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Mollica rafferma per cena
Uno degli spettacoli più monotoni e fastidiosi del mondo sono le interviste che Mollica mette in scena durante la settimana di Sanremo. Se possibile, ancora peggio delle sue recensioni su pellicole e canzonette varie, dove i complimenti e le frasi fatte si sprecano sempre e per tutti. Ma non è ancora stanco, dopo vent’anni, di chiedere sempre alle soubrette di turno “che cosa si prova a salire su quel palco?” o “che cosa significa arrivare a Sanremo?”?
Boh, io non me ne capacito. Una noia mortale, un senso si nausa disarmante. Al confronto le lezioni di costruzioni idrauliche di Paoletti, su RaiSat alle due di notte, o le interviste di Vendola sono uno spasso.
Il cesso e il bagno
“Era una casa molto carina
senza soffitto senza cucina.
Non si poteva entrarci dentro
perchè non c’era il pavimento.
Non si poteva andare a letto
perchè in quella casa non c’era il tetto.
Non si poteva fare la pipì
Perchè non c’era vasino lì”
(S. Endrigo – La casa)
Per risparmiare un po’ sui rivestimenti dei cessi, sono andato a prendermi le piastrelle direttamente a Fiorano Modenese, col Doblò di mio zio: due viaggi a Modena nello stesso giorno, compresi carichi e scarichi manuali. Il Doblò se l’è cavata col pieno; io col mal di schiena.
In uno dei due servizi metterò un vecchio mobile della nonna, debitamente ripulito, sverniciato, carteggiato, stuccato e ridipinto dal sottoscritto. Per qualche altro mobiletto invece, sarò costretto a bussare dal signor Ikea. È il destino di noi poveracci.
Il prefetto di Genova, invece, sembrerebbe aver fatto le cose un po’ meglio. Per ristrutturare l’appartamento di rappresentanza, avrebbe speso cifre inenarrabili. Si parla di 10.000 euro per il bagno turco, 9.000 per la vasca idromassaggio, 5.000 per i rivestimenti, 12.000 per un prezioso marmo verde. In totale circa 100.000 di fattura… Insomma, mandarlo a cagare significa assicurargli un vero lusso.
Affari suoi, si potrebbe obiettare. Se può spendere simili cifre, buon per lui. Peccato però che il conto l’abbia pagato il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, quindi un po’ anch’io.
A saperlo prima, facevo volentieri un giro in più a Modena.
Il gioco è una cosa seria
L’altra sera una rete Rai ha trasmesso la pubblicità progresso del Governo, contro la dipendenza dal gioco: “esagera coi sogni, ma gioca responsabilemente”, o qualcosa di simile. Lo spot successivo è stato quello del sito di scommesse Bet&Win. Un po’ come quando il vecchio spot antitabagismo andava in onda dopo le interviste di Zeman.
Ormai lo stato italiano si regge (anche) sulle gabelle del gioco. Si sa: se eliminassimo i Gratta&Vinci e l’Enalotto, finiremmo peggio della Grecia. Una scelta di politica economica vecchia e discutibile, ma ormai assodata e lungi dall’essere rimessa in discussione.
Finiamola almeno con gli spot bugiardi e ammettiamo serenamente che più gente si rovina al gioco e più lo Stato fa cassa. Il gioco è una cosa seria.
Da Giobatta del Piat a Gregore della Tor
Non so se avete letto l’ultimo editoriale di Voltapagina dal titolo “Acqua che passa…”. A parte il fatto che sfido chiunque a dirmi chi è Giobatta del Piat, ho pensato bene di rispondere all’autore, mandandogli una mail. Di seguito trovate la mia mail e sotto ancora l’editoriale apparso il mese scorso.
Egregio signor Giobatta,
ho letto con interesse il suo spunto di riflessione “Acqua che passa…”, pubblicato nell’ultimo numero di Voltapagina.
