“Una gamba qua, una gamba là, gonfi di vino
quattro pensionati mezzi avvelenati al tavolino.
Li troverai là, col tempo che fa, estate e inverno
a stratracannare a stramaledire le donne, il tempo ed il governo”
(F. De André, La città vecchia)
La terza edizione dell’Osteria Tour ha ripagato abbondantemente le attese. Solitamente repetita stufant, ma in questo caso la serata è stata davvero magnifica. Come sempre, annoto qualche pensiero confuso a fianco di ogni tappa. Non nutro l’illusione di essere capito, ma i miei compagni di viaggio potranno soavemente ricordare l’epica serata con un sorriso di orgoglio. Per ogni stazione mi è venuta in mente una canzone. A volte per assonanza, a volte per sensazione emotiva, a volte senza un reale motivo apparente.
Le Petarine. Inizio lento e piacevole, tra prime chiacchiere e buoni propositi. Si spazia tra il Valpolicella Superiore “Armani” ed il Lugana dell’omonima cantina. Il più bello e tipico degli ambienti, turbinosamente indietro nel tempo. La città vecchia, Fabrizio De Andrè.
Il gatto e la volpe. Discesa vertiginosa verso due bottiglie di franciacorta “Vigna di confine”, ma siamo all’inizio… ci sta. Siamo a nostro agio, con ottimo pecorino sardo e marmellata ai fichi dello zio della Silvia. Nelle orecchie scivola piacevole la voce di Nada. Amore disperato, Nada.
Il duomo. Stipati al banco, veloci come le lepri. Una corvina in purezza, apprezzabile. Qui riaffiorano i ricordi delle trasferte a Roma e financo l’oste appare simpatico. Vacanze romane, Matia Bazar.
Il carrarmato. Carmenere veronese, che l’oste annuncia con orgoglio e squilli di tromba. La fiducia è massima. Forse il vino più buono della serata. Poi il cantiniere, che ricorda vagamente nello sguardo il collega Angelone, ammorba gli astanti con un simposio sulla fenomenologia dei polifenoli. Angelo, Francesco Renga.
Monte Baldo. Sgranocchiamo un grissino con lo speck e l’origano, che a questo punto della marcia viene accolto come il miracolo dei pani e dei pesci. La celebre locandiera Arisa si fa schietta e confessa che col Nerello Firriato sabbia dell’Etna non sbagliamo di certo. Sincerità, Arisa.
Bugiardo. Sulla strada, rapidi come i ladri, ma ormai eleganti come gli opossum. Incrociamo persino colleghi a zonzo che non si capacitano del nostro entusiasmo. Sono bugiarda, Caterina Caselli.
La Mandorla. Classico finale, scende il sipario. Qualcuno rispetta la tradizione del bicchierino di mandorla, qualcuno azzarda la birra della staffa, qualcun altro preferisce appendere il calice al chiodo. Non gioco più, Mina.
So che la serata è continuata oltre, peregrinando tra serrande abbassate e bar del centro. Instancabili. Buonanotte, fiorellini.