Archive for category Attualità

Barbero è champagne

Barbera e champagne, stasera beviam
per colpa del mio amor, pa ra pa pa
per colpa del tuo amor, pa ra pa pa.
Ai nostri dolor insieme brindiam
col tuo bicchiere di barbera
col mio bicchiere di champagne.”

(G. Gaber – Barbera e champagne)

Una delle mie passioni è avere i libri autografati dagli autori. Festivaletteratura permette anche di dare sfogo a questa mia ossessiva ricerca. Ieri l’incontro con Alessandro Barbero (ricordate? Il professore di storia che appare a Superquark) è stato divertente.

Mi avvicino a lui prima dell’incontro pubblico sul tema “Costantino il Grande”. È una prassi che utilizzo sempre: prima che inizi la conferenza non c’è quella ressa che fa firmare i libri nel canonico momento del “dopo”, ed in genere gli autori sono più propensi alla conversazione se non sono incalzati dalla coda di pubblico. Chiedo al moderatore che dirigerà l’incontro se posso parlare col professore. Mi dice di no, che i libri si firmano dopo. Però Barbero è lì, quindi faccio lo gnorry e gli rivolgo la parola direttamente.

Io: “Buonasera professore, mi firmerebbe il libro?” (e gli porgo una copia di “La battaglia. Storia di Waterloo”).

Barbero: (ricevendo il libro) “Certo. Il suo nome?

Io: “Eh. Silvio… purtroppo”.

Barbero: (sorridendo e facendo una breve pausa) “Sto pensando a una battuta da scriverle, che si riferisca al suo nome. Ma non ce la faccio, sono troppo stanco”.

Io: “Non si preoccupi…per la collezione vale anche solo la firma

Barbero: (autografando il libro) “Comunque stia tranquillo, vedrà che il suo nome ritornerà in auge”.

Io: “Speriamo. Certo che eravamo partiti da Silvio Pellico e ci ritroviamo…”

Barbero: “… con Berlusconi! Comunque non creda che Silvio Pellico sia stato chissà che. Oddio… in effetti era meglio di Berlusconi”.

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North face

“Siamo ciò che vogliamo”

(T. Kurz – North Face)

Ieri mi è capitato di vedere il film North Face, di Philipp Stölzl. Una storia vera accaduta nel 1936, un po’ verosimile, un po’ romanzata… Al di là del film in sé, gradevole e avvincente ma non trascendentale, mi ha colpito la storia vera , dal quale è tratto. Non serve avere la passione della montagna (anche se aiuta) per rimanere affascinati da questa vicenda tragica e grottesca allo stesso tempo.

Ve la copio da wikipedia, rinunciando a parafrasarla inutilmente.

