ma dopo sé fa le persone dotte”
(Purgatorio – Canto XXII)
Era un professore diverso da tutti gli altri, troppo giovane per potersi fregiare col marchio di quella scuola arcaica. In mezzo alle cariatidi dei suoi colleghi, stonava acutamente per la sua giovane età. Sapeva bene il latino, ma accanto ai dinosauri della sala insegnanti scontava l’etichetta del praticante in stage. Persino il preside lo considerava uno sbarbatello alle prime armi. Cosa ci facesse un trentenne dietro la cattedra del Liceo Classico, rimane ad oggi un mistero irrisolto.
Eppure il professor Gatti era un bravo insegnante. Negli anni dell’adolescenza, in cui tutti siamo inevitabilmente stupidi, mi insegnò che non si può capire nulla della vita senza aver visto almeno una volta un film di Fellini: fu così che mi prestò la videocassetta della Dolcevita.
Il nostro rapporto fu sempre di stima e sfida reciproca. Come quando mi contestò una libera interpretazione del pessimismo leopardiano ed io bleffai, sostenendo che la tesi non era mia ma del De Sanctis: ci credette. Oppure quella volta che per sfidare la sua conoscenza, inventai di sana pianta un critico della letteratura italiana, il Mercati, del quale possedevo un sedicente trattato di linguistica: non si arrischiò a chiedermi una dimostrazione pratica, ma rimase dubbioso.
In Grecia gli nascosi tutta la spesa del duty free. Vagò tra agenti dell’aeroporto e uffici di terra delle compagnie di volo, alla ricerca del suo prezioso sacchetto. Quando il giorno seguente portai a scuola la borsa con le olive elleniche e il formaggio di capra, ci mancò poco che mi sospendesse.
Nell’ora di letteratura italiana mi faceva sempre leggere ad alta voce I Promessi Sposi. Diceva che era l’unico modo per evitare che disturbassi, ma in realtà so che lo faceva perché la mia lettura impostata, con tono vagamente gassmaniano, faceva sorridere la platea e teneva alta l’attenzione di tutti.
Era venuto al “classico” con l’idea d’insegnare nella culla della cultura, e non si capacitò mai del fatto che il nostro tasso culturale fosse inferiore a quello dei corsi serali del Rebibbia.
Lo incontrai parecchi anni dopo il liceo, ad una festa paesana. Mi chiese se in coerenza con il mio impegno scolastico, ora militassi full time nella malavita locale. Testuali parole: “Allora Baù, adesso di cosa ti occupi? Traffico d’armi, droga, prostituzione?”
Rimase perplesso quando rivelai che lavoravo nell’informatica, io… il più umanista dei suoli alunni maschi. “Ma ti piace?”, mi chiese con impareggiabile e schietta ingenuità, acuendo la mia crisi esistenziale del momento.
Ieri Alessandro Gatti è morto. Aveva cinquant’anni.
Ogni volta che se ne va una persona che ci ha segnato la vita, rimangono solo i suoi ricordi. Io lo ricorderò per il suo fervido humor e la sua ammirevole cultura, che un po’ hanno contribuito alla mia formazione, nel bene e nel male.
Mi mancherai, ciao prof! E grazie di tutto.
#1 by Cirano at 11 aprile 2012
Caro “Giullare”, quando un insegnante lascia in un allievo il ricordo che Alessandro ha lasciato a te vuole dire che per la scuola, anche quella svantaggiata perchè italiana e pubblica, ci sono delle speranze.