“E c’era quel pianto di morte…
chiù…”
(G. Pascoli, L’assiuolo)
Da qualche notte, nei pressi di casa mia si sente l’insistente squittio di una civetta. Nei momenti che precedono il sonno, sentire la cadenza ritmata del suo verso mi riconduce ad una dimensione quasi ancestrale. Mi porta immediatamente al ricordo di mio nonno, che la reputava severamente annunciatrice di morte. Nella tradizione o superstizione contadina, la civetta è considerata infatti ambasciatrice di sventura: sentirne il verso nei pressi della propria abitazione equivale al presagio di un imminente lutto in famiglia.
Una reputazione che arriva da lontano e che affonda le proprie origini centinaia di anni fa. Con il Cristianesimo si diffusero le prime veglie notturne per i defunti. Durante le veglie, le luci delle candele o delle lanterne attiravano gli insetti notturni e con essi i rispettivi rapaci a caccia di cibo. L’associazione tra il defunto e lo squittio di gufi e civette fu automatica: laddove cantava una civetta doveva per forza esserci un morto, una sventura.
Una nomea che è resistita più o meno fino ai giorni nostri.