Nel cielo d'Irlanda


Oh Irlanda, non sei forse così maestosa come una sposa riccamente adornata?
E con tutto il mio amore represso nel cuore, ti dico addio!
(J. Locke)

Nell’animo mi sono sempre sentito profondamente irish. È vero, e qualcuno lo ha già obiettato, che sono un tipo molto british. Il fatto è che sono british fuori, nel modo di apparire e di approcciare la vita. Il distacco, l’ironia e quella fastidiosa aria di superiorità non sono forse tipicamente inglesi? Ma nel sentimento, nella malinconia e nella romanticità delle parole, nell’amore per la genuinità e per la tradizione, nell’affetto verso le piccole gioie della vita e dell’amicizia… io sono irish, fino in fondo.

Riempie lo spirito, percorrere i prati e abbandonarsi alla frescura dell’aria. Perdere lo sguardo nel cielo che s’inventa un grigio mai visto, e poi respirare profondamente con la sensazione ancestrale di aver attinto ad un nettare divino. Parlare col mare e col suo impetuoso blu, per condividere la gioia e le tristezze, nel turbine inequivocabile di percepire una risposta. Percorrere le strade strette e ricurve è come entrare nella dimensione folle di un vortice che non ha tempo, dove lo spazio sembra infinito e la libertà diventa l’unica forma di natura. Guardarsi negli occhi nella vastità demarcata di un affollato pub, ascoltare il silenzioso suono del suo frastuono, che solo le situazioni magiche sa regalare. Questa è stata per me l’Irlanda, un viaggio di sensazioni e percezioni che hanno appagato la fame del mio spirito.

Mercoledì – La pioggia di Bergamo è mandata dal destino, le gocce sui vetri dell’aeroporto sembrano una somministrazione omeopatica per adattare i nostri spiriti alla transumanza d’oltre confine.
Dall’alto, la foce del fiume Shannon apre le sue braccia d’acqua al nostro arrivo, mentre un timido sole fa capolino tra le nuvole cariche di grigio.
Le prime foto sono tutte per i resti della Quin Abbey, uno dei tanti conventi francescani nati nel tardo medioevo e distrutti dal trascorrere del tempo. Acclimatati nel vicino pub di fronte ad una Smitwick’s rossa, ci avviamo verso Knappugue Castle, perfettamente anonimo nel suo genere. Virata verso nord ovest. Sulle sponde dell’Atlantico, dove le terre calpestate da arrembanti bovini si ergono veementi sul mare cobalto, incontriamo la bellezza più esclusiva del viaggio, le Cliffs of Moher (foto sotto). Enormi scogliere a picco sull’oceano, che mozzano il respiro e richiamano subitanee la grandezza dell’Onnipotente. Si ha subito l’impressione di aver toccato l’apice del viaggio. Guardo gli occhi Giorgio inebriati da tanta grandezza e gli chiedo: cosa può esistere di più grandioso?
Serata nel piccolo e suggestivo villaggio di Doolin.

Giovedì – Ci svegliamo guardando il mare e la sparuta manciata di case che sovrasta il litorale. Abbandoniamo da subito l’idea di raggiungere le isole Aran, poiché il tempo troppo spesso impone delle scelte. Le isole sono famose anche per i maglioni di lana grezza e si racconta che le mogli dei pescatori li fabbricassero per i mariti con ogni sorta di fantasia, in modo che se fossero stati inghiottiti dall’impeto del mare, sarebbe stato facile riconoscerne i corpi anche dopo molti giorni di deriva. A Sud di Galaway, incontriamo il Dunguaire Castle, che riporta alla mente il seducente Eilean Donan, a nord di Edimburgo.
L’ingresso nel Connemara segna l’approdo ad una nuova dimensione. Paesaggi incantati e colline rosse, intervallati da laghi di lapislazzuli e cumuli di torba. Qualche casa qua e là ci ricorda che siamo ancora in un pianeta di umani.
Entriamo nella fortezza di Aughanure Castle, lambita dai raggi del sole e dai vasti prati. Un cane da caccia scorazza tra i muretti a secco, regalandoci un’altra immagine dell’Irlanda che t’aspetti.
Sull’oceano, la spiaggia caraibica di Lettermullan ci fa passeggiare sui coralli: è stupefacente vedere la mutevolezza di questi luoghi. La serata scivola nei pub di Galaway, tra le vie colorate, la musica dei violini e le buone birre. La città che ospita il Festival internazionale dell’ostrica non può esimerci dall’assaggiare il piatto locale. Troppo azzardato l’abbinamento con la Guinness, ma paese che vai, usanza che trovi…

