Archive for maggio 2011

Comunione d’intenti

Scrive sempe e sta’ cuntenta,
io nun penzo che a te sola
nu penziero mme cunzola
ca tu pienze sulamente a me

(A. Califano – ‘O surdato ‘nnammurato, Canto popolare napoletano)

Oggi ero a Milano e passeggiando sotto il sole di Piazza Duomo mi sono imbattuto negli innumerevoli stand bianchi e blu, dall’inequivocabile titolo: “Forza Letizia”. Sullo sfondo, mi è stato impossibile non vedere il grande palco da poco allestito. Stasera infatti, in quella piazza, si concluderà la campagna elettorale del sindaco Moratti. L’evento clou sarà un concerto popolare aperto a tutti i cittadini.

La Lega ha chiesto di avere due ministeri a Milano e la Moratti gli ha portato Gigi D’Alessio. L’importante è remare nella stessa direzione, no?

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La caduta del Golden Boy

“Gli diedero dell’abatino, per irriderne la modesta costituzione fisica e discuterne quella morale”

(G. Tosatti – Tu chiamale, se vuoi, emozioni)

 

Rivera è stato un numero 10 perfetto: fragile ma tecnico, pigro ma magico, criticato ma vincente. Ha vinto tutto, e tutto è stato detto sul suo conto. Ha fatto parlare di sé dentro e fuori dal campo, per tanti anni, come si addice ad un perfetto numero 10 che si rispetti.

Nella sua ultima sfida Rivera ha raddoppiato, passando dal numero 10 al numero 20. Candidato in una lista minore alle comunali di Milano, il Golden Boy ha raggranellato solo 20 preferenze in tutta la città di cui è stato eroe. Mi fa malinconicamente sorridere il pensiero che probabilmente 20 preferenze non gli sarebbero bastate nemmeno per entrare al Consiglio Comunale di Volta Mantovana.

Continua Tosatti nel suo identikit ormai datato: “Il calcio lo ha arricchito, ma ne ha pesantemente condizionato l’esistenza: oggi magari vorrebbe essere meno ricco, meno saggio, meno famoso, meno prigioniero di un mestiere che non gli concede riposo e gli ha tolto troppo presto un po’ di spensieratezza”.

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F.A.Q. elettorali

Sono terminate ieri le votazioni provinciali. Il bello dei seggi è la vita che li attraversa, le persone che passano davanti alle urne con le loro smorfie, con le loro manìe, con i loro aforismi. Spaccàti di vita zippati in due giorni, sfilate di giovani arrembanti, di signore imbellettate, di anziani ormai troppo stanchi.

Ho raccolto le sette domande più frequenti, che ogni scrutatore si sente rivolgere dai personaggi tipici.

–         Quello che appena entra, essendo sconosciuto a tutti (anche a sua moglie), dice: “serve la carta d’identità?”. No, abbiamo messo il cartello fuori con scritto che il documento è obbligatorio solo per fare uno scherzo. Cribbio, ci sei cascato!

–         Quello ultrasessantenne, che con l’andamento lento del grande elettore rassicura tutti: “Faccio a meno del documento, tanto mi conoscete già”. Massì, tranquillo… ti raggiungo in cabina e ci beviamo una birretta insieme. Gimme five!

–         Quello che prima di entrare nella cabina si gira con la scheda aperta in una mano, gli occhiali da lettura nell’altra, e urla: “Si deve segnare il nome o anche il simbolo?”. Dipende: cosa vuoi votare? Valà, lasciala bianca che poi la compiliamo noi.

–         Quello che guardando tutti gli scrutatori e mettendo la scheda nella fessura dell’urna, ma stringendola ancora in mano sussurra: “la metto qui?”. No, la porti pure a casa, magari qualche sera le vien voglia di votare per L’isola dei famosi

–         Quello che dopo aver riposto la scheda nell’urna e dopo aver ritirato la tessera elettorale, sorridendo e guardando un po’ tutti prima di lasciare il seggio, sentenzia: “siamo a posto?” Non lo so, mi dica lei… era venuto per votare o voleva anche un etto di prosciutto?

–         Quello che dopo aver compiuto tutte le operazioni, non si rassegna all’idea di andarsene e con tono supplichevole dice: “Devo firmare qualcosa?”. Se stai qui fino a lunedì pomeriggio, un paio di firme sui verbali te le facciamo fare. Hai pazienza?

