Archive for category Attualità
Pascuetta
“La fortuna di un popolo dipende dallo stato della sua grammatica.
Non esiste grande nazione senza proprietà di linguaggio”.
(F. Pessoa, La divina irrealtà delle cose)
Leggendo gli auguri pasquali di Razzi su Twitter, sarebbe fin troppo facile lanciare la solita invettiva contro la classe dirigente frequentemente e orrendamente ignorante. Scene quotidiane già viste, non è il caso d’infierire. Anche perché molto spesso queste débâcle grammaticali nascondono vere e proprie strategie, alla ricerca disperata di pubblicità e popolarità. In queste scelte di tattica politica, la dignità e la decenza diventano beni di ultima necessità.
In tutto il marasma legato all’ultimo augurio di Razzi preferisco di gran lunga sottolineare la risposta di un accorto follower: “Ha squola come andava senatore?”
Anticipo falloso
“Se si vuole riuscire in questo mondo non bisogna essere molto più intelligenti degli altri; bisogna solo essere in anticipo di un giorno”
(L. Szilard)
Con alcuni giorni d’anticipo, Striscia la notizia ci ha tolto anni di vita rivelando la classifica finale di Masterchef. Per gentaccia come me è roba da non dormirci la notte, depressioni da terapia intensiva.
Col pretesto di svelare un’irregolarità (la presunta collaborazione di un concorrente con un ristorante, peraltro poi smentita), Mediaset ha azzerato la suspance di Sky.
Una trasmissione che da sempre si batte per la trasparenza e l’onestà, è caduta dal trono della correttezza con un incauto tiro mancino. Come se per denunciare un’irregolarità, occorresse rivelare per forza il finale di stagione.
Le beghe tra le varie emittenti e le lotte per gli ascolti sono vecchie quanto la tv. All’inizio degli anni ‘90 nel Costanzo Show, il sornione Maurizio svelò in anticipo il finale della Piovra 3 e la morte del commissario Cattani. Dicono l’avesse fatto per abbassare l’audience della rete concorrente.
A farne le spese è sempre il rispetto verso lo spettatore-consumatore: illuso, ingannato, usato.
Da oggi guarderò solo cartoni. Almeno Homer Simpson, uscendo da una proiezione de “Il ritorno dello Jedi”, passando accanto alla fila di spettatori in entrata lasciava un minimo dubbio: “Chi si immaginava che Luke Skywalker fosse il figlio di Dart coso?”
Privacy malata
“Morire, caro il mio dottore, è l’ultima cosa che farò!”
(H.J. Temple Palmerston – Ultime parole prima di morire)
Un recente studio condotto negli Stati Uniti rivela che molte pagine internet, che riguardano argomenti medici e di salute, tracciano più o meno volontariamente le ricerche effettuate dagli utenti e le trasmettono a terze parti. Le informazioni digitate (come ad esempio la malattia oggetto della ricerca) e le coordinate del soggetto che effettua l’indagine (ad esempio l’indirizzo ip del suo computer) sono trasmessi a società estranee, che a loro volta archiviano i dati e se li rivendono.
Tim Libert, un ricercatore della University of Pennsylvania, attraverso un complesso sistema di controllo e monitoraggio software, ha scoperto che nel 90% dei casi, le informazioni riguardanti condizioni specifiche personali, sintomi, malattie e cure, vengono trasmesse inconsapevolmente a molte altre aziende, avulse dal sito oggetto d’indagine. E non sarebbero immuni dal vizio neppure i siti governativi, quelli no profit o quelli accademico-universitari. “Quando cercate “raffreddore”, il sito passa la vostra richiesta di informazioni sul malessere a molte altre compagnie”.
Nulla di nuovo, la memorizzazione delle preferenze e delle ricerche personali su internet è nota da tempo. Il fatto allarmante è che ora anche le riservate indagini mediche sono utilizzate da qualcun altro a scopo di lucro. Qualcuno che non conosci può perfettamente identificare te e la tua presunta malattia e sfruttare l’informazione per farci dei soldi. Compagnie farmaceutiche che decidono di investire su un prodotto anziché su un altro, pubblicità ad personam che sfruttano le debolezze racchiuse nelle patologie. Le ricerche degli utenti su internet equiparate ai risultati dei sondaggi e delle indagini di mercato. Vien voglia di guarire.