Venerdì – Restiamo delusi dal consiglio della guida sul paesino di Adare. Quattro tetti di paglia non possono costituire “il villaggio tipico dell’Irlanda”. Tutt’altra sensazione di fronte alle rovine del convento domenicano di Killmallock, dove l’eterno connubio tra i grigi della viva pietra ed il verde dei pascoli rigogliosi appaga anche gli sguardi più esigenti. La cena è a Killarney, con uno splendido filetto al sangue, mentre si gufa contro i cugini gallesi, impegnati in un match di rugby contro le Isole Fiji.

Sabato – Iniziamo il Ring of Kerry, percorso obbligato per chi visita le coste gaeliche, consapevoli che le nostre deviazioni dall’itinerario standard accresceranno lo spessore del viaggio. La vasta baia nei pressi di Glenbeigh sembra uscita da una pubblicità. Qui l’oceano non ha né limiti, né traguardi e ti senti piccolissimo nel bel mezzo dell’immensità. Poi le strade ad arco ci scagliano come frecce impazzite verso panorami inesauribili. La costa frastagliata nasconde a tratti insenature riparate o manipoli di case bianche, mentre altre volte mostra isolette lontane ed inarrivabili.
Spossati ci buttiamo nel centro di Cork alla ricerca di una sistemazione, ma il traffico caotico e la scarsa disponibilità di alloggi ci fanno desistere presto. Stremati, ripieghiamo verso sud, ancora una volta ascoltando il richiamo del mare. Kinsale, abbarbicata attorno al suo porticciolo è la più classica delle cittadine marittime. E metaforicamente rientriamo a riposare nel nostro porto, dopo una lunga giornata di furiosa bufera.

Domenica – Rapida visita ancora all’abitato di Kinsale, capitale gastronomica d’Irlanda e teatro di una storica battaglia tra Irlandesi ed Inglesi. Il vicino Charles Fort, fortezza seicentesca tra le meglio conservate d’Europa, dona all’atmosfera un accattivante tono militare con bellissimi panorami e una mordente decadenza. Veloce passeggiata nell’insipido centro di Cork e visita alle carceri del Cork City Goal completamente al di sotto di ogni attesa. Riprendiamo la marcia attanagliati dalla delusione.
Nel paesino di Cahir, prima di scattare qualche foto al castello, ci concediamo la sfida di rugby Irlanda – Argentina, in mezzo al tifo degli abitanti locali. Il pub che trasuda di birra e di passioni ci ospita con affetto ed orgoglio. La sconfitta della nazionale non intacca l’entusiasmo e la gioia dei supporters. Il terzo tempo, da giocare tra pinte schiumose e frasi strampalate, è un’emozione senza eguali.
A Cashel troviamo velocemente un’ottima sistemazione, proprio ai piedi della rocca che visiteremo l’indomani.

Lunedì – Rock of Cashel si erge maestosa sopra l’omonimo paese. Le mura circondano quel che rimane della fortezza e dell’abbazia. In mezzo all’imponenza degli edifici del potere, una piccola cappella romanica si ritrova circondata da tombe e croci celtiche. Uno sguardo d’insieme è l’ennesimo ricordo del furore di Cromwell.
Nel pomeriggio deviazione inutile al monastero di Kell, poi arrivo a Kilkenny. L’ennesima sosta al pub ci preclude l’accesso al castello. Solo la buona musica della sera ci ripagherà dello scotto subìto.

Martedì – C’è tempo solo per una fugace visita al monolite più grande d’Europa (il Browne’s Hill Dolmen), tanto grande quanto deludente, e per fare due passi nell’ormai conosciuto quartiere di Temple Bar a Dublino.
Il cuore è carico di colori, odori ed emozioni. Resterà praticamente tutto.

Cliffs of Moher

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