Archive for category Cose di paese

Occhi? Cerulei

Tu apri il tuo armadio e scegli, non lo so, quel maglioncino azzurro infeltrito per esempio,

perché vuoi gridare al mondo che ti prendi troppo sul serio per curarti di cosa ti metti addosso,

ma quello che non sai è che quel maglioncino non è semplicemente azzurro, non è turchese, non è lapis, è effettivamente ceruleo
(Dal film Il diavolo veste Prada)

Nella casa dei miei genitori ci sono parecchi cassetti, scatole e scatoline dal titolo “intanto appoggia qua, poi vediamo dove metterlo”.

In uno di questi anfratti, rovistando in un vecchio soprammobile di porcellana, ho trovato la carta d’identità del mio bisnonno Natale. Correva l’anno 1934 e c’era un altro mondo. Mussolini incontrava per la prima volta Hitler, in Germania andava in scena la Notte dei lunghi coltelli, in America nasceva Paperino…

Il documento è un reperto bellissimo, accurato, rigorosamente ordinato. Le generalità sono scritte a mano con la stilografica, i timbri viola risaltano sul freddo “bianco e nero”, la firma del podestà ricorda quell’aria lontana di regime e dittatura. La cosa che più mi piace è però la definizione che l’impiegato ha dato del colorito degli occhi: cerulei. Che se chiedi oggi all’anagrafe, il dipendente statale di turno neppure conosce il significato di “ceruleo”.

Non azzurro, non blu, non turchese. Il burocrate del regime ha scelto la parola “ceruleo”. In questo termine ci vedo la ricerca appassionata del particolare, il meticoloso tentativo della perfezione, il vano sforzo di dare un significato personale ad un protocollo ripetitivo e statico.

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In prospettiva… sportiva

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,

e questa siepe, che da tanta parte

dell’ultimo orizzonte il guardo esclude

(G. Leopardi, L’infinito)

Sportivamente parlando, ci stiamo trasformando. Un paese che viveva poco più che di calcio amatoriale ora si evolve, si struttura, si organizza. Nuovi investimenti, nuove costruzioni, nuovi complessi (tra cui probabilmente anche il “complesso di superiorità”). Nascono così dal nulla un campo da calcio sintetico da 700.000 euro, un bike park da 150.000 euro, due palestre da 1.700.000 euro.

Non c’è dubbio: con queste strutture, al posto di attempate cariatidi che rincorrono un logoro pallone di cuoio in mezzo al fango, da oggi potremo coltivare un vivaio voltese in stile Atalanta e nuovi Brumotti capaci di arrampicarsi sul campanile in mountain bike. In prospettiva, sono davvero questi i bisogni sportivi di Volta?

Ad oggi, se qualche ragazzo volesse fare liberamente due tiri a pallone con i propri amici, non saprebbe dove andare. Ci sono molti campi da calcio, è vero, ma non esiste alcun fazzoletto di terra con le porte, dove poter organizzare estemporaneamente una partitella alla buona tra amici. Una volta si poteva andare liberamente “al campo delle medie”, ora ci hanno eretto due cattedrali dal tetto in plastica che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo escludono.

Orizzonte escluso

Orizzonte escluso

 

Là dove c'era l'erba...

Là dove c’era l’erba…

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Il veliero

Immerso nei tuoi pensieri stai in mezzo agli scogli, su cui si frange l’onda del mare,

non lontano scivola via, davanti a te, la spettrale muta bellezza di un grande veliero

(F. Nietzsche, Frammenti postumi)

 

Oggi è il 29 giugno, ricorrenza dei Santi Pietro e Paolo. Nella notte precedente si consuma il celebre rito della barca di San Pietro: un albume d’uovo immerso in un recipiente d’acqua e riposto nell’orto o nel giardino per tutta la notte. Al mattino l’albume dovrebbe prendere le sembianze di un veliero, in diretta proporzione al buono o cattivo auspicio della prossima annata (agraria).

Ancora una volta la tradizione contadina si fonde con le ritualità religiose, le superstizioni, le credenze e le scaramanzie.

Dopo decenni, ho ripetuto il folklore per mostrare il magico veliero di San Pietro a mio figlio. Non ne è uscito nulla, solo un fiasco d’acqua sporco di giallo.

Eh sì, sarà un anno difficile.

