Qualche mese fa è apparsa sui giornali la notizia della cancellazione del decreto, che sanciva l’annessione della provincia di Mantova allo stato italiano. Il 16 dicembre 2010 infatti, nel marasma di eliminare tutte le leggi inutili, il Ministro per la Semplificazione normativa ha depennato anche il Regio Decreto del 1866, con cui Mantova e “le province della Venezia” entravano a fare parte del Regno d’Italia. Una svista grave, passata velocemente in cavalleria tra timide battute e dominante indifferenza. Anche se la Costituzione mette al sicuro l’italianità di Mantova, sancendo che la Repubblica è “una e indivisibile“, la cittadinanza non si è affatto indignata per questo errore grossolano, limitandosi a scuotere le spalle e a passare oltre.
Non molto lontano da noi, alcuni comuni hanno scelto di non festeggiare il 17 marzo: le amministrazioni locali hanno decretato che i dipendenti comunali dovevano lavorare e che proprio non c’erano soldi per cerimonie pubbliche e manifestazioni.
La retorica della passione nazionale insomma, l’enfasi del tricolore e delle celebrazioni per festeggiare ampollosamente l’Unità, i lunghi monologhi sul Risorgimento, sembrano sentimenti e necessità solamente dettati dai media, figli unici del grande circo della comunicazione. Sono solo i giornali e le tv a parlare di patriottismo e di senso dello stato. Sono sempre i mezzi d’informazione e di divulgazione a propinarci le canzoni e gli inni all’Italia, lei lezioni di storia e gli appelli all’unità. Ma la gente comune?
L’impressione è che i cittadini non percepiscano in maniera così forte questo amor patrio, che non avvertano appieno l’importanza di festeggiare il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Che si sentano davvero italiani solo per le vittorie della nazionale e per i successi della Ferrari, che pensino al Risorgimento solo come all’altro nome del Vialone.
Forse perché i loro problemi quotidiani sono altri e più gravi. Forse perché nelle difficoltà di tutti i giorni, non c’è molto tempo per pensare alla storia d’Italia.
O forse, più semplicemente, dopo centocinquant’anni sono ancora attuali le parole di Cavour, che vedendo fatta l’Italia si chiedeva quando sarebbero stati fatti gli italiani.
(Editoriale pubblicato su Voltapagina n. 37)