Archive for giugno 2018
Politicamente connesso
“Impara ad esprimerti, non ad impressionare”
(J. Rohn)
Potrebbe davvero sembrare che io abbia un’ossessione per Salvini, oppure che nutra per lui un odio viscerale. Non è così. Il fatto è che il personaggio appare molto intrigante dal punto di vista della comunicazione politica, costituendo un caso senza precedenti nel panorama italiano. Miete consensi in ogni circostanza in cui apre bocca, ogni volta che pubblica un post o che risponde ad una domanda.
Populista professionista, certo. Ma in questo è riuscito a superare anche i Cinque Stelle, mantenendosi fortemente tale anche dopo essere approdato al Governo. È decisamente semplice essere populisti quando si sta all’Opposizione. Dagli scranni della Minoranza, senza responsabilità dirette di governo o di amministrazione, il gioco più facile e proficuo è quello di fare demagogia ad oltranza. Da governanti, chiamati a fare i conti con la realtà, con le promesse e con le scelte concrete, il gioco diventa più duro.
L’esempio riportato sotto è da manuale. Come non essere d’accordo? Come non elogiare ed acclamare una posizione così netta ed inequivocabile? E la chiosa contro i fantomatici oppositori è l’affondo finale di una comunicazione perfetta che centra il bersaglio.
In questa strategia è certamente avvantaggiato dai social, che consentono di esprimersi senza contradditorio, visto che tra le migliaia di commenti eventuali dissensi o contestazioni non avranno mai la medesima visibilità e dignità del post originario. Però Salvini è l’unico che osa così tanto e la tattica sembra premiarlo.
Non entra mai nel dettaglio dei problemi e probabilmente non è in grado di approfondire questioni complicate senza banalizzare attraverso gli slogan. Però questo è il mestiere che ha scelto: comunicare alla massa e raccogliere consenso.
Forse sarebbe ora che qualcuno lo sfidasse in un contradditorio serio ed impegnato su argomenti complessi (immigrazione, Legge Fornero), andando oltre i facili proclami e mettendo alla prova le sue effettive conoscenze e la sua reale capacità di analisi.
Il Ministro ruspante
“Marine Le Pen oggi era a pranzo con quel terrone di Matteo Salvini”
(Anonimo su Tweeter)
Ieri, dopo aver apprezzato un lungo ed articolato dibattito tra amici su Facebook, ho integrato la discussione con il mio pensiero. La questione verteva sulla frase del Ministro degli Interni relativa al censimento dei rom: “purtroppo quelli italiani ce li dobbiamo tenere“.
Le frasi di Salvini non sono mai casuali e non mi stupiscono. Anche le ultime rientrano a pieno titolo nel dizionario di un personaggio che ha costruito la sua fama sugli slogan e sulle battaglie contro immigrati, zingari e rom. Ora rimane semplicemente nel solco che lo ha premiato, perché sconcertarsi tanto? Chi vi aspettavate? La sua fortuna nasce dal gergo crudo, provocatorio e populista, politicamente scorretto se vogliamo, che affonda le radici nella ruralità di Bossi, ma che ha saputo rinnovarsi ed evolversi. Questa è la sua diversità e paradossalmente è anche la sua forza. Altrimenti non si spiegherebbe perché la Meloni, che professa le stesse idee, non prende più del 4%. Piuttosto va dato atto a Salvini di una grande capacità (in senso machiavellico, intendo) nel sentire e nel parlare alla pancia del paese. È l’unico che da marzo ad oggi ha raddoppiato il suo potenziale di consenso.
La Lega cerca visibilità, accrescimento del consenso ed erosione di elettori da M5S. A Salvini interessa governare fino a che non avrà la certezza di essere al massimo della popolarità. Poi il contratto di governo si romperà con un pretesto e lui andrà all’incasso con nuove elezioni. In quindici giorni è apparso il vero Premier dell’alleanza, pur avendo la metà dei seggi dei CinqueStelle.
Nel merito delle frasi sui rom, registriamo uno dei tanti slogan che riscuotono facili consensi. Non si parla mai di soluzioni strutturali. Un Ministro della Repubblica deve dire dove li manda, come pensa di intervenire, come si pone di fronte alle dinamiche di integrazione, da dove prende i soldi. Ed il cittadino, l’elettore, non può accontentarsi di un vuoto “mandiamo le ruspe”. E poi?
