“Senza la traduzione abiteremmo province confinanti con il silenzio”
(G. Steiner)
Nel film Il traditore di Marco Bellocchio, Salvatore Lo Cascio interpreta magistralmente il pentito Salvatore Contorno. Durante il maxiprocesso a Cosa Nostra la deposizione di Contorno, espressa interamente in dialetto palermitano, viene interrotta dalle rimostranze degli avvocati: “Signor Presidente, qua ci vuole un interprete. I miei colleghi che vengono dal continente non hanno capito nulla”. Totuccio, invitato a parlare in italiano, cerca di giustificare la sua deficienza linguistica: “Vabbè… è un’abitudine che c’ho naturale. Si nu curro, peddu u filu”.
Pochi giorni fa, per la prima volta nella storia giudiziaria italiana, ad alcuni imputati napoletani è stato concesso un interprete, poiché non comprendevano l’italiano.
Sarebbe facile concludere con la morale dell’angosciante livello di analfabetizzazione del Mezzogiorno. Credo tuttavia che in molte parti del Settentrione le cose non siano tanto diverse. Penso alla scarsa diffusione della lingua nazionale in parecchie zone montane, all’incapacità di condurre una conversazione completa in italiano da parte di parecchia popolazione veneta, alla refrattarietà dell’idioma nazionale nelle remote valli lombarde.
La verità è che l’unione forzosa di popoli e culture profondamente diversi dopo 150 anni non ha affatto prodotto un’unità linguistica.