Archive for category Cose di paese

Il potare logora chi non lo sa

Vi pare possibile che per potare un viale alberato nei pressi di un’entrata di una scuola, si debba operare alle 8 del mattino, nel mezzo della processione di auto di i geitori accompagnano i figli alle lezioni?
Ieri in viale Marconi, operatori al lavoro che tagliano i castagni a cinque metri d’altezza. Camion e rami in mezzo alla carreggiata, tra auto incolonnate ed inutili ingorghi. Non si poteva attendere mezzora? Le studiano a tavolino queste soluzioni intelligenti, oppure si tratta solo di strategia negligente?
In colonna a 200 metri da casa. A volte non serve attraversare la tangenziale di Mestre né superare la barriera di Melegnano per perdere la pazienza.

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Opus Day 2008, ventata progressista

Edizione dell’Opus Day all’insegna dell’innovazione e del cambiamento. Molte new entry hanno fatto breccia nella cerchia dei golosi e di conseguenza anche il numero dei partecipanti ha subito un notevole incremento, rispetto alle edizioni degli ultimi anni. Qualcuno ha meritato di sedere alla tavola della manifestazione, mentre qualcun altro ha perso sul campo la grande chance offerta.
Percorso impegnativo, ma come sempre carico di soddisfazioni.
È bello sapere che da oltre dieci anni l’appuntamenteo è considerato imprescindibile ed irrinunciabile. Mutano le circostanze, cambiano le nostre vite, ma ogni anno, lo stesso giorno, ci ritroviamo per la nostra “giornata-impresa”.
Questo il menù del 2008.

Aperitivi:
Brut de brut dei colli bresciani;
Meriggio uggioso, accompagnati da:
Schiacciatelle rustiche ai sapori del Vesuvio
Olive saracche ed arachidi iberiche

Antipasti:
Petali di mais abbrustoliti, con selezione di erborinati della Franconia;
Carpaccio di salmone baltico e tonno rosa dello Ionio, all’olio crudo di frantoio;
Frittatina contadina agli effluvi invernali

Primi piatti:
Risotto del moschettiere, alle primizie di Guascogna;
Trofie caserecce al pesto del levante;
Spaghetti alla chitarra con pescato del Doge

Sorbir freddo di limone campano

Secondi piatti:
Coda di pesce rospo agitata in sugo di pomodoro e capperi del Salento;
Sghirletto di cinta senese in letto di patate novelle

Contorni:
Carotine selvatiche alla Robespierre;
Cappuccetto rosso al balsamo di Modena

Scrigno del malgaro in sollazzo di mostarde della nonna

Sorbir freddo alle fragola della Trinacria

Dolci:
Semifreddo del Folengo all’amaretto appetitoso;
Pan dorato al capriccio del pasticciere;
Sbrisolona alticcia;
Delizia di fragole in bambagia di panna fresca

Caffè
Bazar di grappe all’aroma di campagna e amari del casale
Cubino del Cugino
Vin brulè “riposainpace”

Il tutto accompagnato da vini di eccellente livello, come Lighea e Sedara di Donna Fugata, Campofiorin di Masi, magnum di champagne Jean Josselin.
Ringrazio chi ha partecipato, chi ha cucinato, chi ha reso la giornata “viva”. Insomma ringrazio tutti quelli che hanno concorso a rendere anche questa edizione godibile.

Opus Day 2008

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La rimpatriata

Mi preme ringraziare coram populo Gianluca e Daniela per la bella serata di sabato. Al di là dei festeggiamenti per i loro dieci anni di matrimonio (circostanza forse più importante di tutte), è stata l’occasione di rivedere vecchi amici che da anni latitavano. Ascoltare voci e scambiare sguardi con persone “perse di vista” è stato magnifico. Potrei dilungarmi facendo nomi e cognomi, suggerendo emozioni ed inevitabili ricordi che molti dei partecipanni hanno suscitato. Ma non è rilevante. È rilevante esserci stati.
Detto da me, elitista per vocazione ed ostile nei confronti di confusione e cumuli umani, forse vale doppio.

