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Lode al funzionario
Se parliamo così, siamo certo un paese con un grande passato.
È il futuro che mi preoccupa”
(C. Cottarelli)
Secondo uno studio OCSE del 2019, che contiene le statistiche più attendibili sull’argomento, il 28% della popolazione italiana tra i 16 e i 65 anni è analfabeta funzionale. “L’analfabetismo funzionale è la condizione di una persona incapace di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere da testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità“. L’analfabeta funzionale sa leggere e scrivere, ma non è in grado di comprendere adeguatamente un testo mediamente complesso.
Certamente contribuiscono a questo drammatico trend anche i burocrati ed i legislatori, che quasi quotidianamente sfornano testi ed espressioni indecifrabili anche agli addetti ai lavori. Qualche giorno fa, paradossalmente proprio nell’ambito della legiferazione scolastica, si è ricorsi all’espressione del distanziamento tra le “rime buccali”. Parrebbe la solita autoimplosione della burocrazia statale, più impegnata a conservare il proprio ruolo che a farsi capire. L’ennesima autorete delle istituzioni, ingessate nel loro rigido ed incomprensibile gergo e refrattarie a qualsiasi evoluzione comunicativa.
Tuttavia le “rime buccali” hanno spinto centinaia di persone a cercarne il significato sul dizionario. Il colto funzionario che ha partorito la curiosa espressione, e le innumerevoli schiere di amanuensi pigri che l’hanno tacitamente copiata, hanno spinto molti di noi ad indagare, fare ricerca, porsi domande e trovare risposte. Paradossalmente, questa scelta di rigida e serrata comunicazione ci ha costretto a studiare un po’ di più, riducendo un poco il nostro analfabetismo funzionale.
Io consumo italiano
“La folla grida un mantra, l’evoluzione inciampa”
(F. Gabbani, Occidentali’s Karma)
Ci sono cose nella vita che non tutti riescono a capire fino in fondo. Esistono dei dogmi, che si ripetono e si trasmettono meccanicamente, a cui la ragione non sempre sa dare risposte soddisfacenti. Religiosi mantra che la gente consuma e diffonde, senza riuscire mai a giustificare e a comprendere pienamente.
Per esempio. Io non capisco perché nei momenti di crisi economica bisogna preferire i consumi di prodotti e servizi erogati da aziende italiane. Il sottile sottointeso sta in un fantomatico spirito di fratellanza, che fatico a definire patriottico, secondo cui “siamo italiani, quindi aiutiamoci innanzitutto tra di noi”. “E perché mai?”, è la mia sguarnita domanda.
Perché devo preferire il sostegno economico ad un italiano e non ad uno spagnolo? Cos’hanno i due di diverso? Forse perché sono italiano anche io? E quindi, cosa significa?
C’ho pensato a lungo e l’unica risposta sensata che mi è venuta in mente è che supportare prima di tutto l’economia italiana significa autosostenere la macchina dello stato che ti eroga i servizi: meglio reggere la mano che ti sfama, che quella che sfama le altre nazioni. Forse è davvero questa l’unica risposta. Ma se fosse così, non sarebbe più una motivazione filantropica verso i propri connazionali. Non sarebbe un “amore di patria”, volto ad aiutare i conterranei più deboli. Sarebbe solo un modo elegante per giustificare il proprio tornaconto personale: preferisco pagare chi mi può “ritornare” qualcosa. Se è davvero così, significa che non compio un gesto in favore di un altro (italiano), ma lo compio per me. Una motivazione più che lecita, che ci sta, per carità. Però è giusto dirlo, ammetterlo, saperlo.
La sfida nella sfiga
Posted by Giullare in Attualità, Cose di paese on 17 aprile 2020
“Le sfide nella vita ti aiutano a scoprire chi sei”
(B. J. Reagon)
Una volta eravamo un popolo di allenatori di calcio. Poi col tempo ci siamo evoluti, passando da sismologi e costituzionalisti a virologi ed economisti, con una velocità impressionante. La vicenda degli arresti domiciliari imposti dal Covid-19, infine, ci ha trasformato tutti quanti in esperti sociologi. Sappiamo esattamente come funziona il mondo e prevediamo alla perfezione la direzione che prenderà la società negli anni futuri. È unanime la sentenza secondo cui “questa esperienza cambierà per sempre la nostra esistenza”.
La sfida della quarantena, o comunque del virus in generale, racchiude in sé una miriade di altre sfide intrinseche. L’arrivo di difficoltà economiche, il cambiamento di abitudini, la trasformazione dei nostri rapporti sociali e… molto altro ancora. Sfide nella sfida, o sfide nella sfiga, a seconda dei punti di vista.
