Archive for category Attualità

Volemosebbene

Si è finalmente chiusa l’estenuante ed avvincente telenovela tassinara. Trovato il miracoloso compromesso, il colpo di genio che salva la capra dei tassisti ed i cavoli delle licenze.

L’incremento di concessioni ci sarà, proprio come aveva deciso SuperVeltroni. Dissolte ed evaporate in un istante tutte le proteste della categoria. Gulp!

In cambio però, aumenteranno del 18% le tariffe.

Ma come? Tutto il baccano e il trambusto delle liberalizzazioni, delle licenze aggiunte, non dovevano servire ad aumentare la concorrenza al fine di abbassare le tariffe? Il tutto non era patrocinato dall’epiteto: libero taxi in libero mercato?

Cantava Venditti: “Roma capoccia der mondo infame”.

1 commento

Riottosi

Altra pregevole prova di professionalità e acume giornalistico da parte del TG1 di Riotta. Ieri, nell’edizione serale, è andato in scena l’ennesimo ospite della saga. Allo smagliante Ministro Mastella viene chiesto cosa pensa dell’ironia di Benigni, che pochi giorni prima l’ha preso di mira durante il suo spettacolo televisivo. Il Ministro risponde con diplomazia ed impervio buonismo.

Poi il TG cambia pagina, aprendo un servizio sull’ostracismo del giudice Forleo. Su questo tema, che coinvolge malapolitica e giustizia, affari sporchi e classe dirigente, sarebbe scontato approfittare della presenza del Ministro della Giustizia per avere un suo parere in merito. Invece no. Il TG scivola via, come nulla fosse. Complimenti.

Nessun commento

La casta dei tassisti

Hanno un diritto esclusivo, recintato ed inalienabile? Sono parte di un albo inaccessibile, come notai, avvocati e professionisti in genere? Brahmini di una casta sacra d’intoccabili? O discendenti diretti degli Dei? I tassisti scioperanti che bloccano la viabilità della capitale, peraltro già pesantemente compromessa, si arrogano il diritto di vietare la concorrenza. Come se un impiegato delle Poste smettesse di accettare bollettini,  per impedire nuove assunzioni, come se un barista spegnesse la macchina del caffè, per opporsi all’apertura di nuovi esercizi. Potranno certamente pronunciarsi “contro”, manifestare la propria opinione di dissenso, ma non interrompere il servizio per dettare di fatto la scelta amministrativa da intraprendere. I tassisti guidano. Non governano, né amministrano.

Nessun commento

I figli degeneri di Robespierre

Robespierre salterebbe sul patibolo, pervaso dalla sorpresa ed esaltato dalla profonda speranza. Se potesse vederli, quegli ultrà che si sono ribellati alle forze dell’ordine, forse non crederebbe ai suoi occhi. Affronterebbe la morte col ghigno fiero del padre soddisfatto, che ha scoperto figli degni, emuli coraggiosi della lotta al potere.

Lotta dura che piega l’ordine costituito, costringendolo a sospendere le partite. Assalti alle sedi giornalistiche, armi in pugno contro i mezzi della polizia, cariche alle caserme. A vederlo così, sembra proprio il popolino che esausto alza le mani contro il governante. Rivoluzione.

Viene da chiedersi come mai tutta questa energia, questo coraggio e questo ardore, degne dei più nobili ideali giacobini,  non vengano spiegati in battaglie più sensate. Perché nessuno insorge contro un parlamento di pregiudicati, contro un aumento inverosimile dei carburanti che tra le accise comprendono ancora le sovvenzioni per la guerra d’Abissinia o la ricostruzione del Vajont? Perché nessuno imbraccia le armi contro la mafia o lo strapotere truffaldino delle lobby bancarie? Contro i mass media da regime o la casta degli intoccabili?

I disordini di ieri sono solo lo sfogo di insane e dissennate brame. La drammatica morte di un tifoso, vittima di una raccapricciante e tragica fatalità, è stata l’occasione per sfogare la violenza e menare le mani. Dietro a ciò, nessun ideale, nessun sogno, nessuna utopia. Altro che lotta al potere.

