“Quando cominciai a bazzicare alla stazione dei taxi e a fare dei lavoretti dopo la scuola ho sentito che volevo essere dei loro. Fu là che capii che cosa significa far parte di un “gruppo”. Per me significava essere qualcuno in un quartiere pieno di gente che non era nessuno. “Loro” non erano mica come tutti gli altri, “loro” facevano quello che volevano, e nessuno chiamava mai la polizia… Giorno per giorno imparavo come si campava a sbafo, un dollaro qua un dollaro là. Vivevo come in un sogno”.
(Ray Liotta – Quei bravi ragazzi)
La modifica alla legge elettorale poteva costituire un piccolo, iniziale svecchiamento del dinosauro politico italiano. Se è vero che i problemi del sistema sono tanti e complessi, è anche vero che l’avvento di una normativa elettorale più assennata e democratica poteva rappresentare un minuscolo passo verso il miglioramento. Perché in fondo da qualche parte si dovrà pur cominciare. L’iniziativa popolare che ha indetto il referendum non è certo volta a cambiare il mondo, ma un seppur minimo intento di evoluzione le va accordato. Depennare il meccanismo perverso che attribuisce il premio di maggioranza alla coalizione più votata (anziché alla lista) dovrebbe impedire l’invenzione di fantomatiche ed innaturali alleanze tra partiti. Il divieto poi delle candidature multiple eliminerebbe uno dei malcostumi tutti italioti, quello di candidare i leader di partito in tutte le circoscrizioni, per accaparrare voti attraverso i cognomi altisonanti.
Queste, insomma, le buoni intenzioni del popolino.
Ma di fronte alle proposte in grado di minare anche esiguamente i privilegi acquisiti, la casta sfodera tutte le sue risorse di controffensiva. La politica sguaina ad uno ad uno tutti i gladi, per ostacolare anche il più inoffensivo dei cambiamenti.
Cerca innanzitutto di evitare il referendum, individuando pedissequamente vizi che ne inficino la forma. Qualora ciò non sia possibile, tenta di posticipare la consultazione. Benché non si potesse “sforare” la metà di giugno, quest’anno in fretta e furia si è votato un decreto per derogare la legge del 1970, che prevedeva l’indizione delle votazioni referendarie nelle date comprese tra il 15 aprile ed il 15 giugno. La pianificazione della data del 21 giugno scongiura infatti un alto quorum, sfavorendo di fatto il “popolo dei sì”.
Stabilita la stravagante data, la casta celerà ogni informazione, puntando all’astensione massiccia del volgo ignorante. Non avendo buone motivazioni per spalleggiare il “no”, sosterrà biecamente l’astensione. Convinta ed unita.
Il resto sarà un film già visto: con gli italiani a sonnecchiare sotto l’ombrellone, le urne vuote e la casta a festeggiare l’ultima vittoria prima del meritato riposo estivo.
#1 by Erica at 27 aprile 2009
Che tristezza!
Altro che popolo sovrano!
Comunque tu dovresti fare politica, non solo parlarne.
Oltre a fare lo scrittore, s’intende.
#2 by Silvio Baù at 28 aprile 2009
😛
#3 by paio at 28 aprile 2009
#4 by Erica at 28 aprile 2009
So di essere anacronistica, ma propongo di eliminare le “faccine”.
#5 by Silvio Baù at 28 aprile 2009
Concordo al 1000%. Io uso la faccina quasi per esorcizzare lo schifo che mi fanno le faccine. Non direi tanto “non concordo con le faccine, ma mi adeguo”, quanto piuttosto “non concordo con le faccine, e usandole concordo ancora meno”. Vedilo come una nemesi, un contrappasso. Paio e Gianluca sanno di questa mia repulsione e le loro faccine insistono proprio su questo. O almeno credo.
#6 by paio at 29 aprile 2009
Il Paio e il Gianluca