Pensando al nostro piccolo paesello di provincia, mi incuriosisce scommettere sulla crescita delle consegne a domicilio. Settemila anime abituate da sempre a recarsi nei negozi, senza nessuno esercizio che effettui recapiti a casa. La prima ed unica pizzeria con consegna espressa a Volta Mantovana ha giusto un paio d’anni. Prima di essa, il nulla assoluto.
In questi giorni abbiamo giocoforza assistito all’evoluzione delle specie “negozio”: per necessità i ristoranti e gli alimentari si sono reinventati fattorini e pony express. Ma si tratta di un fuoco di paglia, necessario a tamponare l’emergenza di qualche mese, o di una vera e propria riorganizzazione dei servizi? La risposta sta evidentemente nella durata dell’isolamento.
Per il nostro paese rimane comunque un duello intrigante, tra l’evoluzione di un intero settore commerciale e la sua definitiva condanna al provincialismo.
M.
“Non è il morire che ci spaventa, è questo non vivere che ci esaspera”
(A. Scurati, M. Il figlio del secolo)
Solitamente non consiglio libri a nessuno.
I libri, un po’ come le cravatte, si basano esclusivamente sui gusti personali e sullo stato d’animo del momento. Non esistono libri o cravatte adatti a tutti. Non esistono libri o cravatte che possano prescindere dalle situazioni o dai momenti della vita.
Poi suggerire i libri è un po’ come raccontare i propri viaggi al ritorno: lo si fa più per un piacere personale, che per l’interesse del destinatario. E quando avviene ciò, non è più un consiglio ma una contraddizione.
Il lettore serio sa già da solo, più di chiunque altro, cosa vorrebbe leggere. Non ha bisogno di raccomandazioni, al massimo può chiedere mirate e guidate indicazioni.
Dicevo che solitamente non consiglio libri a nessuno, tuttavia suggerisco agli amanti della storia e della politica la lettura di M. Il figlio del secolo di Antonio Scurati. Una narrazione storica atipica, che ripercorre il periodo 1919-1925, per spiegare e raccontare l’ascesa del Fascismo. Un romanzo senza dialoghi, che racconta il contesto storico e sociale di quegli anni, i silenzi e le omissioni dell’opinione pubblica nonché le negligenze del Parlamento che consentirono l’avvento della storia più buia. Non credo al ritorno del Fascismo, ma le analogie con i tempi attuali sono effettivamente sconcertanti.
Avevo grossi dubbi su questo libro, a causa di errori storici rilevati da Ernesto Galli Della Loggia. Devo riconoscere che per il mio livello di conoscenza, tali sviste appaiono irrilevanti. Ad esempio Scurati attribuisce erroneamente a Carducci, anziché a Pascoli, l’espressione coniata per l’Italia “la grande proletaria”, oppure sbaglia la data di una lettera di Francesco De Sanctis. Sbagli accettabili, almeno per un profano come me, semplicemente in cerca di una piacevole lettura.
Caccia all’untore
“Gli animi, sempre più amareggiati dalla presenza de’ mali, irritati dall’insistenza del pericolo, abbracciavano più volentieri quella credenza: ché la collera aspira a punire: le piace più d’attribuire i mali a una perversità umana, contro cui possa far le sue vendette, che di riconoscerli da una causa, con la quale non ci sia altro da fare che rassegnarsi”
(A. Manzoni, I promessi sposi – cap. XXXII)
Alla fine è arrivato. Il decreto che vieta l’attività motoria all’aperto è stato firmato a furor di popolo, tra ali di folla ringhiante e applausi a scena aperta.
Da oggi chi volesse fare una breve corsetta all’aperto, un giro in bicicletta all’alba, una semplice camminata in solitaria tra le desolate capezzagne di campagna… non potrà più farlo. Questo provvedimento risponde essenzialmente a due sentimenti di pancia ben precisi.
Il primo impulso è quello che potremmo definire dell’”incapacità”. Poiché le autorità e le istituzioni sono incapaci di controllare nel dettaglio le attività motorie, poiché risulta impegnativo discernere le attività ammesse (ad esempio quando il soggetto è da solo) dalle attività non ammesse (ad esempio quando il soggetto è in gruppo), allora si semplifica il lavoro precludendo tout court qualsiasi movimento all’aperto. Che sarebbe come dire: è reato guidare in stato di ebbrezza, ma siccome risulta oneroso stabilire quali bevande contengono alcool (cioè vietare vino, birra e liquori), allora impediamo semplicemente che tutti bevano, proibendo financo di dissetarsi con l’acqua di pura fonte.
Si tratta evidentemente di una forzatura miope, che bene evidenzia i limiti di chi governa ed amministra questa materia.
