È stata una battaglia. Una delle più indomite, e forse la più vigorosa, del mio curriculum montano.
Iniziamo dal principio. L’obiettivo è il giro delle tre cime del Bondone, percorso che comprende la Cima Verde, il Dosso d’Abramo ed il Cornetto. Nell’itinerario è prevista una breve, ma intensa ferrata. La guida ci assicura che se fosse arrampicata libera, si tratterebbe di un VI° grado. Gianluca ed io siamo tranquilli: dopo l’esperienza della Pisetta di qualche anno fa, sappiamo che non può esistere ferrata più difficile. Quanto al cammino… beh abbiamo fibra per reggere lunghi ed impegnativi percorsi.
Partiamo a spron battuto e guadagniamo velocemente la prima vetta. La Cima verde ci restituisce un panorama del Brenta davvero spettacolare. Il grigio sconfinato del comprensorio che abbiamo alle spalle sembra arginarsi solo contro l’azzurro del cielo limpido. È il primo dei tre traguardi e come l’alba dei giorni di battaglia più felici, la giornata sembra promettere altri successi. Scattiamo qualche foto, un sorso d’acqua. Poi, all’improvviso, come un fulmine che s’accompagna al tuono, ecco l’attacco del nemico più improvviso. Mi abbasso per riprendere lo zaino e mi ritrovo costretto a gettarmi a terra. Cado, o forse mi lascio cadere. Sento uno strattone alla schiena, una fitta di dolore lancinante. Potrebbe essere un dardo, un giavellotto od un semplice pugnale. No, è la mia vertebra che fa i capricci…
Riesco a malapena a restare seduto, soffro e coricandomi mi bagno il viso di strazianti lacrime. Piango più per la rabbia che per il dolore. Non riesco ad alzarmi. Dopo qualche minuto Gianluca mi aiuta a sollevarmi. Nulla da fare, non sono in grado di raggiungere la posizione eretta. Inizio a pensare che non solo non finiremo il nostro itinerario, ma che scendere sarà un’impresa da titani.
Ingoio a stomaco vuoto due Aulin e mi metto la bottiglia d’acqua ghiacciata nella schiena. Desidererei un litro di Voltaren da iniettarmi all’istante nel dorso, ma debbo accontentarmi. Qualche attimo e con l’aiuto del mio commilitone mi rialzo in piedi. “Proviamo”, gli dico. Si offre di portarmi lo zaino e lo rassicuro del tentativo. Cercheremo di raggiungere la seconda vetta, dove si trova la ferrata. Poi valuteremo il da farsi. Di scendere, proprio non ne abbiamo voglia.
Il medicinale in dose equina sembra fare effetto. Il ghiaccio regge e il cammino non pare impegnativo. Arriviamo alla ferrata e ci guardiamo negli occhi. La parete verticale sembra chiamare la sfida. Nel silenzio della montagna ci pare quasi di sentire una voce. La razionalità mi strattona dall’altra. È folle, è sciocco salire ancora. Stando eretto sto quasi bene, sono i piegamenti che mi dilaniano il busto. Decidiamo irragionevolmente di andare. La via è verticale e per procedere serve la forza fisica delle braccia, proprio quella che non ho e che non ho mai avuto. Mi arrangio con molta tecnica, ma è durissima. Non ci sono appigli ed il cavo diventa l’unica via d’uscita. Dietro di me sento i lamenti di Gianluca che inizia a fare paragoni irriverenti con le ferrate precedenti. È una guerra e non si può fuggire. La ferrata attraversa uno spettacolare foro nella roccia. Il sole, che entra dall’alto, ricorda il tunnel luminoso che di solito porta al paradiso. Metafore? Non credo. Sto per uscire e vedo il moschettone sporco di sangue. Mi guardo le mani, un dito gronda di denso liquido rosso. Probabilmente mi sono tagliato con la roccia, ma l’adrenalina della salita non mi ha fatto accorgere di nulla.
Finalmente usciamo e raggiungiamo esausti la seconda vetta, il Dosso d’Abramo. Lascio sul libro della cima la mia frase della giornata: “Salire con la schiena rotta… non ha prezzo”.
Ci aspetta la discesa, ma non c’è due senza tre. Il Cornetto richiede appena un’ora di deviazione, non possiamo rinunciare alla vittoria finale. Salgo con la schiena che non si piega ed il dito in bocca, per evitare ulteriori spargimenti di sangue. Arrivati a quota 2180 guardiamo alle spalle le altre due croci appena conquistate. E sorridiamo felici.
La discesa, dopo la gloria del campo di combattimento, assume il tono di una passeggiata tra vecchi reduci. All’accampamento non gozzoviglie di legionari consumati ma una birra che sancisce la fine del conflitto. È stata durissima, ma abbiamo vinto.
La battaglia che non t’aspetti
“Soldati, avete l’occasione che vi auguravate: tenete in pugno il nemico, in un luogo malagevole e per loro svantaggioso; date prova, adesso, sotto la nostra guida, dello stesso valore che più di una volta avete dimostrato al comandante in capo, fate conto che lui sia qui e che assista allo scontro di persona“.
(Cesare, De bello gallico)
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#1 by Gianluca at 1 agosto 2007
Fantastica!
#2 by Simona at 1 agosto 2007
Cliffhanger II con Sylvester Bau’ ?