Archive for febbraio 2013
La storia (siamo noi)
Un caro amico mi ha sottoposto questa citazione, evidenziandone la profonda attualità. Agghiacciante.
“Il capo del Governo si macchiò ripetutamente durante la sua carriera di delitti che, al cospetto di un popolo onesto, gli avrebbero meritato la condanna, la vergogna e la privazione di ogni autorità di governo. Perché il popolo tollerò e addirittura applaudì questi crimini? Una parte per insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse e tornaconto personale. La maggioranza si rendeva naturalmente conto delle sue attività criminali, ma preferiva dare il suo voto al forte piuttosto che al giusto. Purtroppo il popolo italiano, se deve scegliere tra il dovere e il tornaconto, pur conoscendo quale sarebbe il suo dovere, sceglie sempre il tornaconto. Così un uomo mediocre, grossolano, di eloquenza volgare ma di facile effetto, è un perfetto esemplare dei suoi contemporanei. Presso un popolo onesto, sarebbe stato tutt’al più il leader di un partito di modesto seguito, un personaggio un po’ ridicolo per le sue maniere, i suoi atteggiamenti, le sue manie di grandezza, offensivo per il buon senso della gente e causa del suo stile enfatico e impudico. In Italia è diventato il capo del governo. Ed è difficile trovare un più completo esempio italiano. Ammiratore della forza, venale, corruttibile e corrotto, cattolico senza credere in Dio, presuntuoso, vanitoso, fintamente bonario, buon padre di famiglia ma con numerose amanti, si serve di coloro che disprezza, si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, di profittatori; mimo abile, e tale da fare effetto su un pubblico volgare, ma, come ogni mimo, senza un proprio carattere, si immagina sempre di essere il personaggio che vuol rappresentare.”
E. Morante – 1945
Ruzz…oloni lessicali
palle di neve al sole
razzi incandescenti prima di scoppiare
sono giocattoli e zanzare, sabbia da ammucchiare”
(S. Bersani – Le mie parole)
Giusto perché non seguiamo le mode, a casa mia è arrivato Ruzzle. Pazzi.
Potrebbe dimettersi il Papa che non se ne accorgerebbe nessuno, siamo impegnati a giocare a Ruzzle. Mi sento idiota, ovviamente.
Per i pochi digiuni, ricordo che Ruzzle è un videogioco comunemente diffuso tramite un’app di smartphone. Gareggiando on line, bisogna riconoscere il maggior numero di parole possibili, all’interno di una scacchiera di lettere. Dicono che derivi dal comune gioco da tavolo “Il Paroliere”, ma mi sembra che nei libretti di enigmistica l’avessero inventato parecchio tempo prima. Ricordate il gioco “trova la parola”, dove bisognava cerchiare insieme le lettere che componevano un termine in italiano?
La storia dell’applicazione Ruzzle è un po’ curiosa. Nasce all’inizio del 2012, ma viene subito snobbata. A fine anno però si registra un repentino incremento di download in un piccolo villaggio nei pressi di New Orleans, dove c’è un college. Velocemente, in poche settimane, la mania degli studenti si propaga nel pianeta.
La scorsa notte ho dormito pochissimo, interrogandomi sull’utilità di un gioco come questo. È innegabile la sua funzione sociale di aggregazione, condivisione, divertimento… Ma può uno strumento del genere migliorare anche la comprensione della lingua italiana? Si può, seppur per gioco, migliorare il proprio personale vocabolario, ampliarlo, affinarlo? Ruzzle può evitare i ruzzoloni lessicali?
Sicuramente strumenti come questo possiedono un’innegabile valenza linguistica. Ingegnarsi per trovare la parola più strana o più lunga, vedere le possibili soluzioni, è certamente un miglioramento per il linguaggio limitato di molti di noi. Le stesse considerazioni però si possono fare per gli sms e le email. Se consideriamo questi strumenti “scrittura”, allora possiamo dire che scriviamo molto di più che in passato.
Ma sulla qualità nutro ancora grossi dubbi.
Ritorno alla vigna
A 65 anni, avevo ancora i brufoli”.
(G. Burns)
“Persona che nel prossimo futuro si troverà senza stipendio, senza ammortizzatori sociali e senza pensione. Persona che è stata incentivata a lasciare volontariamente il posto di lavoro, magari perché l’azienda era in crisi”.
Stando alla definizione di Wikipedia, tecnicamente Papa Ratzinger può dunque definirsi un “esodato”.
Sulle sue dimissioni, tutti parlano di grande responsabilità, perché con “un gesto di coraggio ha saputo rinunciare al proprio beneficio personale, in favore del bene della Chiesa”. Non ho dubbi sul fatto che se fosse rimasto al suo posto “avrebbe compiuto un grande sacrificio, anteponendo il bene ultimo della Chiesa al proprio interesse privato”. Insomma, era impossibile che sbagliasse. Infallibilità papale.
Razzy in pensione non giocherà certo coi nipotini. Forse però “l’umile servo nella vigna del Signore” incontrerà la sua gemella. La cosa che più ricorderò del suo pontificato è quella contadina galiziana nella vigna, che sembra davvero la gemella del Papa.
Latte alla ginocchia
(P. Cevoli)
Gli allevatori e i contadini sono una razza strana. Gente schietta, con un senso pratico e un cervello veramente “fino”. Genuini, e depositari delle cose semplici. Ma per via di attaccamento ai soldi… sono una roba brutta. Sempre lì a piangere miseria e poi girano con dei Jonh Deere che sembrano ville in Val Gardena. Diciamo che, loro malgrado, non sempre risultano simpatici.
Nei giorni scorsi, ad esempio, è emerso l’ennesimo conto da pagare per le quote latte. Robe da matti.
Un po’ di storia. Nel 1983, per paura che un’eccessiva produzione determini il crollo dei prezzi del latte, la Commissione Europea stabilisce delle quote nazionali e delle multe per gli inadempienti. Gli Scandinavi sono subito ligi e prima di mungere una vacca, telefonano al commercialista. In Italia, quasi chiunque sfora il patto e dopo dieci anni l’ammontare delle multe è di due miliardi di euro. È l’inizio della fine e l’Europa è già parzialmente cremata.
Nel 1996 giro di vite (o di vitello). Il Governo propone una specie di sanatoria: il conto del latte l’avrebbe pagato lo Stato, cioè anche i “non allevatori” (impiegati, operai, casalinghe… che in effetti il latte lo bevono), ma da quel momento in poi si sarebbe fatto sul serio e gli allevatori birichini avrebbero pagato di tasca propria. Niente da fare. Pantalone continua a fare credito a tutti: moltissimi allevatori perpetrano nello sforamento delle quote e lo stato paga il conto all’Europa.
Nei giorni scorsi la Corte dei Conti quantifica che dal 1996 al 2010 le multe ammontino ad altri due miliardi e mezzo di euro. Totale: quattro miliardi e mezzo. Soldi che gli allevatori disubbidienti avrebbero dovuto restituire alla collettività, e invece…
Ma oltre ai soldi delle multe pagate all’UE, nel tempo si susseguono sperperi burocratici per gestire ricorsi amministrativi, agenzie di riscossione, procedure di verifica e normative per le proroghe. Il latte non finisce in un caseificio, ma in un casino. È l’anarchia totale.
Nel 2009, ci pensa il Ministro dell’Agricoltura Zaia a mettere ordine, risolvendo il problema alla radice. Priva Equitalia del potere di riscossione e gli allevatori, immersi nel latte fino al collo, applaudono.
E qui che il debito diventa a lunga conservazione.