Archive for category Attualità
Sonno svedese
(Ambrogio Bazzero)
Premessa: in Scandnavia è quasi stagione di letargo.
La cosa migliore dell’Ikea è il salmone all’aneto. Un’altra bella cosa dell’Ikea, di gran lunga inferiore al salmone all’aneto, sono i concorsi riservati ai clienti fedeli.
L’ultimo è eccezionale: “Chi dorme in IKEA piglia un piumino“. Chi si presenta in pigiama e pantofole e rimane su un letto dello showroom dalle 10.00 alle 15.30 vince un piumino.
Io non parteciperò. Fondamentalmente perché non mi serve un piumino. Però voglio vederli quelli che si presentano in pigiama e se ne stanno sdraiati cinque ore e mezza mentre centinaia di sconosciuti tastano il materasso o aprono i comodini. Quel giorno un giro all’Ikea, per una volta, me lo faccio volentieri.
Un caffè forte
(E. Cioran – Squartamento)
Oggi mi sono tolto uno sfizio. Ho assaggiato il caffè più costoso del mondo, il caffè della scimmia, il Kopi Luwak.
Dicono che una tazzina possa arrivare a quindici euro. Forse in Finlandia, perché io qui l’ho pagato due euro e mezzo. Sempre ammesso che non mi abbiano cazzato su un Lavazza dek.
Comunque… il caffè della scimmia deve il suo nome al luwak, o “civetta delle palme”, un animale selvatico, a metà tra scimmia e panda, proveniente dall’Indonesia. La bestia è ghiotta di caffè, ma non mastica i chicchi. Mangia le bacche migliori delle piantagioni, digerisce i chicchi e li espelle nelle feci, senza trasfomarne le caratteristiche essenziali. I chicci vengono poi raccolti dal terreno, privati dell’involucro esterno e tostati. Proprio così: raccolgono gli escrementi, li puliscono e tostano il caffè. Fico eh?
Dicono che il gusto sia più dolce, perché gli enzimi presenti nel tratto intestinale del luwak distruggerebbero le proteine del chicco, riducendone l’amaro. Non so se sia vero. Io l’ho trovato molto buono e saporito, complice l’effetto psicologico indotto dal prezzo e dalla nomea.
Eccezziunale. Veramente?
(D. Abatantuono – Ecceziunale veramente)
Per me l’”eccellenza” è sempre stata una categoria calcistica. Da quando però Formigoni ha iniziato a vestirsi con le giacche colorate e le camicie a fiori, la parola “eccellenza” l’ho sentita sempre più spesso accostata al nome della Regione Lombardia. “Eccellenza sanitaria”, “eccellenza nel contenimento della spesa”, “eccellenza nei servizi”.
Qualche giorno fa, però, l’agenzia Moody’s ha tagliato il rating di dieci banche italiane, tre istituzioni finanziarie e ventitrè enti locali. Tra questi ultimi anche la Regione Lombardia. Agli occhi del mondo, l’affidabiltà della Regione ha perso ufficialmente qualche punto.
Però il dubbio che la Lombardia non fosse tutta questa “eccellenza” poteva anche venirci prima. Una Regione che ospita nel suo Consiglio i Formigoni, i Minetti, i Trota, i Penati… tutti insieme. Mah.
Al fresco
(J. Kevorkian)
Paolini è stato condannato. Mica l’attore, quello bravo a fare i monologhi in teatro. No, quell’altro. Quello che appare sempre dietro gli inviati del tg, quello che disturba i servizi in diretta.
Sei mesi di reclusione e 30.000 euro di risarcimento. Una bella mazzata, anche se il personaggio è abituato. Un curriculum impressionante: 1500 denunce e solo due condanne in Cassazione, per interruzione di pubblico servizio e per molestie. Vuol dire che questo qua passa la vita tra tribunali e telegiornali, una costanza senza eguali. In qualche modo lo ammiro.
L’unica cosa triste di questo pagliaccio e di questo circo è che Paolini risulta nullatenente e gli avvocati glieli paga lo Stato, cioè noi.
Peccatori amanti del vino cercasi
(Plutarco)
Vorrei organizzare nei prossimi giorni una spedizione enoredentrice nel triveneto. Si parte in macchina per fare una scorta di prosecco nelle lande di Valdobbiadene e si torna col vino bianco e l’anima bianchissima.
La notizia è vera. In una parrocchia del trevigiano è boom di confessioni, perché il vecchio parroco è sordo. La gente parla, confessa le colpe più immonde, e quando lui si rimette l’apparecchio dà l’assoluzione.
