Archive for category Cose di paese

Fontana esanime

“Paese mio che stai sulla collina,
disteso come un vecchio addormentato”

(J. Fontana, Che sarà)

 

Ieri è morto Jimmy Fontana. Sua sorella, la Fontana di Volta, è passata a miglior vita nell’inverno scorso, quando le hanno chiuso i rubinetti.

Così il Comune risparmia (1500 euro all’anno, dice Beggi sulla Gazzetta di ieri) e, cosa ancor peggiore, il ristorante Miramonti, che da tempo l’aveva annessa al suo sconfinato dominio, dovrà rinunciare ad usarla come vasca per le aragoste.

“Che sarà?”… cantava malinconicamente  il buon Jimmy.

 

Fontana

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Che cosa apparirà?

“La bellezza è un enigma”

(F. Dostoevskij, L’idiota)

Per neutralizzare la noia dell’agosto, o semplicemente per accompagnare i caldi pomeriggi d’afa, è arrivato l’immancabile gioco enigmistico dell’estate voltese. Che vi troviate sotto un ombrellone della piscina Cavallara, o sotto il bocchettone del condizionatore del tinello, che siate sdraiati da Piva, magari immersi in un cornetto “riccotta ai fichi”, o semplicemente seduti con ozio sulla tazza del vostro bagno, non potrete rinunciare all’imperdibile gioco della settimana enigmistica: “Che cosa apparirà?”

Arrivando a Volta da Valeggio, dopo aver ammirato in lontananza il maestoso orizzonte con le torri medievali e il supermercato Lidl multicolor poco sotto, potete scorgere un’altra bellezza locale. Un edificio di misure modeste, ben collocato all’interno della lottizzazione Col Fiorito, che sorge laddove per secoli si estendeva una palude.

Molti anni addietro ci avevano raccontato che sarebbe stato il complesso residenziale più bello di Volta ed infatti è così. Qui regna l’armonia edilizia più assoluta ed il buongusto, direi medievale anch’esso, la fa da padrone.

L’edificio ha forma armonica e sobria, ma dovete indovinare che cosa apparirà alla fine dei lavori. Alcune ipotesi:

–          una clinica privata di Nicchio (più semplice da trovare rispetto all’attuale,  per chi viene da Verona);

–          un distributore (eh… quello nuovo non ha il metano…);

–          un resort per politici di lungo corso (dove ospitare amministratori locali spiaggiati);

–          un negozio di tacchi, dadi e datteri (insegna da decidere tramite concorso di idee);

–          la nuova casa di Balotelli (ecco spiegate le voci sui suoi investimenti edilizi voltesi);

–          il nuovo salumificio Levoni (in luogo di quello demolito);

–          la farmacia per Cereta (eh… era stata promessa…);

–          la vera casa di Virgilio (emersa magicamente dalla palude, in seguito agli scavi)

Attendiamo fiduciosi la risposta.

Cosa apparirà

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Oh… beata paula!

“Nei dissensi civili, quando i buoni valgono più dei molti,
i cittadini si devono pesare e non contare”

(M.T. Cicerone – De re publica)

Mi hanno riferito, perché io non seguo il cinema trash di serie b, che su facebook è stato fatto un conteggio di quante volte è apparsa la parola “Beata Paola” nell’ultimo Voltapagina: 13 citazioni, dicono.

Benché quello di contare le “beate paole” non rientri tra i miei svaghi abituali, possiamo certamente giudicarlo un passatempo dilettevole, della serie: se piace, piace…

Non so se il numero 13 sia effettivo (come detto, non le ho contate), ma può essere una cifra plausibile. In fondo la Beata Paola rimane la patrona (o matrona?) del paese, è stato ultimato il restauro della Cappella a lei dedicata e ci si prepara al cinquecentenario della sua morte.

Andando a memoria ho rovistato nel mio archivio. Ho trovato un Voltapagina del 2004 in cui ricorre 10 volte Luciano Bertaiola (11 o 12, se contiamo solo il cognome). All’epoca non si trattava di un Santo, né di un Beato. Forse lo si considerava un patrono, sta di fatto che allora nessuno disse niente.

