Pampogne in campagna


“Dobbiamo combatterle giornalmente, come insetti,

quelle piccole numerose preoccupazioni circa il domani,

perché esauriscono le nostre energie”
(E. Hillesum)

Un paio di sere fa, mio figlio mi chiede: “Mi dai una di quelle scatole trasparenti, coi buchi sopra e aperta sotto?” “Ehhhh? Cosa vuoi?”

Dopo una buona mezzora di domande, esempi e riformulazioni di concetti, arrivo a capire che si tratta di quei piccoli contenitori della frutta, tipo fragole, ciliegie, albicocche, bucati sul fondo. “A cosa ti serve?”, gli dico. “A catturare le pampogne”.

L’amphimallon solstitiale, volgarmente detto pampogna, è un coleottero che vola nei prati nei crepuscoli estivi. La sua particolarità è una traiettoria rasente all’erba, con repentini cambi di direzione, che spesso lo fanno sbattere contro oggetti o persone. La sua innocuità e la scarsa capacità di fuga, ne fanno una preda ambita da gatti e bambini. Anche io da piccolo mi dilettavo nella caccia nelle sere estive e sarebbe assurdo vietarlo oggi a mio figlio. Gli spiego di non uccidere gli insetti e di liberarli dopo pochi minuti. Poi gli do la scatola trasparente che chiede, stupefatto di come le tradizioni si tramandino spontaneamente tra generazioni, senza bisogno di formali passaggi di consegne. Ignoravo addirittura che conoscesse l’esistenza delle pampogne.

È convinzione popolare che le pampogne siano indice di salute ambientale della campagna, ma non so se sia vero. Di certo esiste l’espressione dialettale “Na a pampogne”, per indicare chi agisce a vuoto, senza raggiungere l’obiettivo, mancando il bersaglio. Come i gatti che s’affannano invano per colpire le pampogne svolazzanti. Per capire il concetto basta un esempio: “Nell’uscita alta, Donnarumma l’è na a pampogne: gol.”

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