1 commento

Amici & narici

Il Congresso di Federserd, la federazione degli operatori pubblici delle dipendenze, annuncia un incremento di nasi rifatti in seguito al consumo di droga. Lista di attesa di un anno e mezzo per intervenire sulle mucose nasali bruciate dall’abuso di cocaina. “Granulomi sottocutanei, vasi sanguigni cicatrizzati e inservibili, riassorbimento dei tessuti:  il naso del cocainomane è fortemente compromesso, la carenza di circolazione sanguigna manda in necrosi i tessuti, e l’operazione chirurgica a lungo andare è inevitabile”. Anche diecimila euro nelle cliniche private, gratis se si passa dal servizio pubblico. Non più solo vip annoiati e traboccanti di danari, ma gente di ogni estrazione, di ogni età.
Credere nella libertà, significa anche concedere la facoltà di incendiarsi il naso; ognuno faccia di se stesso “quel che vuole”. Ciascuno è anche libero di scialacquare i propri soldi come meglio crede, essendone padrone fino in fondo. Io i miei vorrei evitare di spenderli per rifare il naso ai drogati. Sovvenzionare col sistema sanitario nazionale operazioni di questa natura mi dà leggermente fastidio.
All’Asinara c’è un penitenziario praticamente abbandonato, ex lebbrosario. Io spedirei là tutti i cocainomani, a respirare aria buona.

1 commento

Festivaletteratura 2007, secondo tempo

Andrea Vitali ha il dono del racconto. Senza fronzoli o bizantinismi strani, riesce ad infondere serenità e gusto antico attraverso l’aria della sua narazione. È piacevole ascoltarne il tono pacato e vagamente retrò; l’atmosfera magica del lago di Como regala alle sue parole la perfetta enfasi del fascinoso tempo passato.
Parla, Andrea Vitali, e racconta le finzioni e le macchette che in riva al lago hanno avuto la forza e la fantasia di nascere. È ironico, sottile, rassicurante. Ha l’eloquio dei libri più belli, quelli che stanno sul comodino e che quando li apri ti trasportano rassicuranti nel sonno più pacifico.

Nessun commento

Festivaletteratura 2007, primo tempo

Se mi chiedeste di scegliere un intellettuale nel quale identificarmi, relativamente al pensiero politico, senza dubbio vi risponderei che Giovanni Sartori incontra alla perfezione il mio credo.
Ascoltarlo al Festivaletteratura è stato semplicemente ammaliante. Permea di cultura, di acume, di intelligenza. Difficile non lasciarsi emotivamente trasportare dalla sua “mira” politica, impossibile rimanere indifferenti alla sua simpatica verve.
Sarà che gli argomenti nel piatto, ovvero la teoria politica ed i tecnicismi istituzionali, sono per me pane da divorare, ma ascoltare le sue parole mi stringe la coscienza.
Una di quelle persone con le quali parleresti per ore. Invece, c’è solo il lampo di una battuta. “Professore, mi fa una dedica sul libro?” “Oh…vvia! La dedica no, mi pare un po’ toppo. Al massimo una firma”.

Nessun commento

Svalutation

È facile accodarsi all’accusa di Adriano Celentano, quando interviene nel tg di prima serata per denunciare il deturpamento delle coste liguri. Obbrobri edilizi, concessioni troppo generose e controlli altrettanto blandi. È un po’ il male dell’Italia, non solo della Liguria, quello dei furbi che badano all’interesse particolare e dei compiacenti che li assecondano nella filosofia del “lasciar fare”.
Come spesso gli accade però, è l’atteggiamento che non convince. La giaculatoria sotto i riflettori della Rai, in pieno stile molleggiato, è buona per arringare le folle e per fare del populismo e della demagogia, non certo per risolvere responsabilmente i problemi. Lo showman pecca, pecca nella tendenza ad abusare della sua autorevolezza, raggiunta grazie all’appeal con l’opinione pubblica, lanciando sentenze ed accuse generiche, mal supportate da dati e prove concrete. Accadde la stessa cosa nei primi anni in cui Beppe Grillo iniziava a denunciare i malcostumi del Belpaese, quando la sua autorevole voce di comico acclamato lo spingeva a criticare tutto il criticabile, riscuotendo il facile plauso di chi urla contro soprusi e potenti. Poi Grillo, da uomo intelligente e attento, iniziò a fare delle denunce una vera professione, sostituendo mirate ed ordinate accuse alle generiche apostrofi del tempo che fu. Precisione insomma, sostenuta da dati e valori, nomi e cognomi. Quella precisione e quella completezza che lasciano poco spazio al dubbio e al sospetto. Serietà, potrei dire.
Ma nel Paese dove i motociclisti comunicano a reti unificate con la nazione, si può forse chiedere ad un cantante di essere più serio?