Mi ci rivedo, è vero, davanti la filòs a raccontare e ad ascoltare ciò che un tempo eravamo capaci di dirci. Mi ci rivedo anche davanti alla prima televisione, quando con la mia famiglia stavamo stretti stretti ad aspettare Carosello.
Ha ragione lei, se ci voltiamo indietro vediamo un’Italia che in cinquant’anni ha corso con velocità crescente, un’Italia che è salita in Vespa, e oggi si ritrova sugli aerei low cost.
La televisione, come è giusto che sia, ha accelerato anch’essa, inseguendo (o precedendo) tutti noi che andavamo di corsa.
Non mi dispiace che al posto di Mario Riva sia arrivato Gerry Scotti, né che Fiorello abbia rimpiazzato Alighiero Noschese. Ridevo vedendo la pubblicità di Calimero, ma anche quella di Totti in fondo non è male. Però ha ragione lei: la moderna tv (oggi non c’è tempo neppure di scrivere “televisione”) è decisamente mediocre. Mediocre nei suoi contenuti (non c’è più nulla di culturale) e mediocre nei suoi messaggi.
Eppure non serve andare indietro di cinquant’anni per ricordare una televisione decente. Ricordo che anche negli anni ’70 le cose andavano bene. Canzonissima si guardava volentieri, qualche buon film non mancava mai e i giornalisti sapevano fare quasi tutti il loro mestiere. Per ridere poi… bastavano Cochi e Renato.
Ma poi cos’è successo? Un signore con pochi capelli (poi gli cresceranno) ha inziato a fare impresa con la tv e facendo vedere un po’ di tette ci ha legati alla poltrona. Ha soppiantato l’idea di cultura, con quella di pubblicità. Mio figlio guardava la Freccia Nera, mio nipote registra le puntate di Amici. Basta contenuti, solo reclame.
Ha ragione lei: abbiamo desistito di fronte al degrado incombente, abbiamo ceduto lasciandoci assuefare passivamente, siamo capitolati fievolmente giorno dopo giorno. Però, signor Giobatta, non crede che questo scadimento tragga origine da un preciso padre predone?
Non serve essere schierati politicamente (io non ho etichetta alcuna, e me ne vanto) per riflettere, guardarsi indietro e chiedersi chi ci ha portati a questa tv et, igitur, a questa società senza spina dorsale.
Con immensa stima, Gregore della Tor (o se preferisce… Silvio Baù)Acqua che passa…
di Giobatta del Piat
Era ancora viva cinquant’anni fa l’usanza dei filòs. Nelle nostre campagne visse ancora per un decennio prima di rimanere completamente estraniata dall’evolversi delle vicende e dalla modernità.
Non fu solamente il benessere, che andava diffondendosi, a determinare il cambiamento; quanto alcuni elementi meno sottintesi come la televisione, la quale partecipò in modo determinante alla metamorfosi in corso.
Non c’era più motivo di andare ai filòs per conoscere “ che nöe gh’èra”, o per ingannare il tempo nelle lunghe notti invernali, riscaldandosi con gli umori delle vacche sopra giacigli di paglia; la novità era divenuta una scatola di legno verniciato lucido, tinto mogano, oggetto invidiabile e alieno posato in bella mostra su un carrello dalle smilze gambe in metallo cromato lucido e liscio come i denti del forcone. Era arrivata la televisione. Oggetto diabolico, una sorta di cinematografo senza pellicola che materializzava, in modo incredibile e misterioso cose e uomini; quasi come un sogno ad occhi aperti.
La televisione fu un fenomeno senza pari, che contribuì a conoscersi, riconoscersi, a confrontarsi in un’Italia lunga e diversa da nord a sud.
Anche se il fenomeno aveva avuto i natali formali nella prima metà degli anni 50 da noi, arrivò dopo un decennio.
In quei tempi, il mondo stava già cambiando per effetto dei benefici che la ricostruzione aveva alimentato. La bicicletta l’avevano tutti; era tempo di vespa e i ventenni sognavano la macchina.
