“Gli effetti di un’alluvione sono devastanti, non per quello che l’acqua sradica con la sua forza,
ma per tutto il dolore che si poteva risparmiare con una giusta prevenzione.
La miglior politica del risparmio, è la politica della prevenzione responsabile”
(S. Littleword, Aforismi)
Tempi di magra per i tuttologi. Non è periodo di Mondiali e neppure di Europei di calcio, l’allenatore che sta dentro ognuno di noi dorme in annoso letargo. Destini e dinamiche del Governo sembrano in fase di relativo stallo ed i politologi nostrani non hanno più nulla da dire. Niente Brexit, almeno per ora: anche per gli economisti improvvisati si prospettano lunghi silenzi.
Ecco allora che passata l’ondata di piena, mi permetto una banale riflessione su quanto accaduto nei giorni scorsi a Cereta. Una vasca di laminazione costruita a monte, in località Montagnoli, ha ceduto durante un test di collaudo allagando la frazione a valle. Per capirsi: si tratta di un’opera idrica in cemento armato, volta a raccogliere ondate eccezionali e far defluire le acque di piena in modalità programmata e controllata.
Al di là degli errori, delle responsabilità, dei disagi che l’evento specifico ha sversato sull’altare delle polemiche, la mia riflessione è di altra natura. Da sempre la zona ai piedi della collina, dove cominciano i campi che conducono a Cereta e dove ha inizio la landa Padana, è territorio vocato all’inondazione. Rivoli e fossi scaricano storicamente dalle colline in un avvallamento naturale all’inizio della piana. Lo sanno bene gli avi che da tempo immemore chiamano la zona Ciaegòt (dal dialettale “ciàega”, ovvero chiusa, chiavica, cloaca). Perché dunque costruire, costruire e costruire ancora in questa zona? Perché costruire e poi cercare protezione spendendo più di un milione di euro per una vasca di laminazione che difenda ciò che naturalmente è indifendibile? Non bastava il buonsenso, lasciando libero da gravami edilizi un territorio naturalmente non vocato ad accogliere abitazioni?
#1 by ANDREA at 12 novembre 2019
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