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La bomboniera tra le colline

Non lo può certo sapere
questa foglia dell’ulivo
il nome di quel vento
che la vuole far cadere.
Ma io so sarà lo stesso
che soffierà il mio cuore
in quel luogo dietro i luoghi
dove non basterà il mare

(D. Van De Sfroos, Dove non basta il mare)

In una delle solite scorribande tra le colline moreniche, ho scoperto l’ennesimo e sorprendente luogo sconosciuto. Una di quelle scenografie create centinaia d’anni fa, poco fuori dall’uscio di casa, rimaste per me inesplorate ed ignote fino ad oggi. Con grande sorpresa, sto scoprendo che nei dintorni ci sono molti luoghi ignoti o semplicemente dimenticati, che meritano almeno l’onore di una visita. Parlo di piccole borgate, di edicole votive, di pievi, di carrarecce panoramiche.

A qualche chilometro da casa, sulla cima di una collina chiamata Monte Oliveto e di fianco ad un maestoso palazzo, c’è una piccola pieve denominata Oratorio San Giuseppe. Le prime notizie risalgono al 1713. Un’edilizia semplice: un piccolo portico a colonne, un tabernacolo in marmo rosso di Verona, una tela della Sacra Famiglia. Una piccola bomboniera tra i silenzi dei bagolari secolari, che sorprende piacevolmente l’ignaro viandante.

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Civetteria

E c’era quel pianto di morte…

chiù…

(G. Pascoli, L’assiuolo)

 

Da qualche notte, nei pressi di casa mia si sente l’insistente squittio di una civetta. Nei momenti che precedono il sonno, sentire la cadenza ritmata del suo verso mi riconduce ad una dimensione quasi ancestrale. Mi porta immediatamente al ricordo di mio nonno, che la reputava severamente annunciatrice di morte. Nella tradizione o superstizione contadina, la civetta è considerata infatti ambasciatrice di sventura: sentirne il verso nei pressi della propria abitazione equivale al presagio di un imminente lutto in famiglia.

Una reputazione che arriva da lontano e che affonda le proprie origini centinaia di anni fa. Con il Cristianesimo si diffusero le prime veglie notturne per i defunti. Durante le veglie, le luci delle candele o delle lanterne attiravano gli insetti notturni e con essi i rispettivi rapaci a caccia di cibo. L’associazione tra il defunto e lo squittio di gufi e civette fu automatica: laddove cantava una civetta doveva per forza esserci un morto, una sventura.

Una nomea che è resistita più o meno fino ai giorni nostri.

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La fama che precede

Un buon nome, come la buona volontà, si ottiene con molte azioni e si perde con una
(L.F. Jeffrey)

La fama di chi mi precede, mi precede. In questo periodo mi sento un po’ come agli inizi si sentirono probabilmente Paolo Maldini, Alberto Angela, o Alexandre Dumas figlio. Senza identità propria, derivate immagini di chi li anticipava per genealogia e ingombro scenico.

Ho fatto alcuni ordini telefonici per la spesa a domicilio, specificando nome e recapiti personali. Niente da fare… Per tutti il mio tratto identificativo rimane “il figlio della Luciana”. Ecco cosa ho trovato sui biglietti dentro la spesa.

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La sfida nella sfiga

Le sfide nella vita ti aiutano a scoprire chi sei

(B. J. Reagon)

Una volta eravamo un popolo di allenatori di calcio. Poi col tempo ci siamo evoluti, passando da sismologi e costituzionalisti a virologi ed economisti, con una velocità impressionante. La vicenda degli arresti domiciliari imposti dal Covid-19, infine, ci ha trasformato tutti quanti in esperti sociologi. Sappiamo esattamente come funziona il mondo e prevediamo alla perfezione la direzione che prenderà la società negli anni futuri. È unanime la sentenza secondo cui “questa esperienza cambierà per sempre la nostra esistenza”.

La sfida della quarantena, o comunque del virus in generale, racchiude in sé una miriade di altre sfide intrinseche. L’arrivo di difficoltà economiche, il cambiamento di abitudini, la trasformazione dei nostri rapporti sociali e… molto altro ancora. Sfide nella sfida, o sfide nella sfiga, a seconda dei punti di vista.

Pensando al nostro piccolo paesello di provincia, mi incuriosisce scommettere sulla crescita delle consegne a domicilio. Settemila anime abituate da sempre a recarsi nei negozi, senza nessuno esercizio che effettui recapiti a casa. La prima ed unica pizzeria con consegna espressa a Volta Mantovana ha giusto un paio d’anni. Prima di essa, il nulla assoluto.

In questi giorni abbiamo giocoforza assistito all’evoluzione delle specie “negozio”: per necessità i ristoranti e gli alimentari si sono reinventati fattorini e pony express. Ma si tratta di un fuoco di paglia, necessario a tamponare l’emergenza di qualche mese, o di una vera e propria riorganizzazione dei servizi? La risposta sta evidentemente nella durata dell’isolamento.

