Il P.g.t. di Volta è un po’ come il governo Monti. Molte analogie tra come si è presentato e come è stato visto, tra quanto ha fatto e quanto ha dimenticato di fare.
Il P.g.t., come l’esecutivo Monti:
– è partito con grandi proclami;
– ha fatto sfoggio dell’alto profilo tecnico degli esperti che ne hanno tessuto le trame;
– ha scardinato una concezione obsoleta di governo del territorio;
– ha intaccato qualche posizione di “privilegio”;
– ha introdotto le regole dopo l’anarchia (o la monarchia);
– ha annunciato tanto, ha fatto un po’ meno;
– alcune sue scelte rimangono oggettivamente criticabili;
– ha suscitato accesi dibattiti sulla stampa, spaccando le opinioni;
– qualcuno gli si è schierato contro a priori;
– seppur criticabile, alla fine è sembrato indispensabile appoggiarlo.
Dopo più di sette ore in camera di Consiglio, il Piano è stato definitivamente approvato. Nasce uno strumento nuovo che introduce elementi fondamentali, come la perequazione, il piano delle regole e l’armonizzazione delle scelte. Per la prima volta la cittadinanza ha identificato le priorità d’intervento nell’ambito delle opere pubbliche ed ha contribuito alla stesura del piano stesso.
Si poteva fare meglio? Assolutamente sì. Non ci si è occupati a sufficienza dei borghi e della viabilità, ad esempio. Fosse stato per me poi, non si sarebbe costruito neppure un metro cubo di cemento in più. Ma così è.
Non approvare questo P.g.t., così come non votare Monti, avrebbe significato abbandonare il paese al proprio infausto destino. Come un nave alla deriva, in balia degli scogli.