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Grilli voltesi

Non collaboro personalmente all’iniziativa, anche se mi sarebbe piaciuto farlo. Apprendo solo ora quanto accadrà domenica a Volta, quindi posso solo provvedere, nel mio piccolo, a divulgare la pregievole iniziativa.
Volta Mantovana aderisce al Vaffanculo-Day proposto da Beppe Grillo. Per chi volesse saperne di più… www.grillivoltesi.it

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Ciao

Quelli che vogliono Mario
(E. Jannacci – Quelli che…)

Chissà se sei davvero nel posto che penso. Chissà se ti concedono un tempo per pensare ai tuoi cari. O se tu stesso puoi prendertelo e dedicarti per qualche istante al loro ricordo, come loro fanno con te. Chissà se da quel posto puoi vedere, parlare e continuare ad amare tua moglie. Sarebbe bello scoprire che riesci a pensare ai tuoi figli, alla tua famiglia, al paese che tanto amavi.
Fosti uomo buono, dall’indole grande e dall’animo generoso.
Da piccolo mi divertivo a giocare con te, ad ascoltare le tue parole, a seguire i tuoi gesti. Poi nei miei anni più belli mi lasciasti da solo, il tuo lungo viaggio mi abbandonò con i ricordi e le tante preghiere.
Vorrei dirti che proprio quando non avevo neppure l’età per imparare, tu riuscisti ad insegnarmi tanto.
Ciao nonno.

(esattamente vent’anni fa, moriva mio nonno Mario)

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Genesi di una mostra

Conobbi don Daniele in prima media. Rimase nella nostra parrocchia fino a quando io e i miei amici ci addentrammo nella buia selva delle scuole superiori. Anni strani. Bambini che diventavano adolescenti, adolescenti che volevano già essere adulti. Caratteri da formare, alla continua ricerca di esempi da seguire ed immagini da contestare. Cercavamo persone con le quali confrontare schiettamente le nostre passioni ed i nostri sogni, menti aperte in grado di ascoltare i nostri disagi ed i piccoli grandi problemi che l’adolescenza porta inevitabilmente con sé.
A tredici anni riconoscevo in don Daniele l’autorità perfetta, la guida sicura e giusta. Vedevo l’uomo che sapeva motivare le mie scelte, valorizzare le mie doti, parlare alla mia anima. Il sacerdote giusto al momento giusto. Poi un po’ di delusione, quando lo vidi precocemente lasciare la nostra comunità per raggiungere la missione in Etiopia. “Pazienza”, dissi. “Certo che tra tutti i sacerdoti che ci sono, proprio lui dovevate mandare fin laggiù?
Anni dopo, di fronte alle nuove e diverse pieghe della vita, capii che don Daniele fu molto più di tutto questo. Gli bastarono pochi anni per tracciare il solco del mio carattere. “I frutti”, come diceva lui, “li avrei raccolti dopo”. La sua morte, repentina all’età di 43 anni, mi sconvolse la vita. In un continuo flash back, rividi tutte le nostre conversazioni, trovando molte risposte ai miei nuovi problemi, quelli che lui non aveva neppure fatto in tempo a conoscere. Ripensai che quando ancora ero bambino, lui mi aveva già preparato ad affrontare il mondo degli adulti. Aveva eretto fondamenta che un giorno sarebbero state la base di una costruzione più grande. Ringraziai Dio per questo, per l’immenso dono di quell’uomo grande, che la Provvidenza mi aveva concesso di conoscere. Mi arrabbiai con lo stesso Dio, colpevole di averlo allontanato da Volta e di averlo poi preso definitivamente con sé. Troppo presto.
A dieci anni dalla sua morte, l’allestimento di una mostra.
Non vuole (almeno nelle mie intenzioni) essere un modo per ricordarLo, ma per ricordarCi. Chi ha avuto la grazia di condividere un percorso con don Daniele, non ha bisogno di espedienti per ricordarsi di lui. La sua grandezza, celebrata ovunque ed indimenticabile per definizione, rimane un’immagine indelebile: patrimonio comune e personale allo stesso tempo, che nessuno ci toglierà mai. Noi abbiamo invece la necessità di rivederci, di riviverci, di ricordarci come eravamo quando vivevamo alla sua ombra. Rivedere noi stessi al fianco di don Daniele ci aiuterà a capire molto e di più della nostra vita.

Ringrazio per questa mostra Gianluca, che seppur latitante sul piano pratico, ha avuto il merito di coinvolgere la mia curiosità, sollecitando come sempre le giuste molle delle mie motivazioni.
Ringrazio il Paio, che ha fatto la maggior parte del lavoro, catalogando e perfezionando le immagini reperite qua è là nei ricordi privati delle persone. Tutto questo, come sempre, a discapito di attività economicamente più redditizie.
Ringrazio Andrea Mazzi, che anche all’ultimo minuto ci ha dato il prezioso e fondamentale supporto tecnico per realizzare meravigliosi pannelli per l’esposizione. Fare le ore piccole insieme nel suo laboratorio, ha dato un sapore speciale a tutto il lavoro.