Confida un ragazzo: “Di fronte al prete possiamo raccontare tutto ciò che vogliamo. Si siede con noi e si appresta ad ascoltarci, ma dopo qualche secondo il suo apparecchio acustico fischia, così lui se lo toglie dalle orecchie e inizia a sistemarlo con le mani. Noi continuiamo a parlare e, alla fine, quando il parroco si rimette l’apparecchio, lo rassicuriamo di aver riferito ogni peccato. Lui ci assolve, ci dà la mano e via. La confessione è andata”.
È aperta la campagna iscrizioni.
Troppo giovane
ma dopo sé fa le persone dotte”
(Purgatorio – Canto XXII)
Era un professore diverso da tutti gli altri, troppo giovane per potersi fregiare col marchio di quella scuola arcaica. In mezzo alle cariatidi dei suoi colleghi, stonava acutamente per la sua giovane età. Sapeva bene il latino, ma accanto ai dinosauri della sala insegnanti scontava l’etichetta del praticante in stage. Persino il preside lo considerava uno sbarbatello alle prime armi. Cosa ci facesse un trentenne dietro la cattedra del Liceo Classico, rimane ad oggi un mistero irrisolto.
Eppure il professor Gatti era un bravo insegnante. Negli anni dell’adolescenza, in cui tutti siamo inevitabilmente stupidi, mi insegnò che non si può capire nulla della vita senza aver visto almeno una volta un film di Fellini: fu così che mi prestò la videocassetta della Dolcevita.
Il nostro rapporto fu sempre di stima e sfida reciproca. Come quando mi contestò una libera interpretazione del pessimismo leopardiano ed io bleffai, sostenendo che la tesi non era mia ma del De Sanctis: ci credette. Oppure quella volta che per sfidare la sua conoscenza, inventai di sana pianta un critico della letteratura italiana, il Mercati, del quale possedevo un sedicente trattato di linguistica: non si arrischiò a chiedermi una dimostrazione pratica, ma rimase dubbioso.
In Grecia gli nascosi tutta la spesa del duty free. Vagò tra agenti dell’aeroporto e uffici di terra delle compagnie di volo, alla ricerca del suo prezioso sacchetto. Quando il giorno seguente portai a scuola la borsa con le olive elleniche e il formaggio di capra, ci mancò poco che mi sospendesse.
Nell’ora di letteratura italiana mi faceva sempre leggere ad alta voce I Promessi Sposi. Diceva che era l’unico modo per evitare che disturbassi, ma in realtà so che lo faceva perché la mia lettura impostata, con tono vagamente gassmaniano, faceva sorridere la platea e teneva alta l’attenzione di tutti.
Era venuto al “classico” con l’idea d’insegnare nella culla della cultura, e non si capacitò mai del fatto che il nostro tasso culturale fosse inferiore a quello dei corsi serali del Rebibbia.
Lo incontrai parecchi anni dopo il liceo, ad una festa paesana. Mi chiese se in coerenza con il mio impegno scolastico, ora militassi full time nella malavita locale. Testuali parole: “Allora Baù, adesso di cosa ti occupi? Traffico d’armi, droga, prostituzione?”
Rimase perplesso quando rivelai che lavoravo nell’informatica, io… il più umanista dei suoli alunni maschi. “Ma ti piace?”, mi chiese con impareggiabile e schietta ingenuità, acuendo la mia crisi esistenziale del momento.
Ieri Alessandro Gatti è morto. Aveva cinquant’anni.
Ogni volta che se ne va una persona che ci ha segnato la vita, rimangono solo i suoi ricordi. Io lo ricorderò per il suo fervido humor e la sua ammirevole cultura, che un po’ hanno contribuito alla mia formazione, nel bene e nel male.
Mi mancherai, ciao prof! E grazie di tutto.
Magari, lo Zingaro in Consiglio…
(N. Di Bari – Il cuore è uno zingaro)
Un vero peccato non sedere nei banchi del Consiglio comunale di Bologna.
Giorni fa due consiglieri felsinei hanno dibattuto su facebook sulle ultime gesta diplomatiche e di bon ton di Zlatan Ibrahimovic. Uno di loro ha poi apostrofato lo svedese come “Zingaro” e l’altro ha presentato un’interpellanza di censura al Consiglio comunale. La seduta è stata sospesa per quaranta minuti, per una riunione dei capigruppo sull’argomento: me li immagino che per mezzora si dividono tra milanisti, interisti e bolognesi super partes. Bellissimo.
Da noi invece si parla solo di variazioni di bilancio per le penne bic dello sportello unico, di modifiche al regolamento del pedibus e di coefficiente di resa galline/mq. Che provincialotti!
8 marzo
(O. Wilde – Il ritratto di Dorian Gray, cap. XV)
Sono esausto.
La mattina inizia con qualche doveroso augurio. Lettura veloce della Gazzetta, che pubblica l’inserto speciale sulla Festa della donna. Interessantissimo.