Per il nostro paese rimane comunque un duello intrigante, tra l’evoluzione di un intero settore commerciale e la sua definitiva condanna al provincialismo.

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La brasadèla

Se piöf sö l’ulièla, gh’è ‘l sul sö la brasadèla

(Proverbio popolare voltese)

La saggezza popolare voltese, che affonda ovviamente le proprie radici nella tradizione contadina, è zeppa e foriera di riferimenti meteorologici legati ai mesi e alle stagioni.

Se piöf sö l’ulièla, gh’è ‘l sul sö la brasadèla” significa che se piove la domenica delle Palme (ulièla, cioè domenica degli ulivi), ci sarà il sole a Pasqua. La brasadèla è la metonimia che indica la domenica di Pasqua. Si tratta infatti della tipica ciambella pasquale, diffusa in tutta l’Italia settentrionale soprattutto in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. La brasadèla o braşadèla è una semplice torta col buco, che veniva preparata con pochi ingredienti durante la Pasqua, quando erano terminate le scorte di mele, noci e castagne stivate per l’inverno. A dispetto del motto, in questo periodo di quarantena solare, anche la domenica delle Palme è stata meteorologicamente soleggiata.

A proposito di quarantena e tradizione locale, mi è sembrato divertente il tentativo culinario di questo zelante aspirante cuoco, che ha proposto la sua versione naif di brasadèla.

Brasadela

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Il ballo in maschera

Il ballo in maschera… finisce qui

(C. Caselli, Il carnevale)

Sono arrivate le mascherine anche a me, ringrazio pubblicamente” è la frase cool della settimana. Sarà sostituita a breve (ma non ne sono sicuro) da “Auguri, Buona Pasqua!” – “Grazie, altrettanto!”.

È giusto. Una comunità che in un periodo di emergenza riesce ad autorganizzarsi e a reperire risorse, creare, distribuire aiuti a sé stessa, rappresenta il valore più alto per un paese in difficoltà. È giusto concedere il meritato plauso a chi ha offerto i materiali, a chi ha realizzato le mascherine, a chi le ha distribuite e a chi dall’alto ha coordinato l’intera ed efficiente operazione. Centinaia di messaggi social tutti uguali testimoniano questo desiderio di riconoscenza, forse esagerato, forse sproporzionato, certamente sincero.

Nelle ultime ore sobbolle una piccola polemica tra un’azienda, che rivendica o millanta un’esclusività sul confezionamento delle suddette maschere e definisce “fuori norma” quelle distribuite dal Comune, e l’Amministrazione che accusa la stessa azienda di aver ricevuto materiale gratis senza realizzare alcun prodotto in cambio.

Non oso entrare nel merito di questioni che ignoro e che intendo ignorare a lungo. Sarebbe solo utile sapere se effettivamente le mascherine distribuite rispettano le disposizioni normative. Aggiungo che se l’ordinanza di Fontana consente in alternativa anche l’utilizzo di sciarpe e foulard, la certificazione delle mascherine lascia il tempo che trova. Auguri a tutti, Buona Pasqua!

 Font

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Lo staffolo della Colombara

Il viandante che, percorrendo la zona, avesse osservato questi suoi visitatori,

si sarebbe sentito in diretta comunicazione con regioni ignote all’uomo

(T. Hardy, La brughiera)

Recentemente è stata ristrutturata la chiesetta che segna la fine di Viale Risorgimento e l’inizio della Strada Volta Valeggio. Si tratta di uno dei tanti staffoli, che segnano le principali direttrici d’entrata al nostro paese.

Gli staffoli (dal longobardo “staffil” o “staffa“) erano piccole ed elementari costruzioni che fungevano da palo di confine, o da segnale d’incrocio di strade. Col tempo vennero sostituite da edicole votive, tempietti o piccole chiesette. Nelle costruzioni più complesse, per viandanti e cavalieri era consentito fare sosta durante il viaggio. Talvolta era possibile sostituire il cavallo, effettuando il cambio della staffa.

La chiesetta in questione risale alla seconda metà dell’800. In una vecchia mappa del territorio voltese è chiamata Cappella Fojada ed è collocata nella località Colombara. Non è dedicata ad alcun santo in particolare e contiene un’unica e generica iscrizione: “Ave Maria”.

Le poche informazioni su questo staffolo sono raccolte nel libro di Romana Franzini “Volta Mantovana. Storia, arte, natura e tradizione”.

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