Archive for category Attualità
Efficaci metodi contro la sete
“E il tumulto del cielo ha sbagliato momento
acqua che non si aspetta, altro che benedetta”
(F. De Andrè, Dolcenera)
Anno del Signore 2017. Roscigno, Cilento. Non piove da giorni e la rete idrica vetusta ed inefficiente non è più in grado di dissetare la popolazione. La comunità afflitta dalla siccità chiede a gran voce acqua per le aziende agricole del territorio e per i piccoli contadini ormai in ginocchio. La situazione è tragicamente seria.
La supplica però non è rivolta alle istituzioni che presiedono e regolano queste infrastrutture idriche dell’ante guerra punica. Non è neppure un appello al malaffare che governa e asseta questo territorio martoriato. Qui non si invoca alcun aiuto economico da parte dello Stato o qualche contributo dal calderone europeo. Tutt’altro. La popolazione, arsa e arroventata, si rivolge all’unisono alla “Maronna acquarola”, affinché faccia la grazia di una pioggia provvidenziale. Prima una veglia in chiesa, poi una fiaccolata in processione, infine la recita delle litanie. “E aspiett che chiove”, cantava melanconicamente Pino Daniele.
Tutti fedelmente in prima linea con la superstizione, tutti miseramente immobili verso istituzioni e delinquenti. L’ubbìa che scaccia la sete. Cin cin, sempre nell’anno del Signore 2017.
Il vaccino è vicino
“Colui che è capace vede in ogni dovere un obbligo”
(F. Grillparzer, Le onde del mare e dell’amore)
A settembre entrerà in vigore il decreto del Governo che introduce l’obbligatorietà dei vaccini per l’accesso alla scuola. Misura sacrosanta, doverosa, necessaria. La comunità scientifica, oltre a quella del buonsenso, si è unanimemente espressa a favore.
Tra le obiezioni mosse a questo provvedimento possiamo distinguere due tipologie di critiche ben precise. La prima schiera di obiezioni, più goffa ed impacciata, si fonda sull’ignoranza, prima ancora che sulla disinformazione. Raggruppa le teorie del complotto delle lobby farmaceutiche, le interpretazioni soggettive dell’immunità di gregge, le statistiche del morbillo incrociate con la classifica cannonieri della serie C e tante altre suggestive novelle. Va da sé che questa branca di pensiero non merita confutazione alcuna. Sarebbe decisamente più costruttivo ed interessante controbattere a chi sostiene la finta morte di Elvis o l’attuale latitanza di Hitler in Argentina.
La seconda obiezione al provvedimento risiede invece nel principio pseudo liberale e pseudo libertario secondo il quale ognuno sarebbe libero di decidere della salute propria e di quella dei propri figli. A questo rilievo si può tuttavia replicare che il diritto di decidere della propria salute finisce laddove lede il diritto degli altri alla salute stessa. Se la tua scelta di non vaccinare può minare la salute altrui, allora il tuo diritto lì si ferma, termina, cade.
Circola anche la capziosa affermazione che nei paesi del Nord Europa, nell’immaginario comune ritenuti più evoluti, non esistono vaccini obbligatori. Si omette però di dire che sono talmente evoluti da vaccinare “loro sponte” i figli. Non c’è dunque la necessità di obbligare qualcuno a fare qualcosa che già fa per sua emancipazione.
We are closing
“L’illusione che i tempi passati erano migliori di quelli attuali ha probabilmente pervaso ogni epoca”
(H. Greeley)
Da milanista, non spenderò molte parole su questo triste ed impietoso closing. Analisi o proiezioni richiederebbero tempo prezioso, che sinceramente non meritano e che francamente non ho.
Posso dire che ho vissuto trent’anni di Milan intensi, quasi tutti ricchi di gradevoli soddisfazioni. L’era del Milan trionfale, di Berlusconi, di Sacchi, degli extraterrestri olandesi, dei difensori più forti del mondo, di Capello, di Ancelotti… Un lungo ciclo iniziato nell’età in cui un bimbo s’appassiona al calcio. Un lungo ciclo di gioie e letizie che mi ha lasciato nell’età in cui un uomo pian piano si disinnamora del calcio. Davvero, meglio non poteva andare.
A cosa serve davvero una squadra del cuore, se non a ricordare con un sorriso le emozioni che ha suscitato da giovani?
