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Dai castelli di sabbia, ai castelli di rabbia.
A me piacciono le spiagge un po’ selvagge. Quelle dove parcheggi l’auto lontano e c’arrivi dopo aver camminato a lungo. Quelle dove non c’è la calca dei “Dayaki” attorno al bar. Quelle dove ti cambi il costume usando l’asciugamano e non affittando la cabina. Se magari ci sono un po’ di sassi e non la sabbia perfetta, è anche meglio. Le strutture e gli stabilimenti hanno la loro comodità, ovvio, ma generalmente… meno tracce umane ci sono, meglio si sta.
Con la bozza di decreto per lo sviluppo, sulla spiaggia nasce il “diritto di superficie” di 90 anni. Il Codice Civile lo disciplina come un diritto reale di godimento, consistente nella facoltà di edificare e mantenere una costruzione sopra un fondo di proprietà altrui. Nel nostro caso, il diritto prevede il pagamento di un canone annuo al Demanio e l’accatastamento delle edificazioni su spiagge e arenili. C’è chi grida allo scandalo, alla svendita del patrimonio e del paesaggio pubblico. Altri invocano la libera concorrenza, sostenendo che si potranno dare maggiori certezze a chi vuole investire nel lungo periodo: ciò dovrebbe incentivare il tanto acclamato “sviluppo”.
Non ho la competenza tecnica sufficiente per dire se sarà meglio o se sarà peggio. Non sono abbastanza schierato per prendere una posizione ideologica chiara e aprioristica. So solo che così facendo, sarà difficile che le costruzioni diminuiscano e che il cemento si riduca. Più facile che l’edilizia aumenti e che le bellezze naturali scompaiano: ciò basta per scocciarmi. Dai castelli di sabbia, ai castelli di rabbia.
Calma e sangue freddo
“Scèndra, scìla e fümm, abracadabra e incensi cul prufümm,.
Sciguèta imbalsamada e un basilisco disegnà sura una spada.
Abraxas Xabaras e vèss o mea vèss… “
Qualcuno deve spiegarmi qual è il significato della reliquia nel 2011. Il dizionario Garzanti la definisce come “corpo o parte del corpo o oggetto che sia appartenuto a un santo o a un beato e del quale la chiesa abbia autorizzato il culto pubblico”. Oggi la Sala stampa vaticana ha reso noto che ”la reliquia che verrà esposta alla venerazione dei fedeli in occasione della Beatificazione del Papa Giovanni Paolo II è una piccola ampolla di sangue, inserita nel prezioso reliquiario fatto preparare appositamente dall’Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice”.
Mi risulta che di fatto la Chiesa sostenga l’iconoclastia, cioè che non ammetta la venerazione delle immagini. Riserva tuttavia un trattamento diverso per le reliquie dei santi e dei beati. Di queste è infatti ammesso il culto, perché l’efficacia del miracolo o della grazia richiesta non sarebbe riposta nella reliquia stessa, ma nella preghiera che la reliquia aiuta ad esprimere. Un cavillo giuri-spirituale piuttosto criptico e astruso.
A me sa di strumentale, di contradditorio. E mi ha fatto pensare al libro “I pilastri della terra”, alla curiosa vicenda del cranio di Sant’Adolfo, ben custodito per attirare fedeli da ogni parte del regno.
Uomini e donne di molta fede, lo dico senza polemica e con molta curiosità: spiegatemi con calma qual è il senso di venerare un’ampolla di sangue.
Bando alle Ciancy
Se fosse vero, come sembra essere vero, che il cosiddetto Ciancimino Junior ha falsificato il pizzino del padre, per aumentare la potenza della macchina del fumo, allora verrebbe meno tutta la credibilità del personaggio. Vale la regola che chi lucra una volta, lucra per sempre.
Se fosse vero che il pizzino è stato manomesso, allora qualcuno dovrebbe chiederci scusa. Chi ce l’ha propinato come il “testimone scomodo”, come la “voce della coscienza”, come l’”arcangelo dell’annunciazione”, forse dovrebbe dare delle spiegazioni.