Nessun commento

Se Cesare supera la misura

Prima che dai principii val forse meglio partire dall’esperienza. Se sto alla mia, so di non violare privacy ricordando quanto ho visto praticare sovente da parroci, da religiosi, da suore. E non soltanto in Italia ma, ad esempio in Francia e in Spagna, da economi di istituti e da rettori di santuari. E ho qualche ragione per credere che la prassi non valga solo per i Paesi latini.

Spesso, cioè, ho constatato che – dovendo regolare conti con muratori, artigiani, fornitori vari – uomini (e donne) di Chiesa non si comportano diversamente dal cittadino comune. Dunque, per quanto possibile, praticano un principio di “legittima difesa”, ricorrendo a sistemi che non sottopongano tutto l’importo a tutta la tassazione prevista. Non, intendiamoci, con metodi truffaldini, da professionisti dell’evasione, ma limitandosi alla forma più semplice: il pagamento in contanti di parte di quanto dovuto o una fatturazione inferiore al reale.

Ora: la vita spirituale di ciascuno è inviolabile, ma oso pensare che nessuno di quegli amministratori ecclesiali aggiunga le elusioni fiscali alla lista dei peccati di cui accusarsi nelle periodiche confessioni. Una supposizione, la mia, che si fonda anche sul fatto che nessun confessore mi ha mai chiesto conto del comportamento quanto a tasse, imposte, tributi.

Malcostume clericale, mancanza di senso civico in preti e suore che non solo non predicano dal pulpito l’obbligo morale di pagare le tasse sino all’ultimo cent (come depreca il “cattolico adulto” Prodi) ma cercano essi stessi di sfuggire almeno un poco alla pressione fiscale? Ma no.. semplicemente, come si diceva, un istinto di «legittima difesa». Non a caso l’aggettivo usato dal cardinal Bertone riferendosi alle imposte meritevoli di essere pagate è “giuste”. Così come di “giusti tributi” parla il Nuovo Catechismo cattolico e di “giustizia” nel carico fiscale parlano tutti i trattati di morale.

In effetti, è scontato ricordare che norma basilare del cristiano è il “dare a Cesare quel che è di Cesare”; e il Segretario di Stato non poteva non citarlo. Ma, per usare giustappunto il latino della Chiesa, est modus in rebus: che fare se Cesare supera, e di molto, il modus, cioè la misura? L’Ancien Régime dava poco ma chiedeva anche poco, la tassazione era per lo più irrisoria se confrontata a quanto sarebbe poi avvenuto. È, nella teoria, con i dottrinari illuministi e poi, nella pratica, con giacobini e girondini rivoluzionari, che lo Stato si fa “etico”, si fa “sociale”, si fa “totalitario”, assume per sé tutti i diritti e tutti i poteri, affermando che farà fronte a tutti i doveri e a tutte le necessità. Nascono e si sviluppano sino all’ipertrofia le burocrazie, si creano smisurati eserciti permanenti, si confiscano i beni con cui la Chiesa e i corpi sociali intermedi facevano fronte alte esigenze sociali, basandosi non sul torchio dell’esattore ma sulla volontarietà dell’elemosina. Cesare, insomma, pretende sempre di più, sino a casi come quello italiano dove ogni anno, sino a fine luglio, il cittadino lavora per uno Stato di fantasia inesauribile quanto a tasse e balzelli diretti e indiretti e bontà sua – lascia al suddito il reddito di cinque mesi su dodici del suo lavoro. Siamo in chiaro contrasto, dunque, con la “giustizia” chiesta dalla Chiesa, i cui moralisti – quelli moderni, non quelli antichi che si accontentavano delle “decime” giudicano, in maggioranza, equa una tassazione che, nei casi più severi, non superi un terzo del reddito. Non sorprende, dunque, che anche in gente di Chiesa scatti un istinto di autodifesa, un bisogno di equità davanti a uno Stato che sembra configurarsi non come un padre ma come un padrone e un predone.

