Condanna alla libertà


La vicenda di questi giorni che coinvolge i terroristi come Fioravanti, pone l’accento su uno dei più grossi dubbi relativi alla carcerazione italiana. Ha senso rimettere in libertà i condannati all’ergastolo? Ha senso emettere pene “ a vita”, quando i codici del diritto prevedono già la scappatoia dell’eventuale liberazione?

Certamente, adottando un criterio “cristiano” di giustizia, ha senso emettere una pena ed ammettere una revisione della stessa, cioè una rettifica che ribalti la sanzione disposta illo tempore. Questo però significa indebolire il potere deterrente della pena stessa: se so che esiste la possibilità di derogare anche la condanna più aspra, sarò meno incline ad evitare il crimine.

È vero che la prigione dovrebbe prevedere sempre una possibilità di rieducazione e di reinserimento. Ma allora perché ammettere il concetto di ergastolo, pietra tombale per la vita sociale del criminale? Non sarebbe più coerente condannare a cinquanta o sessant’anni di carcere?

Il dubbio rimane e si ripropone sempre più spesso.

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