Se la barca affonda
“All’uomo, nella sua fragile barchetta, è dato il remo in mano proprio perché segua non il capriccio delle onde ma la volontà della sua intelligenza”
(J.W. Goethe, Massime e riflessioni)
Dopo gli incidenti di Roma e gli atti vandalici contro la fontana di Bernini, fioccano ovunque le frasi fatte da riproporre quando ricorrono insieme le parole calcio, tifosi, incidenti. Ecco allora “la città messa a ferro e fuoco”, “le pene da inasprire”, “è solo una partita di calcio”, “in Europa queste cose non succedono”. E questi evergreen del repertorio retorico si riproducono in una sorta di copia/incolla virale. Insopportabili.
Di fronte ad fontana danneggiata tutti diventano patriottici e forcaioli, perché è bello credere che la fontana sia un simbolo della cultura italiana universale e che contro gli attacchi alla cultura non si discuta. Non importa se chi parla non sa neppure chi abbia costruito la suddetta fontana né quale sia la sua datazione approssimata. Insomma, che abbia cent’anni o duemila è più o meno uguale. Taluni hanno anche faticato un po’ per capire che “la Barcaccia distrutta” non era l’ennesimo gommone affondato a Lampedusa.
Ma di tutte le scemenze sentite in questi giorni, la più strabiliante è senz’altro l’opinione che i danni materiali ora li debba pagare l’Olanda. È come pensare di chiedere un risarcimento alla Germania per i turisti che lordano il Garda o pretendere che sia io a pagare i buchi fatti dai proiettili dei marò sui pescherecci indiani. Eventualmente il danno andrà risarcito da chi l’ha materialmente arrecato, ma questa è un’altra storia.
Il top poi è la semplificazione che vorrebbe l’Olanda come soggetto con partita iva. “Deve pagare l’Olanda!” L’Olanda chi? Il Re? Il Ministero del Turismo? Van Basten?
Non è tempio per noi
“Ha un gettone? Devo fare una telefonata.”
“Tu, te ne devi andare.”
“Senta le do 10 dollari per un gettone, gliene do 20. È questione di vita o di morte!”
“Io chiamo la polizia.”
Mi è arrivata da pochi giorni la busta paga per i gettoni di presenza al Consiglio comunale. Un’ottantina di euro per aver partecipato a tutte (mi pare) le sedute del 2014. Li darò in beneficienza per i fatti miei, non perché sia più figo degli altri, ma perché ritengo di non aver fatto nella di eccezionale per meritarli.
Leggo che al Comune di Agrigento le buste paga di trenta consiglieri comunali si aggirano attorno ai 10.000 euro. Si sarebbero convocate 1133 sedute del Consiglio: una media di oltre 3 sedute al giorno, contando anche i sabati e le domeniche. La Valle dei Templi è una valle di lacrime. Un’assurdità che supera ogni confine.
Ci s’indigna, ma ormai neanche più tanto. Stupore, ma soprattutto rassegnazione. Per chi ha avuto la faccia tosta di prendersi i gettoni e soprattutto per chi doveva controllare e non l’ha fatto.
E pensando ad Agrigento viene in mente quell’immagine delle vestigia della civiltà ellenica e dei sui templi sormontata dalla scempio della civiltà moderna: specchio della realtà.
Bassi profili
“Se esistono specchi per il viso, non ve ne sono per l’animo: faccia allora da specchio la saggia meditazione su se stessi”
(B. Gracián y Morales, Oracolo manuale e arte della prudenza)
Al di là della stupidaggine di aprire ai neonati un profilo sui social network, in previsione che lo utilizzino tra quindici anni, lo spunto di questa riflessione è molto attuale. Per chi ha figli piccoli, vale la pena di rifletterci.
La premessa, ovvia, è che poi ognuno fa un po’ come vuole.
Perché non pubblicare niente online riguardo ai figli
di Amy Webb – Slate
Mi ricordo benissimo quel post su Facebook. Era su “Kate”, la figlia di cinque anni di una mia amica (“Kate” è uno pseudonimo) fuori dalla sua casa con addosso un bikini giallo brillante: l’indirizzo era visibile dietro di lei, sulla porta di casa. Una frase diceva: «Partiamo per il weekend in spiaggia». E sotto c’erano oltre 50 “mi piace” e commenti di amici: inclusi molti “amici” che la mamma di Kate conosceva a malapena.
La fotografia era stata caricata dentro un album di Facebook con 114 foto solo di Kate: lei il giorno della sua nascita… lei che dà un bacio al suo cane… lei che gioca su un’altalena. Ma c’erano anche foto di lei nella vasca da bagno e in altri momenti imbarazzanti, come mentre posava indossando il reggiseno di pizzo rosa di sua madre.