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Lo spirito olimpico dell’assessore allo sport

Io stesso ho consumato le pagine di questo blog per scagliarmi contro i malcostumi e gli scandali della politica italiana. Ho riscontrato consensi diffusi, perché sulle disoneste impudicizie dei governanti, tutti concordiamo e facciamo fronte comune. Sferriamo accuse verbali alla Roma ladrona, nella convinzione o nell’illusione che i piccoli comuni rimangano isole tutto sommato felici ed estranee. Ma se l’oggetto dell’attacco diventa l’amministratore locale e non più il politico nazionale? Se ci ritroviamo un assessore imputato in un processo? Se tutto questo accade davvero, cosa possiamo dire al riguardo?
La Gazzetta di Mantova dell’8 giugno riporta la notizia di un processo che vede imputato per ricettazione uno dei nostri assessori. Nessuna condanna, per ora solo accuse ed imputazioni.
Accetto il principio del garantismo, io che garantista non sono, ed accordo il beneficio del dubbio, non traendo alcun giudizio affrettato. Lascio anche perdere l’etica dell’eleggibilità (che sembra essere diventata una prerogativa esclusiva degli dei, e non degli uomini, e che imporrebbe a chi ha le mani sporche di non candidarsi al pubblico servizio), ma non posso non pensare che il minimo in questione siano le dimissioni dalla carica ricoperta. Chi può chiederle, le chieda; chi può darle, le dia. Si faccia appello al principio della moralità, ammesso e non concesso che ne sia mai esistita una. Purtroppo ho l’impressione che non sarà così.

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Quaresima, tra finte rinunce e sfide personali

Ho sempre letto le rinunce della Quaresima non tanto come sudati dettami religiosi da seguire, quanto piuttosto come una patrimonio di tradizioni da preservare. Costumi culturali che raccontano la nostra storia, con lo stesso valore della ricetta dei capunsèi o dei proverbi del nonno.
Ricordo, da piccolo, una disquisizione filosofica con mia madre. Strenua sostenitrice del “mangiar di magro”, fu messa in crisi dal giovane figlio che le poneva l’insidioso quesito “se fosse meglio un’abbuffata di aragosta che un tocco di pane raffermo insaporito da una fetta di salame?”.
Il significato religioso (nell’anno Domini 2007) sta nel valore della rinuncia in sé, non nella prescrizione del digiuno e della rinuncia alle carni.
È per queste premesse che ho sempre aderito ai precetti con spirito libero. I bigoli con le sardelle o il cuspetù sono sempre stati per me un ritorno alla tradizione, non una flagellazione corporale. Nessun sacrificio insomma.
L’occasione della Quaresima può essere però la sfida alla forza di spirito di ognuno. Mi sono auto-ordinato (mai mi accadde nella storia) una rinuncia forzata e sofferta col solo ed unico scopo di verificare la mia forza di volontà. Semplicemente come un vecchio stoico, mi sono imposto dei severi limiti da non oltrepassare. Nessun voto, nessuna sacra ispirazione. Solo il gusto di sfidare me stesso al fine ultimo di premiare il vincitore.

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“Del maiale non si butta niente”: cronaca di una giornata d’altri tempi