Sarò in controtendenza (d’altronde questo blog non ha colore), ma l’investitura e l’apologia fatte e perpetrate da Santoro e Travaglio, meritano delle spiegazioni. Nella migliore delle ipotesi si sono fidati ciecamente di un mascalzone. Una colpa grave anche per il migliore dei giornalisti.
Livello sette
sette cani neri, come pensieri;
e le loro donne, hanno sette gonne,
sette gli stallieri, amati ieri;
suona cupo il corno, manca un dito al giorno”
(R. Vecchioni – Sette meno uno)
La catastrofe di Fukushima ha raggiunto il livello 7. Come direbbe Cirri, “oltre c’è solo l’Armageddon”.
Non sapremo mai come stanno realmente le cose, ma assimilando quello che ufficialmente ci raccontano… siamo ai livelli di Chernobil. Intanto dovrebbero spiegarci come si passa da livello 5 a livello 7, senza passare dal 6 (interrogativo che mi ponevo spesso già al ginnasio, alla fine dei trimestri riguardando lo score del greco scritto).
Nonostante tutto, riusciamo ancora a sbattercene allegramemte le scatole perché alla fin fine il Giappone si trova dall’altra parte del mondo.
Sarebbe bello che con un referendun imminente, il Parlamento dibattesse appieno sull’argomento “nucleare”. Vorrei che mi spiegassero chiaramente i pro e contro, che si andasse al di là dei preconfezionati: “no, non serve perché hai visto in Giappone cos’hanno combinato?” o “le centrali moderne non sono mica come quelle di quarant’anni fa”.
Vorrei che scorressimo le settimane e le prime dei giornali parlando del nucleare alle porte e non del processo breve.
Da dà da’
Qualcuno mi ha chiesto più volte di curare una rubrica di grammatica su questo blog. Non ne ho le competenze e neppure l’autorità, anche se spesso gli strafalcioni della vita quotidiana risvegliano fortemente la tentazione di bacchettare e di intervenire con la matita rossa e blu.
La settimana scorsa ho preso il treno per Milano. All’interno delle vetture scorre un’invadente scritta luminosa: “Trenitalia vi da’ il benvenuto”. Ormai siamo abituati e non ce ne accorgiamo: da’, con l’apostrofo, invece del corretto dà, con l’accento. Quisquiglie? Non tanto.
L’utilizzo dell’apice in luogo dell’accento nasce con l’informatica, all’epoca del primo codice ASCII del 1963. Tra i 128 caratteri decodificabili a quel tempo da ogni computer, non erano compresi i segni diacritici (cioè gli accenti, le dieresi, etc.). Un carattere “estraneo” ai 128 standardizzati poteva non essere riconosciuto da tutti i computer: da qui la necessità di utilizzare l’apostrofo al posto dell’accento.
Oggi siamo nel 2011 e non c’è computer che non riconosca la “à” accentata. Ma l’aggravante è che la confusione tra apostrofo e accento, che nasce come detto dai limiti del linguaggio informatico, ha ormai permeato tutti gli strati della comunicazione. Non è difficile imbattersi in appunti annotati scorrettamente o in avvisi balordamente scritti a mano. L’Accademia della Crusca sentenzia: “Bisognerebbe ricordarsi che questo peculiare costume linguistico ha una ragione di esistere solo in un suo contesto specifico (quello informatico, n.d.r.): se “esportato” da tale contesto, non diventa altro che una marca di pressappochismo”.
1° d’aprile
“Non spiace di morire a chi vive tre bei mesi d’Aprile”
(Proverbio popolare)
Primo aprile. Ogni anno il primo aprile mi sveglio con due pensieri fissi: il terrore di subire uno scherzo, il desiderio di fare almeno uno scherzo.
Non posso raccontare pubblicamente e minuziosamente gli scherzi più belli fatti negli anni passati, perché non sarebbe prudente, ma molti conoscono “quello delle galline” e “quello dell’acqua”.