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Divieto di balneazione

E sarà mea questu spècc de aqua
a daat indré la tua facia a sees ann
 
Trad. E non sarà questo specchio d’acqua
a ridarti la faccia che avevi a sei anni

(D. Van De Sfroos – Dona Lüseerta)

Ieri sono andato a correre sull’alzaia del canale Virgilio. Ogni volta che passo al fianco del lungo corso d’acqua, e delle numerose vasche irrigue, mi ritorna alla mente quando da piccolo andavo a farci il bagno. Mi ci portava mio zio, insieme ai miei cugini. Lì ho imparato a nuotare e a fare i tuffi a “bomba”. Mio zio non ha mai investito troppo tempo per insegnarmi i tuffi a “ficchetto” e ancora oggi mi porto dietro questa grave lacuna tecnica. Parliamo suppergiù di trent’anni fa. Poi con le scuole medie sono arrivate le uscite agli acquapark e con le superiori i pomeriggi nelle piscine degli amici. I bagni al canale sono rimasti nella memoria, messi da parte come le rotelle della bici o come quella maglietta di lanina del Milan nella quale, dalla prima media in poi, proprio non ci entravo più.

Ho smesso di fare il bagno al canale non perché mi facesse schifo (credo di essere l’unico voltese insieme a Walter Piva ad aver fatto il bagno anche nell’Adige), ma perché la piscina era decisamente più comoda e confortevole. Forse anche perché l’odore di cloro tutto sommato è meno sgradevole di quello di freschino.

Da trent’anni a questa parte la qualità dell’acqua del canale è progressivamente scaduta. Schiume varie e bottiglie di plastica hanno preso il posto di qualche sparuta alga. Quasi nessuno, ormai, ci fa più il bagno. Nonostante i cartelli di divieto di balneazione, ma non di abnegazione, ieri ho visto una famigliola marocchina placidamente immersa. Per noi sono marocchini anche i Ghanesi e i Brasiliani (e a volte anche i Siciliani), ma questo è un altro discorso. Nessuno di noi probabilmente manderebbe al canale i propri figli, ma loro, con grande gioia, sguazzavano fieri nelle vasche di cemento. Non ho potuto fare a meno di pensare all’ennesimo segnale di un mondo a doppia velocità, dove i più fortunati hanno la piscina in giardino, mentre ai meno abbienti non resta che nuotare tra quel che rimane.

divieto

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Piove sul bagnato

Mi hanno mostrato con ammirazione i tentacoli edilizi che riempiono ogni pertugio di questa pianura, e che s’insinuano disgreganti su per i dossi e le prime colline delle Prealpi: uno squallore di dimensioni imponenti che in lui, invece, suscita sentimenti di genuina ammirazione. Il panorama di fronte a noi mostrava, in tutta la sua grandezza, l’ottusa capacità devastatrice degli uomini

(U. Matino, La valle dell’orco)

Leggendo un articolo del Gazzettino, apprendo che la Protezione Civile è il “magistrato” delle acque per l’alluvione. Dev’essere certamente per questo motivo che qualche settimana fa Cereta è finita sott’acqua, cioè perché a Volta la Protezione Civile non ha il potere di “magistrato”, ma quello di un “uscere di tribunale”.

In assenza di magistrati che governano, ma in presenza di molti azzeccagarbugli che chiacchierano, le prevedibili piogge di maggio hanno sommerso la frazione di Cereta. Benché i giornali ne facciano una notizia, i meno giovani non si stupiscono affatto: un evento simile accadde anche nel 1956 e nel 1967. E un amico mi racconta che da sempre la località Ciaegòt (dal dialettale ed esaustivo “Ciàega”, ovvero chiusa, chiavica, cloaca), ubicata proprio all’ingresso della frazione, finisce in salamoia al primo temporale di rilievo.

In perfetto stile italiota (che fa rima con…) al Ciaegòt c’abbiamo fatto il quartiere residenziale più “in” di Cereta. Villette a schiera coi colori di Portofino, piazzette in porfido e seminterrati umidi che si possono trasformare all’occorrenza in ampi acquari, come i divani-letto quando viene un ospite. È la cosiddetta “promozione del territorio”, quella che promuove le zone paludose in zone edificabili, mai viceversa. A nord del paese brilla la lottizzazione Paül (in italiano “Palude”), che già dal nome mostra la propria evidente attitudine naturale ad ospitare insediamenti residenziali.