Da tifoso, oggi non nutro particolari speranze, né ardo di frementi attese. I ricordi mi bastano. Tra qualche anno racconterò a mio figlio di Van Basten e Baresi, della generazione Maldini, degli album panini gelosamente custoditi, delle trasferte alle superiori per vedere la Coppa Campioni e dei derby visti con chi non c’è più. E sarà molto più bello parlare con lui di questo, che assistere all’avvento di nuove vittorie o alla nascita di nuovi campioni.
Dio salvi la Reggina
“Gli inglesi, quando tre di loro si ritrovano assieme, la prima cosa che fanno è formare un club, e la seconda stabilire le regole per impedire a un quarto di farne parte”
(A. Caprarica)
Pare che da qualche tempo, in Gran Bretagna, per un italiano che volesse iscrivere il proprio figlio a scuola sia fatto obbligo d’indicare l’effettiva nazionalità. Non basta lo stato d’appartenenza, ma occorre dichiarare l’effettiva zona italiana di provenienza. Bisogna scegliere tra le seguenti bizzarre opzioni: “Italian (Any Others), Italian (Napoletan), Italian (Sicilian)”. Proprio così: devi dichiarare esattamente da dove vieni, o meglio, se sei terrone oppure no.
Perfida Albione, non l’avessero mai fatto. Tacciati di razzismo post Brexit anche dal più acerrimo dei leghisti. Regole dell’altro mondo. Norme “da extracomunitari” dice qualcuno e, letteralmente parlando, non ha tutti i torti.
Le invettive sul pregiudizio si sprecano, gli appelli all’integrazione razziale impazzano.
Nella foga della critica e del rimprovero si tralascia il fatto che da tempo le scuole britanniche richiedano ai neo iscritti di indicare se sono “britannici bianchi, scozzesi, irlandesi, gallesi, bianchi europei o di altre nazionalità”. Dicono che l’informazione serva per verificare statisticamente eventuali rifiuti o mancate ammissioni proprio in funzione della provenienza geografica o della razza.
Non sappiamo se sia vero. Di certo, la richiesta di specificare il “tipo” d’italiano d’appartenenza integra e incrementa un questionario già di per sé predisposto alla categorizzazione.
La cosa che mi sconvolge è invece che abbiano raggruppato gli italiani solo in tre macro insiemi. Riduttivo per tutti. Ma il dramma che ci sta dietro non è tanto il razzismo degli inglesi, quanto piuttosto la loro ignoranza.
O forse, come diceva la Loren è giusto distinguere: “Non sono italiana, sono napoletana. È un’altra cosa”.
Terremorto e terremotto
“Vogliamo i ladrones, vogliamo tutti i loro nomi. Terremoto ed eclissi al sole”
(Litfiba, Dimmi il nome)
Non vale. L’apologia del diritto di satira non può andare a balbuzie. O si difende la libertà di satira sempre, oppure la si condanna. Su questo tema non ci può essere la corrente alternata.
Guardando la vignetta di Charlie Hebdo, che punge l’orgoglio italiano di fronte al tragico sisma, non avverto alcuna irriverenza, né alcun sentimento di scherno. Pur conoscendo persone morte e ferite quella notte, non mi sento deriso, non mi sento preso in giro. Trovo invece che abbiano colto nel segno, smascherando con cinismo il vero dramma che sta dietro il dramma. Trovo che il messaggio che si cela tra l’immagine e gli slogan sia un altro, rispetto a quello largamente percepito. L’Italia, celebre nel mondo per il suo stile unico, oggi diventa famosa per la superficialità dei suoi controlli, per l’inadeguatezza delle sue tutele, per l’atavica incapacità di alzarsi. Fa male sentirselo dire, ma è così, siamo noti per questo.
La vignetta dovrebbe fare profondamente riflettere, non solo superficialmente indignare.
Benvenuto al nord
“Questo popolo di santi, di poeti, di navigatori, di nipoti, di cognati…”
(E. Flaiano)
Sono tornato da un weekend da turista a Roma, colmo di disgusto. Amo Roma alla follia e non posso vederla soffocare tra i rifiuti e l’odore acre del piscio. Non posso vederla eternamente ostaggio delle sue buche, del suo caos e dei suoi chissenefrega. Non posso ascoltare le discussioni vuote sull’elezione del sindaco, consumate nella triste certezza che nulla mai cambierà. Non posso assistere a questo declino sempre più angosciante, che la fa sprofondare anche quando pensavi di aver raggiunto il limite più basso.
