(G. Tassoni – Tradizioni popolari del Mantovano)
C’è mancato poco che l’’ordinanza antismog della Lombardia oggi ci levasse il tradizionale burièl. Dopo la scomparsa del Sogno, padre spirituale del brulé della befana, quest’anno tutto l’impianto della lumeria ha corso un grosso rischio. Colpa delle norme regionali antinquinamento, che vietano tassativamente la combustione all’aperto. Ne sanno qualcosa in provincia di Cremona, a Cicognolo, dove le autorità hanno spento il consueto falò proprio in ottemperanza alle norme regionali antismog.
Fortunatamente però qualche consigliere ha storto il naso e le proteste di molti sindaci hanno trovato sfogo. In extremis, il 22 dicembre, la Regione ha approvato una delibera che sancisce che “potranno comunque essere consentiti, previa autorizzazione del sindaco competente, falò e fuochi in occasione di feste, sagre di paese o comunque di eventi attinenti ai rituali calendariali della tradizione popolare culturale della Lombardia”. Salvi.
Salva soprattutto la tradizione mantovana del falò in piazza, che affonda le sue radici molto lontano. Pare che ai primi dell’ottocento a Sorbara, il conte Paolo Tosio per debellare un’epidemia di “Fuoco di Sant’ Antonio”, offrì un quadro alla chiesa e invitò i contadini a festeggiare con un grande falò. In cambio del lavoro fece distribuire il chisöl, pan biscotto e vino.
Ma l’origine del rito propiziatorio del fuoco è ovviamente molto più lontana. Il rituale della fiamma purificatrice è un costume precristiano: il fuoco scaccia la tenebra, il freddo, la malattia e prepara i campi alla rinascita della primavera. Del resto la parola “burièl” non è altro che una trasformazione del latino “comburere”, cioè bruciare. Perché da sempre s’incendia “la vecchia”, per scacciare ogni malignità e ogni cattivo auspicio, in attesa di un anno migliore.