Erano passati neppure quattro lustri dalla fine della guerra e le cose erano ormai molto cambiate. I giovani immaginavano un futuro diverso da quello conservatore dei loro padri. Lavorare i campi per mietere una volta l’anno era una prospettiva accettata senza entusiasmo e condotta in attesa di tempi migliori. Fu soprattutto la televisione a mostrare i confronti tra la campagna e la città, a favorire quella straordinaria migrazione verso le catene di montaggio che già tra le due guerre aveva ammaliato i primi pionieri. Alla fine degli anni ’60 la prima metamorfosi ebbe compimento e… addio filòs.
Adesso, Ernesto Bernacca si è sostituito al vento delle filastrocche per dirci che tempo farà e Alighiero Noschese ci fa morire dal ridere imitando i politici. Il maestro Alberto Manzi fa lezione alla televisione alla sette di sera e spiega tanto bene che si capisce tutto; forse meglio della maestra. Le notizie, adesso, arrivano persino dall’altra parte del mondo, dall’America; le racconta Ruggero Orlando, un tipo anzianotto con l’erre moscia.Poi nei varietà una certa Raffaella Carrà mostra le gambe con una disinvoltura da far arrossire chi la guarda. Il mondo è proprio cambiato.
Basta con le sottane lunghe e nere, è arrivata la minigonna, sono arrivati i blu jeans, la ciuinga che fa tanto scic, si balla lo shake e il cha cha cha; le sale da ballo incarnano quella voglia di libertà e di rifiuto degli schemi che comincia ad affermarsi in ogni settore della società.
Basta lavare al fosso, l’acqua è arrivata nel cortile o addirittura in casa in casa; basta con l’energico lavoro stagionale di far bollire il bucato con lisciva e sapone : è arrivata una polvere bianca appiccicaticcia che fa diventare tutto bianco e candido; lo consiglia un pulcino nero chiamato Calimero.
Il vento del cambiamento, da allora, non si è più arrestato.
Arrivarono giorni felici, ma anche i giorni del piombo e delle Bierre; il sangue sulle strade e le stragi innocenti. Arrivarono i perché; e furono molti. Non sono ancora finiti e mai finiranno.
Sono passati cinquant’anni, da allora, e l’usanza dei filòs è talmente lontana che per taluni è addirittura incredibile.
La televisione è cresciuta con noi; anche più di noi. Non ha mai messo di raccontarci storie affascinanti, anche d’oltre mare. Il pulcino sfortunato e nero che si chiamava Calimero non c’è più; forse è morto, chissà. La sua polvere bianca e appiccicaticcia oggi ci dice che “sbianca più del bianco”; e così la mia signora, anch’essa attaccata alla lenza della tivù ne compra due alla volta.
Non è più come ai nostri tempi che si mangiava quello che il “convento passava”. Mio nipote sta crescendo bello e sano perché fa una dieta equilibrata mangiando una bella “fetta al latte” al mattino per colazione e un buon “chinder cerali” a metà pomeriggio; poi se durante la giornata lo prende, un languorino che non è proprio fame ma voglia di qualcosa di buono, mia cognata sa bene che può dargli un buon “duplo” perché è sano e nutriente.
Anche nell’abbigliamento siamo cambiati. Adesso non è tanto importante vestirsi, quanto apparire. La mia vicina, Angela, veste sempre poco e succinto e mi dice che vorrebbe fare l’attrice ed anche partecipare al programma delle veline alla tivù. Dice che non vuole sposarsi perché l’uomo è un oggetto da usare e basta; dice che vuole cambiare vita; dice che vuole divertirsi perché si vive una sola volta. Non so dire, se la capisco, ma… anche noi volevamo farlo qualche decennio fa e poi con l’età sono iniziati dubbi.