Dopo avere detto che è “dovere del cittadino pagare le tasse” ma “secondo leggi giuste” (e tali spesso non sono, secondo il giudizio comune), il cardinal Bertone ha aggiunto che lo Stato ha il dovere “di destinare i proventi di esse ad opere giuste e all’aiuto ai più poveri e ai più deboli”. E qui c’è tutto lo spazio per un’ironia amara, tutti sapendo in quali “opere” siano dissipate somme enormi prelevate dai redditi di chi lavora. Tutti sanno, ad esempio, che stando alle impietose statistiche, buona parte delle “istituzioni sociali” statali hanno sì un fine assistenziale: ma, in massima parte, a favore delle burocrazie che le gestiscono. Tutti sanno – o almeno intuiscono – che sprechi, ruberie, privilegi, demagogie, incurie inghiottono tanta parte non del “tesoretto” casuale ma dell’immenso, sempre rinnovato “tesoro” fiscale.

Giustizia, dunque, nel prelievo ed impiego virtuoso di esso: queste le basi della prospettiva cattolica a proposito di tributi. Basi che sono ben lontane dall’essere rispettate. Per cui non sembra ingiustificato il commento di Rocco Buttiglione: “Non pagare le tasse è una colpa. Indurre i cittadini nella tentazione di non pagare, pretendendo tributi esosi ed ingiustificabili, è colpa ancora più grave”.

(Vittorio Messori, Corriere della sera, 20 agosto 2007)

Nessun commento

Boicottare l’oro cinese

Può apparire dissennata la proposta del vice presidente del Parlamento Europeo, l’inglese McMillan-Scott, il quale ha provocatoriamente proposto al suo primo ministro Gordon Brown di boicottare i giochi olimpici del 2008 che si svolgeranno in Cina, negando alla rappresentativa britannica la partecipazione alle gare. Occorre dare un segnale forte contro i crimini perpetrati nella Repubblica Cinese e la mancata adesione alle olimpiadi, oltre a costituire uno straordinario catalizzatore di attenzione internazionale, fungerebbe da forte deterrente per l’efferata politica cinese, costretta (forse) a mettere una mano sulla coscienza per non perdere il vantaggioso treno olimpico. La posizione inglese, dicevo, potrebbe risultare scriteriata poiché mescererebbe una pericolosa vena politica ai principi dello sport, che per loro natura dovrebbero conservare distanza ed indipendenza. Dare un seguito al monito di Scott significherebbe politicizzare lo spirito olimpico, usando il ricatto sportivo come arma impropria di politica internazionale.
Questa posizione di “non ingerenza” negli affari interni dei singoli stati, motivata col sostegno alla separazione tra sport e politica, è largamente condivisa dai media internazionali e dall’opinione pubblica.
Si dimentica, tuttavia, come tra le altre cose ha sottolineato anche Amnesty International, che quando si parla di “diritti umani” significa affrontare tematiche che pre-esistono alla politica. La difesa dei diritti primari dell’uomo non è questione politica, ma logica di basilare sopravvivenza non soggetta ad ideologie né schieramenti di sorta. Spostandosi dietro questo punto di vista, l’irragionevolezza della posizione inglese si mitiga ed anzi diviene saggia.
Principi democratici inesistenti, diritti fondamentali negati, persecuzioni alle opinioni dissenzienti, controllo forzato delle nascite, mattanza di bambini. Questo, e molto altro ancora, è la Cina odierna. La scelta di affidare l’organizzazione dei giochi del 2008 alla potenza asiatica, è stata decretata dal comitato olimpico in cambio della promessa cinese di una maggiore tutela dei diritti umani per il proprio popolo. Promessa inevitabilmente disattesa e sapientemente elusa.
Ecco allora che la rinuncia estesa alla partecipazione olimpica da parte di tutti i paesi democraticamente evoluti (si pensi ad esempio al forfait di tutta la Comunità Europea) potrebbe diventare l’unica occasione per imporre alla Cina un brusco cambio di rotta e per riscattare le sofferenza di milioni di cinesi. Non per una faziosa imposizione ideologica, ma per una tutela di diritti universalmente condivisi.

1 commento