“In fondo a un problema trovi sempre un tedesco”
(Voltaire)
Dopo mesi in cui pareva impossibile trovare la quadra, dopo annosi dibattiti portatori di istanze ed esigenze diametralmente opposte, dopo lunghe settimane di stallo e di liti, in pochi giorni è arrivata l’intesa sulla legge elettorale. Di fronte all’enigma indecifrabile della scelta, ci hanno fatto credere che servisse scomodare la Consulta e i politologi di tutto il mondo. Poi in quarantott’ore hanno partorito una soluzione fetida, che non puzza di vecchio, ma di putrido.
Sarò sibillino: è una porcata. E il fatto di alludere al sistema tedesco palesa la frode che ci sta dietro. I diversamente giovani ricorderanno quando da piccoli si giocava alla tedesca, calciando il pallone in porta al volo e sperando di segnare. Il gioco fu inventato in Olanda, poi diffuso in Europa e chiamato impropriamente “alla tedesca”, probabilmente per rimandare alla sua origine straniera.
Anche in questo sistema elettorale di tedesco non c’è nulla, tranne una dolosa suggestione a qualcosa che per sua natura dovrebbe essere lineare, puntuale, chiaro, perfetto… diciamo “tedesco”.
Ricorda tanto le cravatte dei cinesi a “5 eulo”, con scritto dietro “vera seta”. Oppure il “Parmisan” americano, con la bandierina italiana sulla confezione.
In Germania il numero dei seggi è variabile e l’elettore ha due schede: con una sceglie il candidato al collegio uninominale (assegnato col maggioritario), con l’altra vota il partito che otterrà i seggi in funzione dei voti proporzionalmente ottenuti.
Con questo sistema l’elettore decide la sorte del candidato al collegio uninominale: chi si candida e non vince nel collegio, non viene eletto. Non ci sono ripescaggi di sorta. È altresì rispettato il criterio di proporzionalità, perché una parte dei seggi è assegnata sulla base delle preferenze accumulate su base nazionale. I tedeschi hanno anche l’istituto della cosiddetta “sfiducia costruttiva”, che impedendo di sfiduciare una Maggioranza senza indicarne una sostitutiva, garantisce lunga stabilità al sistema. Insomma, proporzionale, ma buono.
Quello che si prospetta in Italia, col placet praticamente unanime, è un proporzionale puro, come trent’anni fa: vengono eletti i vincenti dei collegi uninominali e ripescati anche i migliori sconfitti. Se un partito deve ricevere più seggi di quelli che ha già conquistato nei collegi uninominali, si passa alla nomina attraverso i listini bloccati delle circoscrizioni, dove i candidati sono scelti unicamente sulla base del loro numero di lista pre-stabilito dai segretari di partito. Va da sé che qui sono i partiti a decidere i parlamentari e all’elettore non spetta alcuna preferenza. Non c’è neppure la possibilità di voto disgiunto: con un voto solo si sceglie contemporaneamente il partito, il candidato uninominale e il listino. Saranno poi gli algoritmi a decidere la composizione delle Camere.
Non serve assaggiare il Parmisan per capire che fa schifo.