Capivo perfettamente il desiderio dei genitori di Kate di catturare ciascun momento della giornata della figlia, perché gli anni dell’infanzia passano molto veloci. Sapevo anche che quei post avrebbero condizionato Kate da adulta. In generale capisco quale sarà l’impatto di avere creato una generazione di bambini nati nell’era digitale.
La scorsa settimana Facebook ha aggiornato di nuovo le sue politiche sulla privacy. Nel comunicato di Facebook si legge: «Siamo in grado di suggerire a un tuo amico di taggarti in una fotografia esaminando e comparando le foto di quello stesso amico con le informazioni che abbiamo messo insieme dalle foto del tuo profilo e da altre foto in cui sei stato taggato». In pratica questo significa che Facebook riconosce le facce nelle foto: ogni volta che i genitori di Kate caricano una foto, stanno (involontariamente) aiutando Facebook a unire il mondo digitale della figlia a quello reale. Gli algoritmi analizzeranno le persone attorno a Kate, i riferimenti fatti, e nel tempo determineranno il gruppo di persone in più stretto contatto con lei.
Il problema è che Facebook è solo uno dei siti internet che lo fanno. Con ogni singolo post, video di YouTube, post di un compleanno, i genitori di Kate stanno impedendo alla figlia un futuro anonimato in rete. Questo pone alcune sfide al futuro di Kate. È già difficile abbastanza passare attraverso la pubertà. Perché rendere centinaia di foto imbarazzanti facilmente rintracciabili alle persone con cui uscirà in futuro? Un commento fatto dalla madre di Kate su un’esperienza negativa legata all’essere mamma potrebbe condizionare le possibilità di Kate di andare in un buon college? È noto che durante il processo di selezione degli studenti vengono visionati anche il profilo Facebook e quelli su altri social network.
C’è anche un altro problema molto serio, che riguarderà Kate da adulta. Miriadi di applicazioni, siti e altre tecnologie “portatili” si affidano oggi al riconoscimento facciale: la bio-identificazione è solamente iniziata. Nel 2011 un gruppo di hacker ha progettato un’applicazione che permette di fare un rapido riconoscimento facciale di una persona e ottenere immediatamente informazioni (nome e altri dettagli biografici) sul proprio dispositivo mobile. Gli sviluppatori hanno progettato un sistema di riconoscimento facciale che funziona su Google Glass. Google ha ufficialmente vietato le app che permettono il riconoscimento facciale ma non può prevenire che ne vengano diffuse di “non ufficiali”. E poter accedere in tempo reale a tutte le informazioni disponibili sulla persona con cui si sta interagendo è una cosa grossa.
Il modo più facile per chiamarsi fuori è non creare contenuti digitali in assoluto, soprattutto legati ai bambini. I genitori di Kate non hanno pubblicato solo una o due foto della figlia: hanno creato una raccolta di dati che verrà utilizzata da un algoritmo per imparare cose su di lei nel tempo. Sapendo quello che sappiamo su come i contenuti e i dati vengono catalogati, mio marito e io abbiamo preso un’importante decisione prima della nascita di nostra figlia: abbiamo deciso che non avremmo mai pubblicato online un post, una foto o altre informazioni personali che la riguardano. Invece abbiamo creato per lei un “fondo fiduciario digitale”.
Il processo è cominciato dalla scelta del suo nome. Abbiamo ristretto una lista a poche alternative e controllato ciascuna di esse (e le loro varianti) attraverso i domini e le ricerche chiave per vedere quali fossero disponibili. Poi siamo andati su Google per vedere quali contenuti erano stati postati con quelle combinazioni di nomi e abbiamo guardato se erano aperti indirizzi gmail corrispondenti. Abbiamo scelto KnowEm.com, un sito internet a cui mi affido spesso per la ricerca di username, anche se è stato pensato soprattutto come un servizio di registrazione dei brand. Avevamo una preferenza sul nome ma eravamo anche disposti a scegliere qualcosa di diverso, nel caso in cui da KnowEm fosse emersa una disponibilità limitata per quel nome, o contenuti negativi associati alla nostra scelta.
Una volta deciso il nome, abbiamo passato diverse ore online registrando una URL col nome di nostra figlia e creando per lei dei profili su molti social network, tutti facenti riferimento a un solo indirizzo mail. Abbiamo segnato la mia mail permanente come secondo indirizzo, come si fa con i documenti relativi a un conto di un minore in banca. Abbiamo creato un sistema di gestione delle password dove lei potrà trovare tutte le informazioni per fare i login. Quando è nata, nostra figlia aveva già degli account su Facebook, Twitter, Instagram e anche Github. Non abbiamo mai pubblicato niente su quegli account: sono attivi ma privati. Inoltre guardiamo regolarmente sulle pagine dei nostri amici e togliamo qualsiasi tag. Chi ci conosce lo sa e rispetta la nostra regola del “non postare niente che riguardi la bambina”.