In questi giorni è nato il comitato “Futuro per Cereta” che dovrà difendere il territorio della frazione. Se non dalle speculazioni, almeno dal maltempo.

Ciaegòt

il Ciaegòt immortalato dalla Gazzetta di Mantova

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XXVII° Consiglio (15 aprile 2013)

Il Consiglio ha discusso e adottato un piano attuativo del PGT. Si tratta dell’area privata (non pubblica) nei pressi di via del Tricolore, oggetto di perequazione per l’abbattimento dell’area ex Tintoria dei Savi, ormai integralmente demolita. Tutti i pareri delle varie istituzioni sulle caratteristiche dell’area sono stati favorevoli, dunque l’osservazione (apparsa anche tar le lettere di Voltapagina) è stata respinta. La Minoranza, che in fase di discussione del PGT non aveva addotto alcuna particolare obiezione al riguardo, si è detta contraria. Delle quattrocento persone che hanno apparentemente firmato l’osservazione, in sala ne era presente solo una. Mi sembra strano che un bisogno della cittadinzna, se è davvero così sentito, non venga minimamente rappresentato nella fase più decisiva del provvedimento. E mi sorgono grossi dubbi sulla raccolta delle firme. Non è che si tratta dell’ennesima polemica politica, finita misermente in vacca?

Nella stessa seduto è stata approvata anche l’altra perequazione dell’ex Tintoria dei Savi, in via Aldo Moro. Qui la Minoranza si è astenuta.

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Dalla bidella alla brace

“Mondo buèo, fasso èl bidèo
Go na paga da miseria e un diretór via co el sarvèo”

(S.O. Skardy – Bideo)

Possiamo anche fare gli ipocriti e dire che la bidella ha la stessa importanza della deputata. Possiamo anche dire che le bidelle dovrebbero stare a Palazzo Madama e le senatrici relegate nelle portinerie delle scuole elementari. Applausi.

Probabilmente è vero che la bidella è mediamente più dignitosa della parlamentare, ma sul fatto che al vertice dell’impiego pubblico ci stia il politico di professione e alla base il custode della scuola, non ci piove.

Insomma il lapsus della Finocchiaro (“Qua stiamo parlando di parlamentari della Repubblica, non stiamo parlando di bidelle”) è una gaffe fino ad un certo punto.

In ogni caso, io ho scarsi ricordi delle bidelle. Tranne di due.

La prima è la bidella delle medie, la Maria. La Maria me la ricordo perché era la moglie del Giovannibidello (si scrive tutto attaccato, perché si pronuncia sempre così, anche adesso che ha superato gli ottanta). Marito e moglie, entrambi bidelli. Credo che il Giovannibidello fosse l’abbreviazione del soprannome “Giovanni del bidello”, perché il Giovanni è figlio d’arte, anche suo padre faceva il bidello. Col Giovannibidello abbiamo fatto tantissime raccolte della carta da riciclare per la parrocchia: lui guidava il furgone e noi caricavamo la carta, passando di famiglia in famiglia. Ero uno spettacolo, perché ci lasciava sedere nel cassone del camion anche se era pieno zeppo di carta. In realtà qualche perplessità sul livello di sicurezza gli sorgeva, ma poi lo convincevamo che non sarebbe successo niente e lui bofonchiando diceva: “Va bè, però attaccatevi bene, che se cadete per strada vi lascio lì”.

La seconda bidella della mia storia si chiamava Maria anche lei, ed era al liceo. Era alta un metro e trentacinque e pesava approssimativamente centotrentacinque chili. Un figurino. Non avevo un particolare feeling, ma la ricordo bene perché si arraffò le galline che portammo a scuola in occasione del I° aprile. Avevamo pattuito con l’allevatore che se gliele avessimo riportate integre dopo lo scherzo, non le avremmo pagate. Ma la bidella Maria se le portò a casa. Sono certo che le galline finirono alla brace. Non potemmo né rivendicarle come nostre, perché avremmo ammesso pubblicamente di essere gli autori dello scherzo, né convincerla a regalarcele. Fummo costretti dunque a pagarle per intero all’allevatore. In quel momento insultai la bidella molto più di quanto ha fatto la Finocchiaro.

