(D. Van De Sfroos – Dona Lüseerta)
Ieri sono andato a correre sull’alzaia del canale Virgilio. Ogni volta che passo al fianco del lungo corso d’acqua, e delle numerose vasche irrigue, mi ritorna alla mente quando da piccolo andavo a farci il bagno. Mi ci portava mio zio, insieme ai miei cugini. Lì ho imparato a nuotare e a fare i tuffi a “bomba”. Mio zio non ha mai investito troppo tempo per insegnarmi i tuffi a “ficchetto” e ancora oggi mi porto dietro questa grave lacuna tecnica. Parliamo suppergiù di trent’anni fa. Poi con le scuole medie sono arrivate le uscite agli acquapark e con le superiori i pomeriggi nelle piscine degli amici. I bagni al canale sono rimasti nella memoria, messi da parte come le rotelle della bici o come quella maglietta di lanina del Milan nella quale, dalla prima media in poi, proprio non ci entravo più.
Ho smesso di fare il bagno al canale non perché mi facesse schifo (credo di essere l’unico voltese insieme a Walter Piva ad aver fatto il bagno anche nell’Adige), ma perché la piscina era decisamente più comoda e confortevole. Forse anche perché l’odore di cloro tutto sommato è meno sgradevole di quello di freschino.
Da trent’anni a questa parte la qualità dell’acqua del canale è progressivamente scaduta. Schiume varie e bottiglie di plastica hanno preso il posto di qualche sparuta alga. Quasi nessuno, ormai, ci fa più il bagno. Nonostante i cartelli di divieto di balneazione, ma non di abnegazione, ieri ho visto una famigliola marocchina placidamente immersa. Per noi sono marocchini anche i Ghanesi e i Brasiliani (e a volte anche i Siciliani), ma questo è un altro discorso. Nessuno di noi probabilmente manderebbe al canale i propri figli, ma loro, con grande gioia, sguazzavano fieri nelle vasche di cemento. Non ho potuto fare a meno di pensare all’ennesimo segnale di un mondo a doppia velocità, dove i più fortunati hanno la piscina in giardino, mentre ai meno abbienti non resta che nuotare tra quel che rimane.