Nel 1936 Kurz e Hinterstoisser stavano prestando il servizio militare presso il 100° Jäger-Regiment a Bad-Reichenhall. Nel luglio del 1936, ottenuta una licenza, i due si recarono in Svizzera, dove intendevano tentare la prima salita della parete nord dell’Eiger, all’epoca ancora inviolata, e considerata “impossibile”. La parete veniva considerata talmente pericolosa che un comunicato del Comitato Centrale del Club Alpino Svizzero riferiva che le guide non dovevano sentirsi obbligate ad andare in soccorso di chi si fosse trovato in condizioni critiche sulla parete. Venuto a conoscenza delle loro intenzioni, il loro comandante, il colonnello R. Konrad, a sua volta alpinista esperto, telefonò a Grindelwald per vietare loro il tentativo, ma i due avevano già lasciato la tenda per avvicinarsi alla parete. I due attaccarono la parete il 18 luglio, insieme alla cordata austriaca formata da Edi Rainer e Willy Angerer; le due cordate salirono separate fino alla “grotta del bivacco”, dove si unirono. I quattro alpinisti non seguirono la via tracciata dai loro predecessori, ma si tennero più a destra, fino ad arrivare ad un punto dove dovevano traversare verso il cosiddetto “primo nevaio”. Il traverso fu superato da Andreas Hinterstoisser, presto seguito dai compagni; i quattro ritirarono la corda e proseguirono. All’altezza del “primo nevaio” la coppia austriaca cominciò a muoversi molto lentamente: Angerer era stato infatti colpito alla testa da una pietra, ed aveva difficoltà di movimento. I quattro bivaccarono tra il primo ed il secondo nevaio. Il 19 luglio i quattro si misero in movimento piuttosto tardi, e continuarono a muoversi insieme, ma molto lentamente. In serata giunsero poco sotto il “bivacco della morte”, dove si fermarono per la notte. Il 20 luglio di nuovo si misero in movimento molto tardi; Angerer non poteva proseguire, così i quattro cominciarono a ridiscendere. Sempre molto lentamente, attraversarono a ritroso il secondo nevaio, scesero al primo nevaio, e qui si fermarono per la notte. Il 21 luglio Angerer era quasi impossibilitato a muoversi, ed il tempo stava rapidamente peggiorando. I quattro scesero all’altezza del traverso percorso il primo giorno, ma non riuscirono a percorrerlo a ritroso, nonostante i numerosi tentativi di Hinterstoisser. Durante i tentativi, furono contattati da uno dei guardiani della Jungfraubahn, attraverso la finestra che si apre sulla parete nord; i quattro riferirono di essere in buone condizioni e di non aver bisogno di aiuto. Non potendo ridiscendere per la via di salita, decisero di calarsi in verticale, con una serie di discese in corda doppia, fino a raggiungere un sistema di cenge che li avrebbe condotti alla finestra della ferrovia, dove sarebbero stati in salvo. La discesa avrebbe però dovuto svolgersi su una linea molto esposta a valanghe e scariche di pietre, mentre il tempo continuava a peggiorare. Mentre stavano preparando una discesa, i quattro furono investiti da una valanga. Andreas Hinterstoisser era slegato dagli altri, e fu trascinato via dalla valanga. Gli altri tre erano legati tra loro, con la corda passante in un chiodo fissato alla parete, ma non riuscirono a tenersi. Angerer e Kurz caddero lungo la parete, mentre Rainer fu trascinato verso monte dalla caduta dei due e schiacciato violentemente contro la parete. Angerer sbatté contro la parete e morì sul colpo; Rainer morì in pochi minuti. Kurz sopravvisse, e rimase appeso alla corda tra i due compagni morti, invocando aiuto. Le sue grida furono sentite dal guardiano della ferrovia, che chiamò i soccorsi a valle. Una squadra di soccorso composta da Hans Schlunegger e dai fratelli Christian e Adolf Rubi lasciò Grindelwald e, su un treno speciale messo a disposizione dalla Jungfraubahn, si recò alla finestra della galleria, da cui salì sulla parete. I tre riuscirono a raggiungere un punto a circa 100 m sotto Kurz, ma non poterono andare oltre, a causa delle pessime condizioni del tempo e della parete; dovettero dunque dire a Kurz che sarebbero tornati il giorno dopo, nonostante le disperate grida d’aiuto di Toni. Il giorno seguente, 22 luglio, la squadra di soccorso, a cui si era aggiunto Arnold Glatthard, tornò sulla parete, e, grazie anche alle migliorate condizioni del tempo, riuscì a raggiungere un punto a soli 40 m da Toni Kurz. Questi era sopravvissuto alla notte all’aperto; aveva però perso il guanto sinistro, e il suo intero braccio sinistro era bloccato per il congelamento. La squadra non poté però salire più in alto: la parete era estremamente liscia ed aggettante, e per di più coperta di ghiaccio. L’unica possibilità per Toni Kurz era quella di scendere con le sue forze fino all’altezza dei soccorritori. Kurz riuscì a tagliare la corda che lo legava alla salma di Angerer, e risalì al terrazzino di partenza, dove liberò il resto della corda. Poiché questa era troppo corta per raggiungere i soccorritori, cominciò a separarne i trefoli. Dopo cinque ore di lavoro, Kurz riuscì a legare insieme i tre trefoli, ed a calarli fino ai soccorritori; questi legarono al cordino una corda intera e del materiale da armo (martello, chiodi, moschettoni); poiché però non avevano una corda di lunghezza sufficiente, legarono insieme due corde. Kurz recuperò la corda, la fissò alla parete, e cominciò a scendere, dopo aver fatto passare la corda in un moschettone fissato ad un anello di cordino intorno al suo corpo. Superato un tetto aggettante, scese nel vuoto per un tratto, ma quando incontrò la giunzione delle corde dovette bloccarsi: il nodo infatti non passava attraverso il moschettone. Kurz tentò disperatamente di far passare il nodo, di scioglierlo, di passarvi sotto, continuamente spronato dalla squadra di soccorso, ma inutilmente. Dopo parecchi tentativi, infine, Kurz disse a voce chiara e ben discernibile: “Ich kann nicht mehr” (“non ne posso più”), e si lasciò andare. Morì da lì a poco.

