola a se stesso e diventando dunque esso stesso legittimo, cioè legale.

C’è in Italia un presupposto errato. Si ritiene, diffusamente, che la legittimazione popolare sia un salvacondotto per qualsiasi azione. Il potere legittimo conferito dal popolo convaliderebbe insomma qualsiasi gesto o condotta. Legittimo sospetto, legittimo impedimento, legittimo tutto… perché è il popolo che mi ha chiesto di decidere per lui.

Gli eserciti combattono e spesso si estinguono durante la loro attività. La casta non combatte e spesso si autoriproduce durante la sua inattività.

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