–         La migliore in assoluto in quanto a frequenza, pronunciata da un elettore su due dopo aver ricevuto la scheda di voto, è: “la matita è dentro?”. Sì, è dentro. Mi raccomando, faccia un bel disegno.

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Ferrata dell’Amicizia

“Si dissero ciao per le scale
e la luce dell’alba da fuori sembrò evaporare”
(F. De Gregori – Compagni di viaggio)
 

Partenza di buon mattino. E come al solito dimentico qualcosa. È la volta degli scarponcini, ma me ne accorgo subito, appena vedo quelli di Gianluca nel baule della sua auto: pericolo scampato. Due giorni prima, stanco di vedere il mio compare con quelle improbabili bottiglie di plastica al seguito, gli ho regalato una bellissima borraccia d’alluminio. Per dimostrare quanto ha gradito il regalo, il Nostro si ripresenta con le solite bottiglie: sono soddisfazioni, non c’è che dire.

Nel nostro programma doveva esserci la ferrata Ottorino Marangoni di Mori. Percorso complesso, ma relativamente breve (2 ore circa). Arrivati all’attacco della via, e dopo aver appurato che comunque avevo dimenticato a casa la relazione della ferrata, ci imbattiamo in un simpatico cartello che decreta la chiusura del percorso ferrato, causa manutenzione. L’ordinanza del Comune vieta perentoriamente l’accesso. Pensiamo per un attimo di trasgredire la regola e di proseguire con cautela. Rimango tuttavia molto dubbioso per il pericolo che potrebbe attenderci (ne vale la davvero pena?). Il timore di Gianluca è invece un altro, più veniale: è preoccupato dell’eventuale multa, nel caso ci sorprendessero all’interno di un percorso vietato.

Decidiamo per motivi diversi di rinunciare e per non perdere la giornata, scatta il “piano B”. Il “piano B” è quello che ognuno dovrebbe avere in caso d’imprevisto. È la seconda scelta, il programma d’emergenza, l’alternativa da attuare in caso di impraticabilità del “piano A”. Come molte altre cose, noi il piano B non ce l’abbiamo.

Inizia un tour di telefonate per chiedere informazioni agli amici esperti di montagna o a quelli pratici di siti internet. Dopo una mezzora di trattative e di “aiuti da casa”, riusciamo ad accordarci sul fatidico “piano B”. L’alternativa è la Ferrata dell’Amicizia che parte da Riva del Garda.

Il percorso ha una durata totale di 6 ore e nel complesso appare molto pesante e poco avvincente. I 1200 metri di dislivello totale sono distribuiti in un interminabile sentiero faticoso e in lunghi scaloni di ferro. Ottimo per le esercitazioni dei pompieri o per gli amanti delle scale antincendio. Ci mettiamo un’infinità anche perché davanti a noi c’è un tedescone rapido come un panzer e agile come un vagone della transiberiana. Ha il fisico di Helmut Koll, ma è più giovane: decidiamo per convenzione di chiamarlo Herald. Herald sale, ma è lento da morire e il suo culone ci fa ombra.

Arriviamo sulla Cima Sat e nella sosta per il pranzo rompiamo il Patto d’Acciaio con Herald. Dopo l’interminabile discesa, ci rimane il conforto della solita birretta fresca. Tedesca naturalmente, per non tradire il leitmotiv della giornata.

 

Compagni di viaggio

 

Uno dei tanti scaloni panoramici su Riva del Garda

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Lucy a San Siro

“Lucy in the sky with diamonds”

(Beatles)

Non solo bandiere, caroselli e brindisi confusi. Quest’anno lo scudetto è stato festeggiato con una torta della Lucy, appositamente condivisa con i colleghi veronesi. Tra le due tifoserie, quella mia e quella dei colleghi, storicamente non corre buon sangue. È per questo che sfoggiare con solennità la crostata rossonera non ha prezzo.

Dunque un ringraziamento pubblico alla Lucy e alla sua consueta disponibilità. Ci ha regalato proprio un bel momento.

E sono 18!

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Dai castelli di sabbia, ai castelli di rabbia.