Io stanotte c’ho pensato parecchio e quel Kurz è diventato un po’ il mio idolo. Penso che mi leggerò qualcosa.

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La banale scelta del nome

È buffo. L’uragano che sta per arrivare a New York lo hanno chiamato Irene. Irene però deriva dal greco “Eirene”, che significa pace. E di solito un urgano di pacifico non ha assolutamente niente. Insomma, dal terrore all’errore. Eufemismo e ironia anglosassone? No, è solamente ignoranza americana.

L’episodio però mi ha ricordato una celebre banca italiana, di una celebre città di mare. Per un importante progetto che la riguarda, ha scelto il nome di Cassiopea, rifacendosi alla prestigiosa costellazione. Gli ignari bancari non sapevano, evidentemente, che prima di essere una costellazione Cassiopea era una divinità greca. La stessa che per essersi vantata di essere la più bella delle nereidi, sollevò la collera di Poseidone, dio del mare, il quale scatenò una devastazione (sarà stato un uragano?). Niente di che, solo che se lavorassi in una città di mare, eviterei di chiamare un progetto con quel nome.

Non credo affatto alla superstizione, ma queste contraddizioni semantiche sono piuttosto fastidiose.

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Scemo chi legge

Quelli che hanno letto un milione di libri,
e quelli che non sanno nemmeno parlare

(F. De Gregori – La storia)

Questa volta la storia mi era sfuggita. Mentre scorrazzavo ignaro e assorto nelle lande teutoniche, il Senato approvava in via definitiva un decreto truffaldino e dunque taciuto.

Dal primo settembre entra in vigore una norma che vieta gli sconti superiori al 15% sul prezzo dei libri. Esatto, avete capito bene. L’articolo 1 sancisce per tutti i venditori, siano essi librerie, supermercati o siti internet, il divieto di praticare sconti sul prezzo di copertina del libro superiori al 15%. Insomma, da settembre non potremo comprare libri scontati, perché su tutto il territorio nazionale i prezzi saranno pieni, o quasi. Abolite le piacevoli ricerche nei cassoni dell’Iperfamila, soppressi gli ordini giovevoli su Ibs, assassinate le gustose ricerche tra le bancarelle delle sagre paesane. Le uniche eccezioni sono rappresentate: da campagne promozionali con sconti entro il 25% e in periodi non superiori al mese (e comunque non in dicembre); dalla facoltà di applicare sconti entro il 20%, in occasione di particolari eventi o manifestazioni. Restano poi fuori dalla norma libri d’arte, libri antichi, libri usati e remainders.

Dunque la regola della libera concorrenza in questo ambito non vale più. Un po’ come se si decidesse che la benzina non può costare meno di un euro e mezzo a litro o che la pizza deve costare dappertutto almeno otto euro. Saranno affari del commerciante, decidere fino a quale prezzo conviene vendere per non rimetterci. O no?

Si badi bene, non è solo colpa della Mondadori e del Governo finto- liberista. La legge, proposta da un galoppino del Pd, è stata votata da tutti. “Aiuterà la piccola editoria”, dicono. Ma allora perché non radere al suolo i centri commerciali, che sfavoriscono i piccoli negozietti di alimentari? Solo i Radicali si sono accorti che il provvedimento sancisce la corporazione e il protezionismo di cartello degli editori, dando un calcio in culo ai consumatori. Sono contento per la mia amica Elsa, che avrà più utenti nella nostra biblioteca. Ma sono schifato per la considerazione che questa classe politica ha della cultura. A Natale regalerò solo grandi paia di mutande.

