Nell’anno delle mie quaranta primavere ho deciso di intraprendere una serie di sfide personali che possano rendere in qualche modo originale il mio 2015. Non sono imprese sportive, non sono fioretti quaresimali, non sono opere d’ingegno, né imprese titaniche. Non si tratta di mettersi alla prova, né di stabilire dei record. Si tratta di fare qualcosa un po’ fuori dall’ordinario, dal proprio ordinario, e di superare il limite personale delle abitudini.
“Uomini Forty” è la sezione che le conterrà tutte, giusto per non perderle. A volte servirà la forma fisica che sto ormai perdendo, altre volte basterà l’impegno della mente o la disponibilità degli amici. L’obiettivo è di compiere almeno dieci esperienze “forty”.
L’unica regola che mi son dato è quella di fare cose che non ho mai fatto e che meritano, nel loro piccolo, di essere raccontate ad un figlio, ad un familiare, ad un amico.
Si comincia con la salita invernale notturna alla cima del Monte Baldo.
“La montagna più alta rimane sempre dentro di noi”
(W. Bonatti)
Luna piena che illumina a giorno i crinali innevati. Il vento forte dei giorni scorsi ha spazzato via ogni foschia ed ogni nuvola. Le condizioni ci sono tutte per compiere l’assalto notturno alla cima del Baldo. Non l’avevo mai fatto prima d’ora.
Partiamo alle 19.00, poco sopra i 1200 mt. In un silenzio abissale, la neve scricchiola sotto gli scarponi in uno dei rumori più belli del mondo. Mi ricorda la passeggiata nel surreale cimitero Skogskyrkogården di Stoccolma. Anche lì, ora come allora, ero con Gianluca. La luna sale lentamente e ci accompagna già nel primo tratto di bosco. Non servono pile, neppure ramponi. Qua e là si perde aderenza, ma è poca cosa. Poco dopo arriviamo sulla splendida cresta. Da un parte l’immenso Garda, dall’altro le lontane luci di Verona. La sola visuale vale l’impresa. Il vento si fa sempre più forte e punge sulla faccia. Volano via discorsi sui massimi sistemi della vita, sulla genesi dei sentimenti, sulla mutevolezza della natura umana. Roba da ubriachi.
Dopo due ore di salita approdiamo al rifugio Chierego, mt. 1911. Fa quasi più freddo dentro che fuori. A scaldarci solo i bicchieri colmi di corvina. Il menu non è all’altezza (è il caso di dirlo) dello sforzo, ma con la fame che abbiamo azzanneremmo anche i ceppi di legno accanto alla stufa. Penne al curry (piatto tipico di montagna) e spezzatino della mutua. Ma ci basta per riprendere le giubbe, scendere di buona lena e tornare a casa con una piccola gioia da raccontare.