Siamo nati in un mondo sano tra gente semplice, onesta e di parola. Abbiamo imparato soprattutto quello che abbiamo visto fare dai più grandi di noi, verso i quali nutrivamo innato rispetto. Volevamo cambiare nel vigore del nostro sviluppo, per migliorare noi e aiutare la nostra famiglia. Un cambiamento che significava, nelle intenzioni, maggiore ricchezza, possibilità di sfuggire da quelle maglie di povertà e mediocrità che rendevano ristretto ogni nostro desiderio.
La televisione cinquant’anni fa, in queste zone, era il nuovo che arrivava e noi gli abbiamo creduto; come un dio. Anche noi volevamo cambiare il mondo ma… non, come oggi accade, dissetarsi e basta. Volevamo cambiare in una sorta di eroico slancio per cambiare prospettiva a noi e ai nostri figli. In questo desiderio collettivo, penso, ci siamo riusciti. Non possiamo negarlo. La ricchezza e arrivata copiosa; ci ha inebriato e travolto. Ci ha cambiato modo di vivere. Mai più potremmo tornare per la strada dalla quale siamo venuti; andremo avanti; e lo faremo con tutti; chi in testa al gruppo, chi in mezzo, chi in coda. Porteremo anche la televisione, se qualcuno lo vorrà. Personalmente non m’interessa. Penso e dubito di Lei, della sua falsa bontà e delle sue promesse. Cogito ergo sum.
Auguri
A quei Babbo Natale appesi fuori dai balconi, al freddo per giorni e giorni;
ai quei presepi dove San Giuseppe è più grande del bue e le pecore più grosse dei pastori;
a quelli che intasano la posta elettronica, mandando allegati pesantissimi per farti gli auguri;
a quelli che non sanno che le foto da 6mega si possono anche ridurre, prima di spedirle;
a quelli che per farti la fattura giusta, devono fare almeno tre tentativi;
a quelli che “vengo la settimana prossima a finire il lavoro”, poi non li vedi più;
a quelli che “ sei sicuro che nel preventivo ti avevo fatto di meno?”
a quei camerieri che si presentano e ti dicono “cominciamo con un bell’antipasto?”
a quella cameriera di Campo dei Fiori che insieme a un margarita, a un fernet e ad uno jagermeister ci ha portato le patatine;
a quelli che vanno alla messa di mezzanotte perché “così è una roba fatta”;
a quelli che fanno la catena umana durante il Padre Nostro in chiesa, ma fuori nemmeno ti salutano;
a quelli che hanno votato Tremonti e poi si lamentano perché il Comune non mette le luminarie;
a quelli che vogliono sapere la strada per Obereggen, e non sanno neanche dove sono i Petacchi;
a quelli che saranno al burièl, col brulè in mano;
a tutti loro… e ai lettori di questo blog…
Buon Natale.
Dalla Paprika ai tarallucci e vino
L’Alleanza di Centro, che non ho ben capito cosa sia ma già il nome “centro” mi provoca l’orticaria, ha nominato Debora Caprioglio responsabile nazionale di Cultura e Spettacolo. Nulla in contrario sulla legittimità della nomina, né sull’integrità della persona, però…
Però rimane un mistero come sia possibile fare i bacchettoni sulla moralità delle nostre vite private, sull’etica dei moderni costumi e poi affidare un ruolo importante della vita pubblica ad un’ex attrice, ma soprattutto CULtrice, di Tinto Brass. Evidentemente se si parla di cari congiunti (il marito della Caprioglio è intimo di Pionati che ha definito la nomina) i principi vanno in deroga e tutto finisce in amicizia. Dalla Paprika ai tarallucci e vino.
In questo paese anche la morale non è uguale per tutti.
Posti da uomini
(P. Turci – Bambini)
Possibile che noi italiani arriviamo sempre dopo? Con l’auspicio che si possa realizzare presto, vi auguro buona lettura. In fondo, quando non sono i tuoi, è meglio che stiano lontani, no?