Incentivo governativo

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Campa cavallo

Dategli, dategli un animale
figlio del lampo, degno di un re.
Presto, più presto, perché possa scappare,
dategli la bestia più veloce che c’è

(R. Vecchioni – Samarcanda)

Federica Pellegrini mi è simpatica come la sabbia che ti ritrovi nelle mutande, quando ti rigiri nel letto per la siesta pomeridiana, nelle caldi estati al mare. È qualcosa che va ben oltre il prurito.

Tuttavia, in questi giorni sono assolutamente solidale con lei. Gli animalisti le hanno imposto la gogna, rea di aver presenziato al Palio di Siena.

Echissenefrega? Le bestie sono bestie, non persone. E il Palio ha tutte le ragioni per continuare, non è un sanguinario combattimento di cani, né la feroce mattanza dei tonni. È solo una gara.

Fossi in lei mi farei fotografare al tavolo di un bel locale toscano, con una gustosa scottona di cavallo nel piatto.

Una succulenta gastronomia/macelleria senese, che ho ritratto nel 2009

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Targhe eterne?

Se avete una vespa 50, oppure un normale ciclomotore, con immatricolazione precedente al 2006, sappiate che va sostituita la targa. Il decreto è di quest’anno e le scadenze per la sostituzione sono già definite da tempo, in base ai numeri iniziali degli attuali targhini (quelli a trapezio):

–         entro il 1/6 per i possessori delle targhe che iniziano per 0, 1, 2;

–         entro il 31/7 per i possessori delle targhe che iniziano per 3, 4, 5;

–         entro il 29/9 per i possessori delle targhe che iniziano per 6, 7, 8;

–         entro il 28/11 per i possessori delle targhe che iniziano per 9, A.

La procedura non è complessa, ma se la si conosce si evitano ricicli inutili in Motorizzazione, che già andarci una volta fa venire la borsite fulminante.

Occorre ritirare in Motorizzazione il modello TT2118 (diverso dal TT2120 riservato alle agenzie di pratiche auto) e compilarlo con i dati personali e con quelli del ciclomotore. Il modello si può scaricare anche da internet, in rete si trova agevolmente.

Sempre in Motorizzazione bisogna ritirare tre bollettini e provvedere al pagamento:

–         di 9 euro sul c/c n° 9001 intestato a: Dipartimento Trasporti Terrestri – Diritti – Roma – (per i diritti alla Motorizzazione Civile);

–         di 29,24 euro sul c/c n° 4028 intestato a: Dipartimento dei Trasporti Terrestri – imposta di bollo – Roma – (per l’imposta di bollo per la reimmatricolazione);

–         di 12,92 euro su c/c n° 121012 intestato: Sezione Tesoreria dello Stato di Viterbo – (per l’acquisto delle targhe del veicolo).

Compilato il modulo e pagati i bollettini, occorre presentare allo sportello:

–         tre ricevute dei bollettini;

–         documento d’identità e fotocopia;

–         fotocopia del codice fiscale;

–         libretto originale del mezzo;

–         fotocopia del libretto del mezzo;

–         se si esegue la pratica per conto terzi, il modulo di delega firmato dal proprietario (ritirabile sempre presso la Motorizzazione) e ovvimente tutti i documenti precedenti riferiri al proprietario e al suo ciclomotore

Così facendo ve la cavate con circa 56 euro e qualche imprecazione durante la coda negli uffici della Motorizzazione. Le agenzie ne chiedono 120-130.

Prima non c’era la targa, poi il targhino piccolo, adesso la targa grande. Ora spero di essere a posto per sempre.

Il ddl prevede comunque multe dal 13 febbraio 2012 e le sanzioni vanno da 89 a 1559 euro. Quasi come l’omicidio di primo grado.

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Fedele ai principi

 “Semper fidelis”
(motto dei Marines americani)

 

Padre Fedele è stato condannato a 9 anni di carcere per aver stuprato una suora. Scontata e banale la sua replica dopo la sentenza. Come tutti i condannati, ha strillato al complotto. Si sono viste congiure contro i regnanti, agguati contro i politici, cospirazioni contro i governanti scomodi, ma mai complotti per destituire un frate. Questo sarebbe il primo caso, anche se rimarrebbe un mistero il movente di un simile atto. Non entro nel merito della vicenda, giudiziaria prima ed etica poi, che nella migliore delle ipotesi disegna un personaggio inquietantemente immondo. Se l’epilogo di tutto ciò non fosse tragico, questa circostanza sarebbe senz’altro comica e vernacolare. Padre Fedele, oltre ad essere un frate e un amante del genere femminile, è stato anche un ultras del Cosenza. Mi ha fatto letteralmente morire lo striscione che gli dedicarono i tifosi rivali della Reggina, durante un derby calabro ai tempi dell’imputazione. Perdonate la caduta di stile, ma lo trovo irresistibile.