Quest’anno, ho visto che in una mail tra colleghi si metteva in vendita il motore perfettamente funzionante di una vespa 150, al prezzo di 150€. Ho risposto che mettevo in vendita il telaio di una vespa 150 priva di motore, a 100€. Ho allegato anche le foto di una vespa perfetta, completa di ruote, carrozzeria brillante e documenti validi (il valore minimo poteva essere di 5000€). Un affarone!
Hanno abboccato in due e uno era il proprietario del motore. Poca cosa, ma anche quest’anno il mio dovere l’ho fatto.
Il mal d’Africa compie cent’anni
ed era come un mal d’Africa”
(F. Battiato – Mal d’Africa)
1911: l’Italia di Giolitti dichiara guerra all’Impero Ottomano (Guerra Italo-Turca) per ottenere il controllo della Libia con la pace di Losanna. Fino agli anni trenta, gli italiani combattono, uccidendo un ottavo della popolazione libica (da wikipedia).
Scrive Gramellini che nella conquista della Libia “la propaganda aveva insistito sul fatto che le popolazioni indigene attendevano gli Italiani a braccia aperte, quali agognati liberatori dal malgoverno”.
2011: L’Italia è ancora lì e si proclama in primissima linea per la liberazione del popolo libico. Sono passati cento anni, ma non siamo guariti dal mal d’Africa. La differenza è che ora mandiamo avanti gli aerei canadesi a fare il lavoro sporco. Troppo furbi.
(Pre)giudizi su Radio Londra
(uno dei tanti messaggi in codice dell’originale Radio Londra)
Io sono uno che analizza le cose sempre partendo dai pregiudizi. Non dite che è sbagliato, sarebbe un giudizio avventato e precipitoso… cioè un pre-giudizio).
Questa volta ho fatto un’eccezione e ho guardato la trasmissione Radio Londra di Giuliano Ferrara, senza pensare che a parlare sarebbe stato Giuliano Ferrara. Al di là del fatto che nella fascia oraria dopo il tg della sera farei audience anch’io imitando Al Bano, ascoltarlo è imbarazzante. Ieri ci ha fatto la morale sui giudizi che diamo della “persona” Ruby, sul presunto puritanesimo che sarebbe in procinto di infestare l’opinione pubblica.
Ripercorro l’essenziale biografia politica di Giuliano Ferrara (da wikipedia).
Figlio di un senatore comunista (direttore de l’Unità e presidente della Regione Lazio) e di una partigiana gappista a lungo segretaria particolare di Togliatti, Giuliano – che, iscrittosi all’università, non terminò gli studi – si avvicina alla politica da contestatore sessantottino. Ha partecipato agli scontri di Valle Giulia.
Nel 1973, nel Partito Comunista Italiano di Torino, è responsabile del coordinamento provinciale Fiat. Nel dicembre 1980 diventa capogruppo comunista nel consiglio comunale di Torino. Lascia il partito nel 1982. Nel 1985 viene avvicinato dal Partito Socialista Italiano tramite Claudio Martelli. Negò le voci di un suo approdo al PSI, ma al tempo stesso ci tenne a ribadire che considerava “le scelte di fondo di Craxi e dei socialisti come le più giuste per il Paese e per la sinistra”. Nel 2003 Ferrara ha dichiarato di essere stato confidente retribuito della CIA. Taluni ritengono dubbia la veridicità di questa dichiarazione e sostengono che sia stata rilasciata da Ferrara per attrarre l’attenzione su di sé.
Dalla Rai si trasferisce a Mediaset, dove conduce su Canale 5 Radio Londra, L’istruttoria e Il gatto, da cui, dopo lo scoppio dello scandalo politico-giudiziario Tangentopoli, esprime le sue posizioni critiche nei confronti delle inchieste della magistratura. Nel 1992 idea la trasmissione Lezioni d’amore, incentrata sul sesso. Dopo alcune puntate il programma viene interrotto per le pressioni di alcuni deputati.