E in queste situazioni di disagio fisico, in questo trambusto primordiale, in questa totale assenza di regole… il mio istinto è quello di rinunciare alle bellezze e di andare verso nord, dove l’ideale di civiltà trova spesso pacato conforto.
La settimana scorsa sono stato per la prima volta a Lugano, per lavoro. Impeccabile, ordinata, fastidiosamente perfetta. Qua le macchine non sostano sulla strada in doppia fila. In strada non ci parcheggiano proprio. Marciapiedi lindi, che ti vien voglia di sdraiarti tra un lampione e l’altro. Non esistono i cartelli “vietato calpestare le aiuole”, perché son talmente belle che non ti sfiora neppure il pensiero di metterci un piede sopra. Bambini e ragazze che fanno jogging a tutte le ore. E tutti che salutano.
E di colpo mi sono sentito terrone. Perché c’è sempre qualcuno più a nord di noi (vedi inserzione sotto).
Scaricabarile
“Mai fidarsi troppo del giudizio dei cittadini.
Basti pensare che nel referendum più famoso della storia hanno liberato Barabba”
(M. Crozza)”
Trentadue italiani su cento non bastano per abrogare la norma, introdotta con l’ultima legge di stabilità, relativa alla proroga delle concessioni estrattive.
Si ripete dunque il celebre adagio del quorum impervio, dello spreco di danari pubblici, del tanto rumore per nulla.
“È il prezzo della democrazia”, dicono.
Resta da capire se su questi argomenti così delicati, su queste tematiche così tecniche, su questi dispute così spinose il popolo abbia effettivamente competenza e dunque lecita prerogativa di scelta. Su questi argomenti l’eletto dal popolo può rimettere il mandato nelle mani dell’elettore? È ammissibile che il rappresentante rinunci al proprio mandato e scarichi il barile (del petrolio) sulle spalle del popolo bue?
Non possiamo esprimerci sulle unioni civili, sulle pensioni o sul lavoro, ma siamo chiamati a decidere sulle estrazioni di idrocarburi in mare.
“È il prezzo della democrazia”.
Tu vo’ fa l’americano
“Alcuni credono di aver fatto dei gran passi avanti, e di tutte le qualità che possiedono solo la presunzione si trova d’accordo con questa loro idea”
(A. Schnitzler, Il libro dei motti e delle riflessioni)
Da settimane l’Italia è spaccata nel dibattito sulla stepchild adoption. Non si parla d’altro. Discussione lecita, confronto sacrosanto. Ma l’impatto di queste scelte quante persone riguarda? Di quante ipotetiche adozioni di figli del partner omosessuale stiamo parlando? Dieci, cento?
Nelle stesse ore è passato in sordina un altro argomento, che meriterebbe maggiori attenzioni. Nella noncuranza del Parlamento e all’insaputa dell’opinione pubblica, all’indomani della strage di Parigi è stato convertito in legge un Decreto che attribuisce al nostro Premier speciali poteri di guerra. In poche righe viene modificata la catena di comando. Saltando il voto del Parlamento, Renzi può decidere in autonomia le operazioni dell’Aise (servizio segreto per la sicurezza esterna): i nostri militari di unità speciali avranno le garanzie degli 007, licenza di uccidere e impunità per eventuali reati commessi”. I servizi segreti, sotto la cabina di regia del premier, assumono il comando, mentre i militari agiscono con garanzia di totale impunità. Gioca a fare la Cia, il nostro Presidente.
Ecco, vorrei che si parlasse più di questo che delle coppie gaie.
La famiglia trapezoidale
“E se gó de dila töta, il futuro che vorrei
è un bel mondo dove i bimbi i va töcc a fa i famèi”
(Di ‘n dèl nas, Ninna nanna del babbo)
Le argomentazioni che ho letto e sentito in questi giorni contro l’approvazione del famigerato ddl Cirinnà si basano unicamente su due principi. Il primo è costituito dall’ignoranza della questione, intesa come confusione e inconsapevolezza dei contenuti effettivi del provvedimento. II secondo è rappresentato dalla paura di una fantomatica deriva dei costumi sociali, orribile preludio ad una società immorale o, peggio ancora, amorale.
