“Se esistono specchi per il viso, non ve ne sono per l’animo: faccia allora da specchio la saggia meditazione su se stessi”
(B. Gracián y Morales, Oracolo manuale e arte della prudenza)
Al di là della stupidaggine di aprire ai neonati un profilo sui social network, in previsione che lo utilizzino tra quindici anni, lo spunto di questa riflessione è molto attuale. Per chi ha figli piccoli, vale la pena di rifletterci.
La premessa, ovvia, è che poi ognuno fa un po’ come vuole.
Perché non pubblicare niente online riguardo ai figli
di Amy Webb – Slate
Mi ricordo benissimo quel post su Facebook. Era su “Kate”, la figlia di cinque anni di una mia amica (“Kate” è uno pseudonimo) fuori dalla sua casa con addosso un bikini giallo brillante: l’indirizzo era visibile dietro di lei, sulla porta di casa. Una frase diceva: «Partiamo per il weekend in spiaggia». E sotto c’erano oltre 50 “mi piace” e commenti di amici: inclusi molti “amici” che la mamma di Kate conosceva a malapena.
La fotografia era stata caricata dentro un album di Facebook con 114 foto solo di Kate: lei il giorno della sua nascita… lei che dà un bacio al suo cane… lei che gioca su un’altalena. Ma c’erano anche foto di lei nella vasca da bagno e in altri momenti imbarazzanti, come mentre posava indossando il reggiseno di pizzo rosa di sua madre.
Capivo perfettamente il desiderio dei genitori di Kate di catturare ciascun momento della giornata della figlia, perché gli anni dell’infanzia passano molto veloci. Sapevo anche che quei post avrebbero condizionato Kate da adulta. In generale capisco quale sarà l’impatto di avere creato una generazione di bambini nati nell’era digitale.
La scorsa settimana Facebook ha aggiornato di nuovo le sue politiche sulla privacy. Nel comunicato di Facebook si legge: «Siamo in grado di suggerire a un tuo amico di taggarti in una fotografia esaminando e comparando le foto di quello stesso amico con le informazioni che abbiamo messo insieme dalle foto del tuo profilo e da altre foto in cui sei stato taggato». In pratica questo significa che Facebook riconosce le facce nelle foto: ogni volta che i genitori di Kate caricano una foto, stanno (involontariamente) aiutando Facebook a unire il mondo digitale della figlia a quello reale. Gli algoritmi analizzeranno le persone attorno a Kate, i riferimenti fatti, e nel tempo determineranno il gruppo di persone in più stretto contatto con lei.
Il problema è che Facebook è solo uno dei siti internet che lo fanno. Con ogni singolo post, video di YouTube, post di un compleanno, i genitori di Kate stanno impedendo alla figlia un futuro anonimato in rete. Questo pone alcune sfide al futuro di Kate. È già difficile abbastanza passare attraverso la pubertà. Perché rendere centinaia di foto imbarazzanti facilmente rintracciabili alle persone con cui uscirà in futuro? Un commento fatto dalla madre di Kate su un’esperienza negativa legata all’essere mamma potrebbe condizionare le possibilità di Kate di andare in un buon college? È noto che durante il processo di selezione degli studenti vengono visionati anche il profilo Facebook e quelli su altri social network.
C’è anche un altro problema molto serio, che riguarderà Kate da adulta. Miriadi di applicazioni, siti e altre tecnologie “portatili” si affidano oggi al riconoscimento facciale: la bio-identificazione è solamente iniziata. Nel 2011 un gruppo di hacker ha progettato un’applicazione che permette di fare un rapido riconoscimento facciale di una persona e ottenere immediatamente informazioni (nome e altri dettagli biografici) sul proprio dispositivo mobile. Gli sviluppatori hanno progettato un sistema di riconoscimento facciale che funziona su Google Glass. Google ha ufficialmente vietato le app che permettono il riconoscimento facciale ma non può prevenire che ne vengano diffuse di “non ufficiali”. E poter accedere in tempo reale a tutte le informazioni disponibili sulla persona con cui si sta interagendo è una cosa grossa.
Il modo più facile per chiamarsi fuori è non creare contenuti digitali in assoluto, soprattutto legati ai bambini. I genitori di Kate non hanno pubblicato solo una o due foto della figlia: hanno creato una raccolta di dati che verrà utilizzata da un algoritmo per imparare cose su di lei nel tempo. Sapendo quello che sappiamo su come i contenuti e i dati vengono catalogati, mio marito e io abbiamo preso un’importante decisione prima della nascita di nostra figlia: abbiamo deciso che non avremmo mai pubblicato online un post, una foto o altre informazioni personali che la riguardano. Invece abbiamo creato per lei un “fondo fiduciario digitale”.
Il processo è cominciato dalla scelta del suo nome. Abbiamo ristretto una lista a poche alternative e controllato ciascuna di esse (e le loro varianti) attraverso i domini e le ricerche chiave per vedere quali fossero disponibili. Poi siamo andati su Google per vedere quali contenuti erano stati postati con quelle combinazioni di nomi e abbiamo guardato se erano aperti indirizzi gmail corrispondenti. Abbiamo scelto KnowEm.com, un sito internet a cui mi affido spesso per la ricerca di username, anche se è stato pensato soprattutto come un servizio di registrazione dei brand. Avevamo una preferenza sul nome ma eravamo anche disposti a scegliere qualcosa di diverso, nel caso in cui da KnowEm fosse emersa una disponibilità limitata per quel nome, o contenuti negativi associati alla nostra scelta.
Una volta deciso il nome, abbiamo passato diverse ore online registrando una URL col nome di nostra figlia e creando per lei dei profili su molti social network, tutti facenti riferimento a un solo indirizzo mail. Abbiamo segnato la mia mail permanente come secondo indirizzo, come si fa con i documenti relativi a un conto di un minore in banca. Abbiamo creato un sistema di gestione delle password dove lei potrà trovare tutte le informazioni per fare i login. Quando è nata, nostra figlia aveva già degli account su Facebook, Twitter, Instagram e anche Github. Non abbiamo mai pubblicato niente su quegli account: sono attivi ma privati. Inoltre guardiamo regolarmente sulle pagine dei nostri amici e togliamo qualsiasi tag. Chi ci conosce lo sa e rispetta la nostra regola del “non postare niente che riguardi la bambina”.
Quando penseremo che lei sia matura abbastanza (che è una cosa diversa dall’essere tecnicamente grande abbastanza) le consegneremo tutto il pacchetto con dentro le password. Avrà l’opportunità di cominciare a formare la sua identità online e ci assicureremo che abbia gli strumenti per prendere decisioni informate su cosa sia appropriato rivelare di se stessa, e a chi.
È inevitabile che nostra figlia diventerà un personaggio pubblico, perché nella nuova era digitale siamo tutti personaggi pubblici. Io adoro i genitori di Kate: la loro figlia diventerà una giovane donna in gamba. Ma loro le stanno rubando la sua identità digitale da adulta.