In occasione delle Elezioni europee del 1989 viene eletto europarlamentare del PSI.
Con l’ascesa di Silvio Berlusconi e di Forza Italia, Ferrara decide di lasciare, assieme a molti compagni di partito, un PSI ormai in disfacimento. Diviene Ministro per i rapporti con il Parlamento del primo governo Berlusconi.
Candidato per Forza Italia e la Casa delle Libertà alle elezioni politiche suppletive del 9 novembre 1997, viene sconfitto da Antonio Di Pietro.
Con gli eventi dell’11 settembre 2001 le sue posizioni politiche e ideali hanno una svolta antilaicista e socialmente conservatrice: pur essendo dichiaratamente un non cattolico, inizia a sostenere la necessità del rafforzamento dei valori giudaico-cristiani come baluardo dell’Occidente di fronte al pericolo crescente dell’estremismo islamico. Viene definito da Eugenio Scalfari un “ateo devoto”.
Il 7 luglio 2006 viene condannato in primo grado per diffamazione ai danni di alcuni giornalisti e al risarcimento di 135 mila euro.
A metà dicembre del 2007, durante la trasmissione Otto e mezzo propone una moratoria universale sull’aborto. Ha riconosciuto che attorno ai vent’anni, tre sue partner ricorsero all’aborto. Ferrara, a proposito di questi aborti, ha dichiarato: “Io sono stato per tre volte un mascalzone e un peccatore. Tre bambini non sono nati perché le loro madri hanno rifiutato la maternità ed io mi sono voltato dall’altra parte. Questo è indegno”.
Preferirei continuare a pensare a Ferrara come alla copia grassa di Jovanotti.
Ha ancora senso parlare di nucleare?
“Terremoto di fiori e sangue,
non è la fame ma l’ignoranza che uccide”
(Litfiba – Dimmi il nome)
Quello che è accaduto in Giappone è più simile all’apocalisse che ad un terremoto. Le immagini che girano in rete o nei tg sembrano edizioni speciali di Real tv, più che reportage dall’Asia. E come se non bastassero la devastazione del terremoto e quella dello tsunami, ecco arrivare anche l’incidente alla centrale nucleare di Fukushima.
Su queste cose i Giapponesi non sono scemi. Se hanno costruito una centrale nucleare in territorio sismico (ne hanno una cinquantina), significa che avevano tutte le garanzie e le certezze del caso. Invece…
Mi auguro che questa sciagura contribuisca alla riflessione sul nucleare in Italia, visto che i favorevoli propinano da anni l’assoluta sicurezza degli impianti moderni.
Arianesimo culturale
(D. Van De Sfroos – La curiera)
E i passeggeri sotto il sole, la signora Rosa con suo nipote. E la turista che non capisce nulla e i bambini che fanno troppo chiasso… Ma guarda un po’ che fiera… tutti sulla corriera!
Pochi giorni fa l’amministrazione di una città tedesca ha deciso di collocare sui bus pubblici alcuni scaffali di libri, per la lettura dei passeggeri. Il viaggiatore sale, si siede, prende un libro e se lo legge. Quando termina il tragitto può riporlo nello scaffale, oppure portarlo a casa per finire la lettura e riconsegnarlo nel prossimo viaggio, magari su un bus diverso. L’amministrazione, che già mette in conto la perdita di qualche volume, acquista a titolo gratuito i libri, in cambio di pubblicità alla casa editrice. Si chiama senso civico. In Italia sarebbe impensabile. Innanzitutto perché le amministrazioni locali che possono offrire pubblicità gratis non esistono. In secondo luogo perché gli italiani non leggono i libri. E infine perché l’avventore italico, che a malapena sa leggere il suo nome, si ruberebbe anche i fratelli Karamazov in lingua originale, pur di fregarsi qualcosa in barba al pubblico. Sono inflessibili, freddi, rigorosi. Discendono dai vichinghi e non da greci. Mangiano solo wurstel e patate. Ma per educazione civica sono esseri superiori.