In primis. Il testo Cirinnà disciplina le unioni civili, creando un nuovo istituto anche per coppie dello stesso sesso. Nella bagarre dei mille dibattiti, il trambusto e la strumentalizzazione hanno spostato la disputa unicamente su diritti degli omosessuali, anche se la proposta di legge riguarda sia omo che etero.
Il disegno prevede che due persone, con un legame di coppia e che vivono insieme sotto lo stesso tetto, abbiano gli stessi diritti dei coniugi per quanto riguarda la reciproca assistenza in carcere e in ospedale, l’accesso alle informazioni sanitarie, la permanenza nella casa di famiglia in caso di morte del partner, l’assegno di mantenimento, l’unione o la separazione dei beni, la reversibilità della pensione. Viene estesa alle unioni civili anche la cosiddetta stepchild adoption, ossia l’adozione, da parte di entrambi gli individui, del figlio biologico di uno solo dei due genitori, adozione peraltro già disciplinata dalla legge. Il nuovo istituto dell’unione civile si sottoscrive di fronte a un ufficiale di stato civile, alla presenza di due testimoni e con iscrizione in un registro comunale.
Il disegno di legge non introduce alcuna modifica alla normativa della fecondazione assistita e della fecondazione eterologa.
In secundis. Un punto che forse non è chiaro, ma che è fondamentale per farsi un’opinione, è che la legge aggiunge diritti a qualcuno, senza togliere diritti a nessun altro. Se ci si pone in quest’ottica si può ben comprendere che chi crede nella sacralità del vincolo familiare e nel valore della famiglia tradizionale, può continuare a farlo: il decreto non introduce alcuna coercizione ed alcun annullamento di istituti giuridici esistenti.
Troppe sfaccettature, la vera paura è quella di passare dalla famiglia tradizionale a quella trapezoidale.
Occorre però anche intendersi sul significato di “tradizionale”. È tradizionale la mia famiglia, basata sul matrimonio di un uomo ed una donna che hanno messo alla luce un figlio? O è più tradizionale la famiglia del mio bisnonno, che sotto uno stesso tetto ospitava cinque figli, una nuora e un genero, svariati nipoti e qualche famèi? Oppure, andando ancora più indietro, è più tradizionale la tribù di Elitovio, che, a detta di Livio, condusse i Celti a Mantua qualche anno più indietro? È evidente che il concetto di “tradizione” muta col passare del tempo.
Molti infine lanciano anatemi sulle difficoltà di crescita dei bambini con due genitori dello stesso sesso. La frase più inflazionata: “i bambini devono avere un padre e una madre”. La Repubblica ha parlato di “Esperti divisi” e Il Giornale, riprendendo una vaga dichiarazione del presidente della Società Italiana di Pediatria ha titolato “possibili danni ai figli”. In realtà è noto come a livello mondiale gli esperti siano in gran parte d’accordo sul fatto che non ci siano differenze nei bimbi cresciuti in una famiglia omogenitoriale.
E di questo passo dove arriveremo? Non lo sappiamo, di certo in nessun baratro buio, come dimostrano i paesi dal welfare più evoluto, che hanno introdotto normative simili già da diversi decenni. Si tratta di fenomeni sociali inarrestabili, che conviene a tutti regolare e normare.
Poi se cadono sia le obiezioni normative, che quelle culturali e scientifiche… resta ben poco.
Ciocapiàt
“Personaggio sbruffone con la tendenza a parlare molto e concludere poco. Di solito affibbiato ad individui che si vantano di particolari prodezze o agganci che in realtà non hanno”
(dal diz. Il Bolognese per tutti)
Nessuna volgarità, nessuna offesa, nessuna caduta di stile. Il segnale che Mantova è la vera capitale della cultura italiana sta tutta nello striscione dedicato a Renzi e alla sua visita. In una parola, elegantemente attinta dalla tradizione popolare e dialettale, c’è la sintesi di un sentimento diffuso.
Ciocapiàt, letteralmente “picchia piatti”, rimanda al rumoroso frastuono dei venditori ambulanti, capaci di attirare l’attenzione di tutti e di circuire chiunque con i loro annunci e i loro proclami. Robe che ti vien voglia di comprarle appena iniziano a raccontartele. Non necessariamente un ciarlatano o un mascalzone, ma un imbonitore da sagra, abilissimo a circuire capaci ed incapaci allo stesso modo.
Invidio l’ideatore di questo slogan, un genio indiscusso. Un po’ meno il destinatario del messaggio, sempre più vittima della sua esuberanza e della sua demagogia.