“Tutti i declini sono qui con me, per sostenermi”
(E. Cioran, Lacrime e santi)
Per la Vigilia di Natale sono andato a trovare mia zia Carla alla casa di riposo. Per un’ora intera ho fissato un’altra anziana donna sulla carrozzina. Era immobile e reggeva tra le braccia amorevoli un bambolotto. Ho immaginato che la sua mente, inferma almeno quanto il suo corpo, fosse tornata indietro ad uno degli eventi più felici della sua lunga vita: la nascita di un figlio, oppure l’arrivo di un nipote… cose del genere. Un cervello simile ad una pellicola fotografica, impressionato solo da un unico e significativo momento gioioso. Un episodio capace di restare indelebile per l’eternità, e in grado di cancellare al contempo ogni altro riferimento spazio temporale della sua intera esistenza. Se non fosse apparsa così drammatica e amara, quell’immagine avrebbe potuto paradossalmente trasmettere serenità e sorriso.
È stato tuttavia inevitabile pormi una domanda la cui risposta, almeno all’apparenza, potrebbe sembrare scontata, o forse no. Può una condizione così stonata ed indigente essere preferibile alla morte? L’oblio della lucidità, l’illusione di un’esistenza felice, possono compensare una sopravvivenza così difficile?
#1 by erica at 4 gennaio 2019
È sconvolgente.
Due domande, due risposte, le mie:
No!
No!
Eccola qui la mia più grande paura: la vecchiaia, il declino fisico inesorabile, il gigantesco, insopportabile senso di inutilità. Se poi si aggiunge anche la demenza senile e la perdita della dignità già compromessa dallo sfacelo fisico…
Nulla è peggio, e la morte è un sollievo.