Tutto inizia con Marcello, scaltro nel verificare per interposta persona la mia disponibilità a collaborare in un giorno in cui il sottoscritto avrebbe dovuto essere al lavoro. Manda in delegazione sua moglie Luciana, essendo lui troppo orgoglioso per ammettere di aver bisogno d’aiuto (in questo ricorda vagamente il figlio). Da qui comincio ad entrare in un’atmosfera particolare, fatta di ricordi, odori ed emozioni.
Rivedo tutti miei zii attorno ad un tavolo, con io, piccolo, che gioco con i cugini e faccio domande su ogni attrezzo, su ogni processo. Penso a mio nonno, che mi ha lasciato troppo presto e che adorava vedere i propri figli, e i figli dei figli, riuniti a lavorare davanti ad un unico focolare. Una scia di episodi mi investe come un faro abbagliante su una strada di aperta campagna: i cuginetti inconsapevoli, inviati per scherno a comprare lo “sgüra rece”; le mani sapienti della zia (camiciaia d’origine controllata e garantita) che legavano i salami ad una velocità sconvolgente; le costine alle due del pomeriggio, quando tornavo in corriera dalla lunga mattinata al liceo, tra consecutio temporum ed enjambement senza sapore. Ripenso anche ai valori in via d’estinzione, alla famiglia, all’unità, al lavoro manuale, al sacrificio e alla soddisfazione… cose che la tradizione contadina ci ha trasmesso e che ormai irrimediabilmente stiamo perdendo.
L’ansia che investe i bambini il giorno prima della gita, fa trascorrere la notte insonne a mio padre. Alle cinque lo sento alzarsi, dopo un quarto d’ora lo immagino operativo con la moka di caffè sul fornello e un sottogola da rifilare proprio in mezzo al tavolo. Scendo in campo in un orario per me assurdo ed inizio ad armeggiare con coltelli a varie misure e un costato che pare quasi umano. Il pallino della medicina legale è ancora vivo: me la cavo con discreta disinvoltura tra muscoli da sezionare, girelli da riconoscere e tessuti lardosi da scorticare. Un mestiere primitivo, manuale, brutale. Un’essenza e un fascino particolari e reconditi, difficili da apprendere, ma impossibili da scordare. Disossiamo, separiamo carni, maciniamo ed insacchiamo quello che il giorno prima era un povero maiale e che ora è carne. Solamente carne.
L’odore acre del macello e della carne fatta a pezzi si mescola alla pesante sensazione di fatica, allo spossatezza infinita dello sforzo fisico: se non fosse per l’ambiente chiuso, diresti proprio di essere in un campo di battaglia. Ecco allora che deponiamo le armi e seppelliamo gli ultimi nemici, che col passare delle ore sono divenuti gloriosi trofei.
Ci riposiamo, chiacchieriamo un po’ con lo zio giunto in extremis al momento di insaccare, giusto per non dare l’impressione di aver scroccato la cena e per mangiarsi anche una fettina di gloria.
Poi arriva la cena, dove i ricordi bussano incessantemente e dove le coscienze aprono volentieri la porta. Penso a quel libro rosso, che tutti i parenti firmavano è completavano dopo ogni “battaglia”, che ora giace esanime in un cassetto polveroso. Mi tornano alla mente i soliti discorsi sulla resa del maiale e quei conti strampalati, tracciati alla stregua di un droghiere su un foglio di Gazzetta o sopra il sacchetto del pane. E soprattutto ricordo il vecchio Lele, che dall’età della ragione non ha mai perso l’occasione di vivere a casa mia la celebre “cena degli ossi”. Ogni anno presenziava, col fare sornione e l’approccio del lupo di mare appena rientrato in porto, tra il calore degli amici più veri. Il suo usuale dibattito filosofico sulla maniera di cucinare il risotto, i suoi commenti sul vino, la sua diffidenza verso il dolce: lui, insomma.
Ecco perché “del maiale non si butta niente”: perché alla fine conserviamo anche le suggestioni e le emozioni che immancabilmente lo sfortunato verro suscita e trascina con sé.

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Opus day 2006, ancora un successo ed un significato nuovo

Era impossibile pensare che gli animi potessero rimanere sereni e spensierati come nelle undici edizioni precedenti. Quello che è accaduto tre mesi fa ha sconvolto le nostre vite, lasciando un alone indelebile attorno ad un vuoto per sempre incolmabile. Sono certo che ognuno, in cuor suo, abbia esaminato la reale possibilità di lasciar perdere tutto. Abbiamo invece deciso di continuare la tradizione del consueto pranzo “Opus day” di Santo Stefano, nella convinzione della sua necessità ed imprescindibilità.
Occorreva continuare per due motivi. Dapprima dobbiamo convincerci che quanto è successo non può fermare le nostre vite. Le tragedie, nostro malgrado, ci condizionano, ma non possiamo smettere di vivere. Dobbiamo andare avanti, con spirito diverso e più ricco, per dare un senso a quanto di atroce e crudele ci è accaduto. In secundis è doveroso continuare a testimoniare quello che il Lele tanto amava ed adorava. In occasioni come queste egli dava il meglio di sé, ammaliandoci con la sua simpatia, affascinandoci con il suo talento culinario, abbracciandoci con le sue ali amiche.
La messa in memoria del Lele, celebrata la mattina stessa, mi ha ricordato che lui era lì, a guardarci dall’alto col suo calice colmo e col solito ghigno dubbioso. Ho percepito la sua vicinanza fisica per tutto il giorno.
Ringrazio voi, ragazzi, perché mi fate sentire bene. Sapere che ci tenete a questo raduno annuale è per me la più bella delle gioie. Accantonare i problemi e le difficoltà personali per poter esserci, non è da tutti. Lavorare responsabilmente in gruppo per raggiungere un risultato è una qualità che appartiene solo ai migliori. Ritrovarvi, parlarvi e percepire questa atmosfera da “circolo di sangue” mi inorgoglisce ed allo stesso tempo mi disarma. Apro il cuore e poso ogni corazza perché sono tra grandi amici.

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