Sull’immigrazione Salvini se la prende giustamente con l’indifferenza dell’Europa, ma dimentica spesso le lacune dei suoi modelli europei. Mi riferisco ad Orban e al gruppo di Visegrad, che rifiutano ogni ripartizione delle quote. Sarà certo colpa della Germania che rimpalla il problema all’Italia, ma ad est non vedo grandi sostenitori di una politica comunitaria condivisa in materia di immigrazione. Perché Salvini non lo dice?
Credo che oggettivamente ci sia un po’ di imbarazzo nel Movimento Cinque Stelle, che forse non immaginava di accasarsi con una destra così radicale (per lo meno a parole, nei fatti vedremo). Tra gli elettori c’è chi spera nella moderazione di pentastellati più equilibrati, chi proveniva da sinistra e ingoia amaramente il rospo, chi era politicamente “apolide” e apprezza l’interventismo del Ministro. L’elettorato di M5S è il più liquido di tutti e solo il tempo ci dirà effettivamente dove andrà.
Ultima chiosa. Rifuggo in questi giorni da due luoghi comuni. Il primo è il “ritorno del fascismo”. C’è il pericolo dell’avvento di una destra radicale, ma non di fascismo. Ci sono atteggiamenti fascisti, ma non tornerà un regime fascista. L’informazione e gli istituti democratici non sono quelli del 1920. Parlare di fascismo significa alzare i toni e spostare gli argomenti. Il secondo è “ma perché il Pd cos’ha fatto?”. In qualsiasi ambito il Pd può aver fatto peggio, ma compito di chi governa è spiegare le proprie scelte e motivare le proprie azioni, non scaricare sul passato. È un passaggio fondamentale quando si passa da Opposizione a Maggioranza.
Dostoevskij e L’idiota
“È meglio essere infelici, ma sapere,
piuttosto che vivere felici… in una sciocca incoscienza“
(F. Dostoevskij, L’idiota)
Il neonato governo ha spaccato il paese in due acerrime tifoserie, ancor prima di iniziare il suo lavoro. Colpa della superficialità e dell’ignoranza di cui è pregno il popolo bue. Gli slogan dei leader vengono copiati e incollati, ascoltati e ripetuti, in un carma che diventa presto verità assoluta. Gli argomenti di ogni fazione si riducono ed il dibattito presto s‘impoverisce. Da un lato dell’arena ci sono i sostenitori del Governo, solennemente convinti che sia in atto un cambiamento epocale che traghetterà l’Italia dalla seconda alla terza repubblica. Dall’altra parte gli elettori sconfitti, che paventano rosari di derive apocalittiche e baratri senza ritorno.
Come spesso accade, la virtù deve stare nel mezzo. Piedi di piombo di fronte a promesse luccicanti e difficilmente realizzabili, ma nessun processo alle intenzioni. Giudicheremo presto le opere o le omissioni.
Ho visto però il biglietto da visita di questa Maggioranza, ascoltando le prime parole del discorso del Premier al Senato. La mia è una chiosa gratuita e fine se stessa, mossa più per il gusto personale di criticare un professore, che per la volontà di screditare un esecutivo.
Conte cita Dostoevskij. Ne estrapola un passaggio per sostenere l’etichetta del populismo. A suo dire, Dostoevskij sosteneva il populismo come lotta del popolo alle necrosi delle élite. Non sa, il professore intendo, che quel brano rientrava in un più ampio elogio del popolo come fautore di unità e globalizzazione, come celebrazione dell’universale solidarietà del popolo russo. Insomma, Dostoevskij non inneggiava al populismo, ma all’altruismo della nazione.
Questi nuovi politici dovrebbero azzardare meno e riflettere di più, perché l’onestà intellettuale dovrebbe preferirsi alle frasi d’effetto. Se lo sai, lo dici; altrimenti meglio tacere. Ovviamente questa garbata pennata intellettuale era sconosciuta anche a me, ma ho approfondito meglio la questione cercando informazioni aggiuntive. Mi basta, perché non sono un Primo Ministro. Io di Dostoevskij ho letto solo Delitto e castigo e L’idiota, trovandoli piuttosto noiosi per il mio modesto quoziente intellettivo. Non li cito quasi mai.