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Saranno famosi

La fama degli eroi spetta un quarto alla loro audacia;
due quarti alla sorte,
e l’altro quarto, ai loro delitti.”

(U. Foscolo – Ultime lettere di Jacopo Ortis)

A Volta ci sono tre modi per diventare famosi.

Metodo del “campione” rappresentativo. Consiste nell’eccellere nello sport, diventare un vero e proprio campione e rappresentare il proprio paese a livello nazionale. È quello che è successo a Matteo Cressoni, che ha vinto un campionato italiano automobilistico e si è conquistato una pagina intera su wikipedia. Questo metodo è efficace, ma necessita di un piccolo, quasi trascurabile, requisito: è necessario possedere del talento innato.

Metodo del “ventennio sfascista”. Consiste nell’amministrare in maniera dittatoriale per circa vent’anni. Prevede il culto della personalità ma, contrariamente al primo metodo, non necessita di alcun talento di base. Anzi, meno talento si ha, e più semplice diventa il raggiungimento dell’obiettivo. Qui il problema è un altro: per i prossimi lustri ci sono già parecchie prenotazioni e la lista d’attesa è molto lunga.

Metodo della “copertina del Time”. Consiste nel veder pubblicato un articolo su di sé, in uno dei volantini mensili della Minoranza. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il “volantino dei Minoritari”, da non confondere con i Minorati, non è un depliant pubblicitario sulla frustrazione e sulla mancanza di vigoria. Si tratta di un periodico d’alto livello, a tiratura limitata, basato sull’approfondimento culturale delle biografie più illuminate. Apparire qui equivale a conquistare una copertina del Time.

Io sono riuscito a raggiungere la fama grazie al terzo metodo. Un’intera pagina sul mio personaggio non si era mai vista! Non so se merito tanto, in ogni caso: grazie. Ringrazio tutti coloro che l’hanno permesso e vorrei dividere il successo e la celebrità con chi ha creduto in me in tutti questi anni.

Mi rimane però un dubbio: in tutto l’articolo che mi celebra non si smentiscono le mie due affermazioni fondamentali. Cioè:

1- che la Minoranza ha espressamente richiesto di non scrivere più su Voltapagina, nonostante un costante coinvolgimento da parte della Redazione;

2- che la Minoranza stessa ha protestato contro le vicende Vannini e Farmacia di Cereta, senza mai presentare interrogazioni scritte al Sindaco su questi argomenti.

Il resto è fuffa.

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A PARER MIO – Rumore sui colli

Per qualche tempo, questo giornale ha cercato di proporre ai cittadini l’”Arena del dibattito”. Un contenitore semplice, dove Amministrazione ed Opposizione hanno cercato di confrontarsi pubblicamente, talvolta imbeccate dalle domande del Direttore, sugli argomenti più caldi dell’agenda comunale. Sembrava la maniera più diretta e trasparente per offrire al pubblico i propri punti di vista, assicurando al pubblico stesso la garanzia parallela dell’”altra campana”. Gli argomenti del dibattito, suggeriti in Commissione, sono sempre stati condivisi preventivamente dai rappresentanti di entrambe le fazioni, in modo da non imporre nulla a nessuno.

Ciononostante, da qualche mese la Minoranza ha deciso, legittimamente intendiamoci, di sottrarsi a questo confronto. Un “Aventino” (il riferimento è alla celebre reazione dei deputati antifascisti, dopo l’assassinio Matteotti del ’24), dove disertare le colonne di Voltapagina dovrebbe assumere la connotazione della protesta eclatante. Ma ciò, evidentemente, non giova a nessuno. Non giova alla Maggioranza, impossibilitata a ribattere puntualmente alle critiche rivoltele. Non giova alla Minoranza, costretta a lanciare le proprie invettive con volantini da marciapiede. Ma non giova neppure al cittadino, sempre più confuso e sempre meno attratto dalla voglia di capirci qualcosa.

Dalla carta stampata all’aula. Il mese scorso la Minoranza ha abbandonato i lavori del Consiglio Comunale, ritirandosi nel suo secondo “Aventino”, stavolta meno giornalistico, ma decisamente più politico. Colpa, dicono, di un’Amministrazione che non dà risposte alle questioni critiche evidenziate nei volantini delle scorse settimane. Eppure basterebbe, se solo si volessero risposte ufficiali, presentare un’interrogazione scritta al Sindaco, il quale sarebbe obbligato a rispondere al Consiglio. Ma ciò, evidentemente, non avviene. Come mai?