Quando penseremo che lei sia matura abbastanza (che è una cosa diversa dall’essere tecnicamente grande abbastanza) le consegneremo tutto il pacchetto con dentro le password. Avrà l’opportunità di cominciare a formare la sua identità online e ci assicureremo che abbia gli strumenti per prendere decisioni informate su cosa sia appropriato rivelare di se stessa, e a chi.
È inevitabile che nostra figlia diventerà un personaggio pubblico, perché nella nuova era digitale siamo tutti personaggi pubblici. Io adoro i genitori di Kate: la loro figlia diventerà una giovane donna in gamba. Ma loro le stanno rubando la sua identità digitale da adulta.
Vergogna olimpica
(Aristotele, Etica Nicomachea)
Bisogna proprio avere la faccia simile ai glutei per chiedere l’assegnazione delle olimpiadi a Roma. La capitale mondiale della mafia in appalti, numero uno nell’associazione criminale dei lavori pubblici, che chiede la concessione del business dei giochi olimpici. Come se la Colombia rivendicasse il diritto mondiale al recupero dei tossicodipendenti, o come se la Birmania chiedesse mandato per riscrivere la Dichiarazione Universale de Diritti Umani.
A parte che non capisco come si possa sperare di risultare credibili, ma almeno un briciolo di dignità ed umiltà forse non guasterebbe. Boh… si son mangiati anche la vergogna.
Copione olandese
(R. Gervaso – Il grillo parlante)
Houten è una tranquilla città olandese di cinquantamila anime, non lontano da Utrecht. Ci sono stato l’anno scorso, perché ci abita mia cugina. Bel posto, di quelli dove sarebbe bello vivere. Tutto è esattamente come sembra: ordinato, pulito, rispettoso. Tutto è esattamente come sembra, tranne un quartiere, ricreato ex novo per riprodurre la Piazza del Campo di Siena e le sue abitazioni. Orripilante, il peggior tentativo di plagio mai contemplato nella storia.
Ma sempre ad Houten, due goliardici giovanotti hanno inscenato una delle migliori contraffazioni alimentari alla fiera annuale del cibo. Hanno acquistato cibo al McDonald’s e lo hanno presentato come alternativa biologica al fast food. Come da copione (è il caso di dirlo), gli esperti del settore hanno reagito con grande entusiasmo e piena approvazione. Geniale.
Stia comodo
(A. Bergonzoni)
In questi giorni, le dirette dei mondiali sono seguite nel mondo da milioni di persone placidamente spiaggiate sul divano di casa, perché il comfort e la tranquillità del proprio sofà non hanno prezzo.
In uno degli stadi di calcio più antichi di Berlino, però, si sposa l’azzardato connubio tra la comodità di casa e l’allegria della condivisione. Migliaia di tifosi hanno trasportato il proprio divano sul campo di gioco, di fronte ad un maxischermo da settecento pollici. All’esordio della Germania erano in dodicimila e, vista la location, non sarà certo mancata la birra in dotazione.
Campioni del mondo, se non altro per la fantasia.
Il miracolo del Nordest
(Anonimo)
I giornalisti economici che coniarono l’espressione “Miracolo del Nordest” probabilmente non pensavano né a Mosè, né alla spartizione delle acque nella laguna. Avevano in mente tutt’altro, che di profetico e di sovrannaturale aveva ben poco.
Ma da Mosè al Mose, il passo (sulle acque) è breve. Lo scandalo tangenti di questi giorni stupisce più per la forma, davvero biblica, che per la sostanza, ormai tremendamente usuale.
Finanziamento illecito, corruzione, riciclaggio, le solite cose… e spuntano nomi di ex ministri, parlamentari, governatori, magistrati, sindaci, imprenditori: un’apocalisse.
Nonostante gli scandali, le nebbie (non solo della laguna), le proroghe, le deroghe, oggi si dà per ovvio che il Consorzio Venezia Nuova concluda i lavori che ha iniziato. Sempre in tema di acqua, scrive Stella: “non c’è padrone di casa al mondo che, accortosi che l’idraulico ha fatto il furbo, ha speso una tombola in bustarelle e non ha ancora finito il lavoro, gli confermi la fiducia e gli dia altri soldi”. Ha ragione. L’acqua a Venezia rimane alta. Servirebbe un miracolo per camminarci sopra.