“Di questo passo, saranno gli omosessuali, piuttosto che i poveri, piuttosto che i neri, piuttosto che gli zingari, ad essere perseguitati”
(G. Strada, al Tg3)
È come quando a Natale rivedi la vecchia zia che incontri solo nelle occasioni speciali. Ti accorgi subito di quanto è cambiata, più vecchia, più logorroica dell’anno prima. Il tempo trascorso in sua assenza ha congelato l’immagine passata che avevi di lei e, confrontandola con la nuova, sono subito evidenti i cambiamenti intercorsi.
Per me tornare al lavoro è stato così. Anche se non è trascorso molto tempo, ho notato subito chi era ingrassato o chi aveva perso chili. Mi sono accorto di quanto le rughe del tempo abbiano cambiato alcune espressioni, o di come i capelli più grigi abbiano invecchiato i colleghi.
Ma la cosa che più mi ha sconvolto è stato il proliferare in tutti i contesti, dalle riunioni alle email, dalle conversazioni informali alle presentazioni ufficiali, di un’espressione particolarmente indigesta. Sempre la stessa locuzione, abusata e snaturata, utilizzata in maniera impropria e dunque errata.
Ad ogni livello, ordine e grado spopola la perifrasi “piuttosto che…” con il significato di “oppure”. “Puoi usare tutto dell’ufficio: il computer piuttosto che il telefono, piuttosto che la stampante”; “potete tradurre in tutte le lingue: in inglese piuttosto che in francese, piuttosto che in tedesco”.
Chiariamoci. “Piuttosto che” significa “anziché”, non “oppure”. Indica una preferenza per un elemento rispetto a un altro, non una comparazione tra alternative equivalenti. “Preferisco andare in bicicletta piuttosto che usare l’automobile”; “scelgo l’ombrina al forno piuttosto che la pizza”. Invece viene sempre pronunciato per elencare alternative possibili ed equipollenti.
I linguisti meno intransigenti definiscono questo utilizzo “deprecabile”, mentre i puristi impallidiscono perché genera ambiguità, suggerendo ad un significato opposto a quello reale.
A volte è meglio stare zitti, piuttosto che parlare.
#1 by erica at 3 ottobre 2018
Dunque siamo peggiorati.
Passi il declino fisico, fisiologico e inesorabile, ma quello intellettivo-cognitivo non dovrebbe essere ammesso, anzi, si dovrebbe lavorare per la crescita.
Verbi al condizionale d’obbligo, tendenti all’utopia, di questi tempi.
E Gino Strada che non è uno dei qualsiasi 600 e passa, cosa voleva veramente dire?
Propendo per delle “e” al posto del “piuttosto che” dove l’ordine dei sostantivi dell’elenco non conta. Propendo per la visione più buia.
#2 by Giullare at 4 ottobre 2018
In realtà il povero Gino era solo un pretesto per introdurre la questione e per evidenziare come il “virus” sia trasversale. Dal contesto, e dal personaggio che parla, è evidente che volesse fare un elenco di persone ugualmente meritevoli di tutela. Tuttavia, in astratto, detta così la frase potrebbe sembrare ambigua e far pensare alla sola difesa degli omosessuali.
#3 by vicensa at 9 ottobre 2018
A me dà fastidio l’ “assolutamente sì”, ad esempio. Abusato.
#4 by Augusto at 14 ottobre 2018
Assolutamente d’accordo col Giullare e vicensa.
Contribuisco con le mie piccole/inutili “battaglie perse” per non (far) utilizzare le seguenti locuzioni:
a) entro e non oltre;
b) severamente vietato;
c) un attimino.
#5 by erica at 14 ottobre 2018
Sottoscrivo quanto detto da Augusto e mi unisco idealmente nelle sue battaglie.
#6 by Giullare at 15 ottobre 2018
Augusto, i casi a) e b) sono ancora più gravi, perché nascono nel “pubblichese”, che poi li diffonde nel linguaggio comune. Nella comunicazione pubblica, ufficiale e formale, non dovrebbero ammettersi errori. È paradossale: il “pubblichese” ha la pretesa di spiegarsi con bizantinismi e ridondanze auliche, ma non ha la decenza di rispettare le regole basilari del linguaggio. Solidarietà.