I manifesti di propaganda, gli scioperi della parola e gli aventini di campagna poco aiutano ad ottenere efficacemente risposte. A meno che l’obiettivo non sia quello di portare chiasso e rumore sui colli.

Sui colli, appunto. Dalle proteste dell’Aventino alle Oche del Campidoglio il passo rischia di essere troppo breve. A Roma il fragore delle oche destò i Romani dell’imminente arrivo dei Galli. A Volta lo schiamazzo sembra solo generare confusione.

Ahinoi, la campagna elettorale è già iniziata.

(Editoriale pubblicato su Voltapagina n.44)

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Farmacia canaglia

“Nel mondo c’è un ordine naturale di farmacie,
poiché tutti i prati e i pascoli, tutte le montagne e colline sono farmacie […]
nella natura tutto il mondo è una farmacia che non possiede neppure un tetto!”

(Paracelso, Volumen Paramirum)

La scorsa settimana si è tenuta un’assemblea rivolta alla cittadinanza, per illustrare i motivi che hanno portato alla scelta di rinunciare a Cereta come destinazione di un’eventuale seconda farmacia.

Un po’ di storia. Nel 2006 viene assegnata una farmacia rurale al Comune di Volta Mantovana. Il bando pubblico di assegnazione può essere fatto entro il 2009, ma la vecchia Amministrazione non lo redige (anche se il bando stesso non richiede necessariamente la disponibilità immediata di un locale).

Dal 2010 cambiano le norme relative alle società a partecipazione comunale. Non sono più ammesse le società per comuni inferiori ai 30.000 abitanti. Sotto questa soglia i comuni non possono più costituire società, né assumere nuovo personale. Così facendo Volta non è più autorizzato a gestire la nuova farmacia, nè con proprio personale, né costituendo una società apposita. L’unica soluzione possibile rimane quella di costituire una società con altri comuni, la cui popolazione complessiva superi i 30.000 abitanti.

L’Amministrazione avvia i contatti con altri comuni per ricercare la disponibilità a costituire un’unica società di servizi. Nel 2011 Virgilio e Curtatone accettano la proposta di Volta di costituire un’unica società di servizi, cui conferire tre farmacie (una per comune). La gestione delle farmacie va conferita a privati a seguito di una gara pubblica, nel rispetto delle regole del libero mercato.

Si procede dunque affidando l’incarico di redazione di uno studio di fattibilità ad una società specializzata. Emergono subito gravi dubbi sulla sostenibilità economica della farmacia di Cereta, a causa del limitato bacino di utenza. Si certifica che il valore del capitale economico di una struttura a Cereta corrisponde a circa 189.000€, quello di un esercizio a Volta è stimato in circa 1.496.000€. I conti sui guadagni sono impietosi, evidenziando margini quasi irrisori per Cereta.

Ritenendo più appetibile la posizione di Volta, e nel tentativo di garantire comunque alla collettività l’apertura di una seconda farmacia, si chiede e si ottiene lo spostamento della stessa nel centro urbano (decreto regionale Ottobre 2012), individuando gli spazi lasciati vuoti dal consultorio, adiacenti al poliambulatorio dei medici di famiglia. L’obiettivo vorrebbe essere quello di integrare la farmacia in un polo con servizio infermieristico di tipo territoriale, medici specialisti, logopedista, ostetrico, ginecologo, assistente sociale etc…

Resta il fatto che in ogni caso, di questi tempi, sarà difficile ottenere risposte al bando.

È ovvia la delusione per alcuni cittadini di Cereta, ma è altrettanto ovvio che la decisione è stata dettata dalle mutate circostanze economiche e normative.

Rimane aperta, dal 2014, l’ipotesi (pressoché scolastica) di richiedere l’assegnazione di una  terza farmacia a Cereta.

Di fronte a tutto ciò l’Amministrazione, seppur trascinata dalle polemiche degli ultimi giorni, si è presentata davanti ai cittadini mettendo la faccia ed incassando anche roventi critiche. Non è un gesto così scontato.

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