La musica è finita
gli amici se ne vanno
e tu mi lasci solo più di prima”
(F. Califano – La musica è finita)
La legge Bacchelli prevede l’assegnazione di un vitalizio ai cittadini che si sono distinti nell’ambito della cultura, dell’arte, dello spettacolo e dello sport, ma che versano in condizioni di particolare indigenza. Norma un po’ bizzarra, anche se fondata… Il Governo dovrebbe valutare ogni singola circostanza e correre in soccorso dei cittadini bisognosi, che hanno in qualche modo dato lustro allo Stato nel corso della loro carriera.
Califano ha chiesto l’applicazione delle legge anche alla sua situazione “di indigente” (dice lui). Per sua stessa ammissione però, a 72 anni il Califfo riceve 20.000 euro l’anno di diritti SIAE. Una discreta pensioncina. I miei genitori, entrambi pensionati, campano decentemente con molto meno. Eppure il senatore PdL, Gramazio, conferma: “Presenterò al ministro Bondi la proposta nella quale chiedo di applicare a Califano la legge Bacchelli”.
Non vorrei che mentre Pompei cade a pezzi, regalassimo altri soldi della cultura a chi ha trascorso la vita a sperperarli.
Se piove sul bagnato
Le forti piogge degli ultimi giorni hanno messo in ginocchio il vicino Veneto. Non più solamente la consueta Liguria o il lontano Sud. Pare impossibile: ormai se piove per una settimana, l’Italia si scioglie e l’autostrada più trafficata d’Europa deve essere chiusa. Colpa (anche) dei torrenti ingrossati, costretti per forza di cose a tracimare. Il principio è abbastanza semplice e me lo spiegò per primo il buon Sergio, padre del mio amico Giorgio. “Se vuoi che il torrente scorra, devi ripulirne il letto dagli arbusti e dalla vegetazione. Ma i Verdi su questo rompono sempre le balle. Poi però se ripulisci troppo, se cementifichi il letto, se rendi veloci le sponde… beh… allora devi trovare un modo per frenare la corsa dell’acqua: se corre troppo veloce, capita che a valle, al primo imbuto, succeda un disastro”. Un principio facile, di elementare buonsenso. Solo che se te lo spiega in dialetto ampezzano uno con delle mani grosse come badili, il concetto ti resta impresso meglio. Il letto dei torrenti deve essere pulito da tronchi e sterpaglie, ma non deve essere troppo liscio. Insomma, per fare in modo che tutto scorra in ordine, bisogna effettuare manutenzioni ordinarie e continue. Questa è la regola.
Peccato che la Legge regionale n. 12 dell’8 maggio 2009 cancelli di fatto 15 milioni di euro destinati alla manutenzione di torrenti, fossi e argini del Veneto. Invece di sforbiciare le rive, hanno sforbiciato le risorse. Hanno pulito i fondi, più che i fondali.
E ora? Quanto costeranno i danni e le ricostruzioni?
Beati i silenziosi
Ricordate il caso Englaro? Per settimane assistemmo ad un logorante dibattito sull’opportunità o meno di staccare la spina ad una paziente in fin di vita. Nella disputa ebbe un ruolo chiave l’opinione vaticana, insistentemente ribadita ai tg, sui giornali ed in ogni sorta di trasmissione. Una vera e propria campagna d’opinione di fronte ad una vicenda che sembrava contrastare i principi fondamentali della Chiesa.
Oggi sul caso Ruby e bunga bunga, fatico a scovare l’opinione vaticana. Non un intervista, non una dichiarazione. Qua e là qualche editoriale sulla necessità di “sobri costumi” e poco più. Eppure di argomenti su cui prendere posizione ce ne sarebbero eccome: lo sfruttamento della prostituzione, la violenza sui minori, il nepotismo, l’etica pubblica, la morale, e chissà quanti altri. Invece assistiamo ad un penoso silenzio. Beati i silenziosi, perché qualcun altro sarà loro riconoscente.