La pochezza dei nuovi satiri


La querelle sulla satira pontificia inizia ad annoiare. Credo che la questione non meriti un dibattito approfondito. Dividersi in guelfi e ghibellini ha davvero poco senso.
Personalmente difendo a spada tratta la libertà di satira, ultimo baluardo della libertà d’opinione. Quando viene imbrigliata anche la satira, viene meno il modo più faceto per esprimere la libertà del pensiero. È dunque chiaro che quest’ultima perde la propria sovranità.
La stizza della Santa Sede pare motivata da un certo cattivo gusto, o pseudo esagerazione, di un’ironia che dovrebbe invece rientrare nei limiti del buongusto e del decoro per potersi chiamare a buon diritto “satira”. Il limite con il bacchettismo congenito è davvero sottile.
Il dato fondamentale, che supera i due schieramenti, mi pare invece essere un altro. I tre personaggi, citati dalla cupola di Padre George, a me non fanno affatto ridere. Fiorello, fantastico showman dalle manifeste doti vocali (lo dico con profonda ammirazione), sinceramente ha un po’ stancato. Si ritiri per qualche tempo e faccia vita privata, lui che può permetterselo. Crozza, abile comico di rottura, capace di impepare trasmissioni insapore con i suoi interventi, oggi appare davvero alla deriva. Da solo non regge e i suoi monologhi sono francamente imbarazzanti. La stessa imitazione di Razinger… è penosa. La Littizzetto, probabilmente la più funambolica dei tre, inizia a mostrare segni di cedimento. Non riesce a rinunciare al doppio senso o alla battuta a sfondo sessuale. Nessun moralismo, per carità. Ma se si finisce sempre lì, vuol dire che la fantasia non è poi così feconda. E per chi vuole fare satira, la fantasia è tutto.
Mi piacerebbe che si parlasse di questo, della qualità o della pochezza dei satiri nostrani. Dividersi tra il diavolo e l’acqua santa… cui prodest?

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