Il secondo impulso è quello del “ricercato”. Da sempre la società necessita di trovare un colpevole per scaricare le tensioni di una situazione complicata, di una rovente matassa che da sola non si sbroglia. Il responsabile è stato talvolta il cinese, talvolta l’immigrato, talvolta il tecnocrate europeo. Oggi i colpevoli sonno i runner, i biker, i camminatori seriali. Non importa cosa fanno e dove lo fanno. Importa maggiormente impedire che lo facciano, perché il divieto “sicuramente male non fa”. La gente recita a memoria l’orazione “#iorestoacasa”, come una vecchia e sorda litania, come il deferente pappagallo di Portobello, senza chiedersi il significato della questione, senza applicare il buonsenso nel discriminare cosa è bene da cosa è male. Lo slogan è semplice, perché complicarlo e domandarsi cosa significhi davvero? Resta a casa! Puoi essere un cardiopatico bisognoso di passeggiare da solo nel bosco, ma non importa. Resta a casa! Se non lo fai devi sentirti un assassino.
La ricerca sistematica del colpevole, anche per il terreno pestilenziale su cui si svolge la battuta venatoria, ricorda la caccia agli untori di manzoniana memoria.
E nel contorno di questo illogico marasma, per migliorare la respirazione di tutti restano aperte molte fabbriche, parecchi uffici e tutti i tabaccai.
Il virus incontenibile
“Provocarono Dio con tali azioni e tra essi scoppiò una pestilenza”
(Salmo 106, 29)
Mi pare di vederli. Gli studenti, soprattutto quelli delle superiori, che questa settimana avrebbero dovuto sostenere una verifica o un’interrogazione, e che dopo aver gozzovigliato senza aprire libro per l’intero weekend ora si ritrovano col condono della chiusura delle scuole. Magari c’era in vista un orale di matematica, ma coi libri impolverati da settembre; o forse un’interrogazione di storia romana, quando però gli ultimi ricordi risalgono miseramente al Tigri e all’Eufrate; oppure un tema sui Promessi Sposi, avendo guardato soltanto due puntate di “Uomini e donne”.
Ecco, a proposito di Manzoni, non c’è miglior modo per spiegare il concetto di Provvidenza divina. Un evento eccezionale che indirettamente salva il malcapitato da una sorte segnata. Fossi un insegnate d’italiano userei questa vicenda per spiegare l’annosa nozione manzoniana.
I provvedimenti presi dai Governatori del nord sembrano eccessivi ed ingiustificati. Un’obiezione tra le tante: blindano scuole e studenti, mentre la gente continua ad assembrarsi liberamente in aziende e luoghi privati.
A ciò fa eco una psicosi collettiva insensata, sintomo di tempi permeati dall’ignoranza diffusa. Questo è forse il virus più incontenibile.
Dal traditore al traduttore
“Senza la traduzione abiteremmo province confinanti con il silenzio”
(G. Steiner)
Nel film Il traditore di Marco Bellocchio, Salvatore Lo Cascio interpreta magistralmente il pentito Salvatore Contorno. Durante il maxiprocesso a Cosa Nostra la deposizione di Contorno, espressa interamente in dialetto palermitano, viene interrotta dalle rimostranze degli avvocati: “Signor Presidente, qua ci vuole un interprete. I miei colleghi che vengono dal continente non hanno capito nulla”. Totuccio, invitato a parlare in italiano, cerca di giustificare la sua deficienza linguistica: “Vabbè… è un’abitudine che c’ho naturale. Si nu curro, peddu u filu”.
Pochi giorni fa, per la prima volta nella storia giudiziaria italiana, ad alcuni imputati napoletani è stato concesso un interprete, poiché non comprendevano l’italiano.
Sarebbe facile concludere con la morale dell’angosciante livello di analfabetizzazione del Mezzogiorno. Credo tuttavia che in molte parti del Settentrione le cose non siano tanto diverse. Penso alla scarsa diffusione della lingua nazionale in parecchie zone montane, all’incapacità di condurre una conversazione completa in italiano da parte di parecchia popolazione veneta, alla refrattarietà dell’idioma nazionale nelle remote valli lombarde.
La verità è che l’unione forzosa di popoli e culture profondamente diversi dopo 150 anni non ha affatto prodotto un’unità linguistica.
L’ignavia dell’Ilva
“Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto,
vidi e conobbi l’ombra di colui
che fece per viltade il gran rifiuto”
(D. Alighieri, Divina Commedia – Inf. III, 58-60)
Papa Celestino V è ricordato soprattutto per la sua ingenuità ed incompetenza nella gestione amministrativa della Chiesa, che fece precipitare l’istituzione in uno stato di profonda confusione. Dopo solo quattro mesi dall’elezione, rinunciò giocoforza all’ufficio di pontefice spianando la strada a Bonifacio VIII.