 

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Vince sempre l’allenatore

Al termine dell’amichevole Irlanda – Italia, il Trap risponde alla domanda sull’ennesimo scandalo del calcio italiano: “Gli italiani vogliono avere l’uovo e la gallina col culo caldo, ma la gallina, fatto l’uovo, dice coccodé e se ne va“.

Gli aforismi senza tempo del grande Giuàn sono sempre spassosissimi. Alla radio ho sentito però mettere in dubbio il significato attribuito dal Trap a questa espressione. Un ascoltatore sosteneva che “uovo, gallina e culo caldo”, che si usa per indicare una persona che vuole tutto, senza rinunciare a nulla e senza scomodarsi troppo, si riferirebbe solamente all’individuo. A suo dire indicherebbe che il padrone della gallina vuole l’uovo, vuole la gallina e vuole rimanere immobile… col culo caldo.

In realtà non è proprio così. L’interpretazione corretta è quella di Trapattoni, che rimanda alla persona che vuole l’uovo, la gallina e magari anche il culo caldo della gallina stessa, che ha appena fatto l’uovo. Il proverbio è veronese, ma ne esiste una versione pisana pressappoco analoga: “volè l’ovo ‘n culo alla gallina”.

Trap – saccentichetelefonanoindirettaradio 1 – 0.

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È qui la festa?

Il Presidente Napolitano che applaude i soldati ai Fori Imperiali, un giorno di ferie perché le scuole e le aziende sono chiuse. È tutta qui la Festa della Repubblica?

Il 2 giugno, alle finestre di casa mia non sventola il tricolore, ma la logora bandiera del Milan. Non parteciperò ad alcuna manifestazione, pur gradendo la disponibilità del giorno di ferie.

Un tempo aveva senso, forse, festeggiare la Repubblica che portò la democrazia dopo il regime e il voto alle donne. Oggi ha senso, forse, ricordare quella fase della nostra storia, in bilico tra libertà e oppressione. Di più non mi viene in mente.

Non trovo nulla da celebrare. Non rimpiango i costumi e i personaggi della Prima Repubblica, e disconosco quelli della Seconda. Chi prese parte alla Costituente, chi rifondò il sistema politico-istituzionale del secondo dopoguerra, aveva in mente uno Stato diverso, certamente migliore. Ma così non è stato. Festeggiare, oggi, mi appare amaramente fuori luogo.

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La caduta del Golden Boy

“Gli diedero dell’abatino, per irriderne la modesta costituzione fisica e discuterne quella morale”

(G. Tosatti – Tu chiamale, se vuoi, emozioni)

 

Rivera è stato un numero 10 perfetto: fragile ma tecnico, pigro ma magico, criticato ma vincente. Ha vinto tutto, e tutto è stato detto sul suo conto. Ha fatto parlare di sé dentro e fuori dal campo, per tanti anni, come si addice ad un perfetto numero 10 che si rispetti.

Nella sua ultima sfida Rivera ha raddoppiato, passando dal numero 10 al numero 20. Candidato in una lista minore alle comunali di Milano, il Golden Boy ha raggranellato solo 20 preferenze in tutta la città di cui è stato eroe. Mi fa malinconicamente sorridere il pensiero che probabilmente 20 preferenze non gli sarebbero bastate nemmeno per entrare al Consiglio Comunale di Volta Mantovana.

Continua Tosatti nel suo identikit ormai datato: “Il calcio lo ha arricchito, ma ne ha pesantemente condizionato l’esistenza: oggi magari vorrebbe essere meno ricco, meno saggio, meno famoso, meno prigioniero di un mestiere che non gli concede riposo e gli ha tolto troppo presto un po’ di spensieratezza”.

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