Il tragitto in auto verso il lavoro non sfugge alle emittenti radio, felici di dare il buongiorno celebrando in pompa magna l’8 marzo. Telefonate delle ascoltatrici agguerrite, canzoni a tema, approfondimenti sui diritti delle donne e sulle quote rosa.
L’ingresso in ufficio è in linea con le aspettative, auguri a tutte le colleghe presenti. Qualche sparuto e sprovveduto collega maschio azzarda il buon gesto con un ramo di mimosa per le vicine di scrivania: è subito idolo per un giorno.
Il caffè della pausa pranzo si consuma al bancone di un bar, dove l’abituale pakistano delle rose oggi brandisce una fascina di fiori gialli incelophanati.
Nella rete, navigano come sardine scadute le mail sull’8 marzo. Qualcuna è scontata, qualche altra un po’ meno, ma l’inquietudine aumenta.
Rientro a casa in auto. Ora la radio si dedica agli approfondimenti: dibattiti, sondaggi, proposte per migliorare il mondo delle donne e l’universo dell’uomo. Prendo appunti.
Finalmente a casa. Mentre il tg racconta la Festa della donna, apprendo che aumenta vertiginosamente lo spread tra uomo e donna. E in Uzbekistan ancora oggi la donna sta peggio che in Svezia.
Per il dopocena, confido in un film su Giovanna D’Arco e sogno un Porta a Porta su Maria Goretti, con Margherita Hack, la Parietti e la Mussolini a litigare in studio.
Per fortuna domani è il 9 marzo. Auguri a tutte le donne.
4/3/12
(Lucio Dalla – Caruso)
Il giorno giusto per commemorare Lucio Dalla è oggi, il 4 marzo.
Io lo ricordo con simpatia perché negli anni del Grest amavo imitarlo cantare. Nessuno ha mai avuto il coraggio di dirmi che facevo pena. Poi ho sempre invidiato una foto di Zance, che ritraeva i suoi genitori in compagnia di Dalla nei primi anni settanta.
Ho pensato a quale fosse la sua canzone più bella, ma è difficile fare una scelta. Trovo fantastica l’allegoria tra le classi agiate e i poveri cristi, contenuta nel testo di Itaca. Allegoria ancora attualissima.
Capitano che hai negli occhi, il tuo nobile destino
pensi mai al marinaio a cui manca pane e vino;
capitano che hai trovato, principesse in ogni porto
pensi mai al rematore che sua moglie crede morto
Itaca, Itaca, Itaca, la mia casa ce l’ho solo là
Itaca, Itaca, Itaca ed a casa io voglio tornare dal mare, dal mare, dal mare
Capitano le tue colpe pago anch’io coi giorni miei
mentre il mio più gran peccato, fa sorridere gli dei;
e se muori è un re che muore, la tua casa avrà un erede
quando io non torno a casa entran dentro fame e sete.
Capitano che risolvi con l’astuzia ogni avventura,
ti ricordi di un soldato che ogni volta ha più paura?
Ma anche la paura in fondo mi dà sempre un gusto strano
se ci fosse ancora mondo, sono pronto dove andiamo?
N.B. In Itaca i cori sono opera dei lavoratori della RCA. Durante le registrazioni della canzone Dalla fece entrare in sala gli impiegati, gli operai, gli addetti al bar e fece interpretare loro il coro dei marinai di Ulisse.
Al fuoco!
(W. Shakespeare, Winter’ s Tale, atto II, scena III)
È chiaro a tutti che gli schiamazzi di Celentano servivano solo a dare una flebo di share ad una trasmissione ormai ben oltre la menopausa. Nessun intento di confezionare un vero dibattito, nessuna lotta ideologica, ma soltanto la volontà di fare un po’ di rumore, nella speranza di carpire qualche telespettatore in più. Gioco scorretto, ma vecchio quasi quanto la tv. Sarebbe infantile sorprendersi.
E non vale neppure la pena d’innescare la discussione sui torti e sulle ragioni, sul vero e sul falso. Si può ascoltare, giudicare, senza però mai perdere di vista il movente auditel di questi sermoni affumicati.
Michele Serra commentava il fatto aggiungendo che “ogni clero teme, più di Satana, chi predica senza avere la patente, violando il contratto di concessione esclusiva che le gerarchie religiose vantano con l’ Eterno”. Qui però non si tratta neppure di neopatentati o di guide esperte. Si tratta di fuochi: roghi contro l’eresia, ma anche falò di paglia.
Per motivi metafisici mi è capitato di partecipare a due messe, una sabato e una domenica, in due parrocchie diverse. In entrambi i casi l’omelia dei sacerdoti ha messo in guardia l’assemblea dai “telepredicatori dei nostri giorni”. Un segnale inquietante, che la dice lunga sulla coda di paglia di certi ambienti e che mi ha riempito di tristezza.