“Spiagge, immense ed assolate,
spiagge già vissute, amate poi perdute”
(R. Zero – Spiagge)

A me piacciono le spiagge un po’ selvagge. Quelle dove parcheggi l’auto lontano e c’arrivi dopo aver camminato a lungo. Quelle dove non c’è la calca dei “Dayaki” attorno al bar. Quelle dove ti cambi il costume usando l’asciugamano e non affittando la cabina. Se magari ci sono un po’ di sassi e non la sabbia perfetta, è anche meglio. Le strutture e gli stabilimenti hanno la loro comodità, ovvio, ma generalmente… meno tracce umane ci sono, meglio si sta.

Con la bozza di decreto per lo sviluppo, sulla spiaggia nasce il “diritto di superficie” di 90 anni. Il Codice Civile lo disciplina come un diritto reale di godimento, consistente nella facoltà di edificare e mantenere una costruzione sopra un fondo di proprietà altrui. Nel nostro caso, il diritto prevede il pagamento di un canone annuo al Demanio e l’accatastamento delle edificazioni su spiagge e arenili. C’è chi grida allo scandalo, alla svendita del patrimonio e del paesaggio pubblico. Altri invocano la libera concorrenza, sostenendo che si potranno dare maggiori certezze a chi vuole investire nel lungo periodo: ciò dovrebbe incentivare il tanto acclamato “sviluppo”.

Non ho la competenza tecnica sufficiente per dire se sarà meglio o se sarà peggio. Non sono abbastanza schierato per prendere una posizione ideologica chiara e aprioristica. So solo che così facendo, sarà difficile che le costruzioni diminuiscano e che il cemento si riduca. Più facile che l’edilizia aumenti e che le bellezze naturali scompaiano: ciò basta per scocciarmi. Dai castelli di sabbia, ai castelli di rabbia.

 

Spiaggia irlandese

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XIV° Consiglio (27 aprile 2011)

L’unico punto all’ordine dl giorno è l’esame del rendiconto di gestione 2010. Non c’è molto da dire: l’anno passato si è chiuso con un avanzo di amministrazione di 957.000 euro. Una cifra enorme che i gravosi vincoli del Patto di Stabilità impediscono di utilizzare. Sui dettagli di questo bilancio consuntivo non c’è praticamente dibattito e ci si appresta a votare. Interviene invece la minoranza, introducendo un altro tema, estraneo all’ordine del giorno. Chiedono, con tono esplicito e rovente, spiegazioni per una frase contenuta nella rubrica Arena del dibattito dell’ultimo Voltapagina. Le parole dello scandalo sono apparse nell’articolo a firma del Gruppo consiliare di Maggioranza: “La precedente amministrazione aveva progettato il campo fotovoltaico solo come propaganda elettorale ed in bilancio è stato utilizzato con il solo scopo di tamponare il “buco” da loro creato per la realizzazione del PIP 4 (per intenderci la nuova zona industriale dietro Martinelli)”. Tra gli scranni dell’opposizione i toni si accendono e la polemica assume il tono della caccia alle streghe e dell’inquisizione. Si cerca il responsabile di quella parola, “buco”, così carica di irrispettosa propaganda e assolutamente lontana dalla politica della passata Amministrazione. Con calma, l’assessore Guastalla cerca di spiegare che la frase è riferita al fotovoltaico e che sintetizza l’acquisto da parte dell’amministrazione Bertaiola di tutti i terreni della zona industriale, rimasti in larga parte invenduti. Non basta, gli animi dell’opposizione non si spengono e il contraddittorio incalza. Il Sindaco, medico, si cimenta in una lectio brevis di matematica: spiega che se compri 10 terreni e poi riesci a venderne solo 2… allora la tua cassa perde un introito e si crea un mancato guadagno, un buco. Sorrido e mi compiaccio, perché al di là di ogni polemica, Voltapagina ha colpito nel segno, appiccando il fuoco della discussione politica istituzionale. Galeotto fu il giornale e chi lo scrisse. Non doma, la minoranza riprende l’assalto e parla del mancato guadagno come di “un investimento per il futuro”. Mah… il fatto vero è che i terreni in questione rimangono tuttora invenduti. In un dibattito politico si può arrivare a sostenere quasi qualsiasi tesi, si può discutere all’infinito sul significato della parola “buco”. Nel concitato susseguirsi di attacchi e difese, rimarrà ai posteri la frase pronunciata da Temperanza, che solo il sottoscritto si è annotato ravvisandovi la sintesi più completa e (maliziosamente) più colorita: “Non sarò certo io a fornirvi la definizione di “buco”…”

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