La carogna sulle spalle


“Non si può sempre far ricadere ogni cosa sulla società.
Ci sono momenti in cui si è carogne per conto proprio”

(R. Gary, Cane Bianco)

Genny a’ carogna, al secolo Gennaro De Tommaso, è un tifoso (si fa per dire) napoletano figlio di un affiliato alla camorra del Rione Sanità. È a capo del gruppo ultrà che nel tra il 2008 e il 2012 perpetrò le rapine ai danni dei giocatori del Napoli. “Le rapine avvengono quando un calciatore gioca male, oppure parla male dei tifosi”, affermerà poi il pentito Salvatore Russomagno. Insomma, Genny a’ carogna non è esattamente un appassionato di filologia romanza, né un integralista salesiano. Sabato sera, indossando una maglietta che inneggiava all’assassinio di un poliziotto, ha decretato il fischio d’inizio della finale di Coppa Italia: senza il suo placet non si poteva cominciare. È la trattativa “Stato-Mafia”, che stavolta però va in diretta tv.

Di fronte a questa sudditanza e a questa obbedienza (di prefettura, polizia, arbitri, dirigenti e giocatori) l’informazione insiste sul paragone con il modello inglese, senza chiedersi perché non vengono percorsi i primi passi elementari per l’istituzione dello stato civile. Personaggi come Genny a’ carogna sono noti e abbondano ogni domenica, in ogni stadio. Per cominciare, ancor prima di inasprire le pene o inventarsi nuove regole, si potrebbe prenderli e metterli nelle patrie galere coi lori cori e le loro magliette.

Fatto ciò, possiamo toglierci la carogna dalle spalle e iniziare a parlare di modello inglese e di filologia romanza.

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