Per questo motivo nel vestibolo della Divina Commedia è annoverato tra gli ignavi, cioè tra coloro che non seppero prendere una posizione chiara, che non agirono mai né nel bene né nel male, che non osarono mai suggerire un’idea propria.
Da ignavia ad Ilva il passo (almeno allitterato) è breve. Quella di Taranto è una situazione certamente intricata e complessa, dove i cavilli legali sembrano avere il sopravvento su qualsiasi previsione e reazione logica. Per trovare la quadra servirebbe un Premier esperto di questioni di diritto, magari un avvocato (!).
Personalmente, magari sbagliando per manifesta incompetenza, ritengo doveroso togliere alibi aggiuntivi attraverso l’eliminazione dello scudo penale. Ma capisco anche chi sostiene unicamente le ragioni della salute come bene esclusivo, proponendo la chiusura forzata ad ogni costo.
Al di là di ogni posizione, comunque la si pensi, l’importante è avere un’idea di fondo e sostenerla argomentando e cercando elementi utili all’obiettivo da raggiungere. Quello che noto e contesto, invece, è una completa mancanza di una visione e previsione comune da parte della compagine di governo. Non ho capito se vogliono la riapertura da parte di Ancelor, la chiusura previa bonifica dell’area, la nazionalizzazione, la riconversione ad altro ancora.
L’ultima notizia è che siamo arrivati al concorso di idee, dove il presidente del Consiglio chiede a tutti i Ministri di fare qualche proposta, come per organizzare la cena alla fine di un corso di fotografia. Prepariamoci, arriverà presto il momento dell’aiuto da casa: con una telefonata potrebbero chiederci la soluzione del rebus.
The wall
“All in all you’re just another brick in the wall”
(Pink Floyd)
Ricordo che l’approccio alla materia “italiano” del Ginnasio fu molto morbido: mi diedero da fare un tema sulla crisi delle ideologie del XX° secolo. Venivo dalla terza media di provincia, a malapena conoscevo il significato della parola “crisi” e per le “ideologie” ero ancora più indietro. Ricordo solo che feci espliciti riferimenti alla caduta del Muro di Berlino, additandolo come simbolico inizio della fine di un’era. Il tema ovviamente non fu un trionfo, ma concepì una pietosa, seppur salvifica, melina d’ovvietà.
Esattamente trent’anni fa cadeva il Muro di Berlino. Non fu evidentemente un evento consumato in poche settimane, ma l’epilogo di un lungo e complesso processo di trasformazione. Parlare del Muro significa aprire un mondo di dibattiti, su cui esiste una letteratura sterminata che va dalla storia dell’Ungheria, a Solidarność, alla vicenda di Emanuela Orlandi.
L’eredità di quell’abbattimento metaforico dovrebbe oggi essere un sentimento pienamente europeo ed europeista. Il ricordo delle separazioni, dei coprifuoco, delle limitazioni alla libertà, di una guerra perennemente incombente dovrebbe echeggiare oggi come un monito. Nazionalismi e sovranismi sembrano invece imboccare la direzione opposta e trascinarci indietro, verso divisioni e ghetti.
Cristogramma
“Prima di raccontare, osserva.
Prima di comunicare qualcosa agli altri con immagini e parole, fai in modo che quelle immagini e quelle parole ti suonino familiari.
Prima di muovere la fantasia, afferra le cose che hai intorno”
(G. Amelio, Il vizio del cinema)
Una mattina, mentre mi trovavo in coda sul percorso verso il lavoro, mi sono trovato davanti un’automobile con un adesivo molto particolare, simile a questo:
Mi sono annotato la curiosità con l’intenzione di approfondire in separata sede. Come immagino facciano tutti, spesso appunto le cose che mi vengono in mente e poi con calma indago.
Le coppie IC XC rappresentano le prime e le ultime lettere delle due parole greche Gesù e Cristo (IesoS e XristoS). Le S finali vengono scritta come C.
NI KA invece significa “vince”, sempre in greco. Quindi il messaggio dell’adesivo è “Gesù Cristo vince”, attinto dalla tradizione greco-ortodossa. Sostanzialmente il guidatore che mi precedeva era un fervente ed estroverso ortodosso.
Ho scoperto che si chiamano Cristogrammi e riproducono combinazioni di lettere dell’alfabeto greco o latino per rappresentare qualche messaggio legato al nome di Cristo. Sono simboli usati in passato soprattutto nella decorazione di edifici. Uno dei più noti è la targa INRI della croce. Ma il significato di questo o sapete tutti…