Archive for marzo 2011
XII° Consiglio (25 marzo 2011)
Approvato all’unanimità il protocollo d’intesa quadro per il “distretto a burocrazia zero per imprese e cittadini”. Dal 29 marzo è obbligatoria la modalità telematica per trasmettere le richieste di DIA (oggi Scia, Segnalazione certificata di Inizio Attività) dall’impresa allo Sportello Unico e da questi alle Attività Produttive. Con questo atto, Volta aderisce ad un distretto di comuni che si doterà congiuntamente del suddetto servizio telematico facente capo a Sisam. Non è necessario alcun adeguamento informatico da parte del comune: per questo l’intervento è a costo 0, ed anzi più il consorzio è grande e maggiori saranno i contributi regionali per l’attività.
Goito e Marmirolo (o meglio Cerlongo, Sacca e Pozzolo) accederanno al consorzio “Colline Moreniche del Garda”. Poiché l’ingresso di nuovi membri deve essere votato a maggioranza da tutti i comuni facenti parte del consorzio, anche da Volta ha espresso unanimemente il suo parere favorevole. L’ingresso permette di aumentare, seppur esiguamente, il fondo del consorzio ed inoltre, aumentando il numero degli abitanti coinvolti, aumenterà anche il contributo provinciale.
Da ultimo, la comunicazione (per la quale non è richiesta votazione) del prelievo dal Fondo di riserva di 24.000€, resi necessari per incrementare i capitoli IRAP sul costo del personale.
Il mal d’Africa compie cent’anni
ed era come un mal d’Africa”
(F. Battiato – Mal d’Africa)
1911: l’Italia di Giolitti dichiara guerra all’Impero Ottomano (Guerra Italo-Turca) per ottenere il controllo della Libia con la pace di Losanna. Fino agli anni trenta, gli italiani combattono, uccidendo un ottavo della popolazione libica (da wikipedia).
Scrive Gramellini che nella conquista della Libia “la propaganda aveva insistito sul fatto che le popolazioni indigene attendevano gli Italiani a braccia aperte, quali agognati liberatori dal malgoverno”.
2011: L’Italia è ancora lì e si proclama in primissima linea per la liberazione del popolo libico. Sono passati cento anni, ma non siamo guariti dal mal d’Africa. La differenza è che ora mandiamo avanti gli aerei canadesi a fare il lavoro sporco. Troppo furbi.
Sogno infranto
Posted by Giullare in Cose di paese on 21 marzo 2011
“Sogno, qualcosa di buono
che mi illumini il mondo
buono come te”
(Zucchero – il volo)
Il Sogno è uno di quei personaggi mitologici che hanno fatto la storia di Volta. Io lo ricordo da sempre, da quando faceva il calzolaio nella minuscola bottega di Sassello, in quella casa dove abitava anche il Renato Balì, altro personaggio in cerca d’autore.
Iniziai a frequentare la sua bottega fin dalle elementari, quando mia madre mi mandava a portare le scarpe da risuolare. “Vai dal Sogno e digli che gli metta i tacchi nuovi. Ma non chiamarlo Sogno, che non vuole! Chiamalo Angelo”, mi diceva ogni volta. L’origine di quel soprannome rimane per me un mistero assoluto.
Sempre mia madre mi raccontò che il Sogno zoppicava perché da giovane aveva subito un incidente in moto ad un passaggio a livello, ed il treno gli aveva tranciato di netto una gamba. La sua gamba di legno (che da piccolo credevo gli servisse da supporto per piantare i chiodi nelle suole), e la sua bottega ferma agli anni ’50 dall’aspetto estremamente sinistro, mi incutevano un certo timore ogni qualvolta mi recavo da solo a ritirare le scarpe. Mi divenne amico durante la caccia al tesoro del grest, credo attorno agli otto anni, quando riservò solamente per me un paio di anfibi numero 47, oggetto dell’ansiosa ricerca: la mia fu l’unica squadra a consegnare l’articolo.
Gli anni dopo, nel periodo delle superiori, iniziò a farmi i complimenti per la qualità delle scarpe che gli portavo e non capii mai se faceva un elogio al mio stile, oppure se le sue erano solo lusinghe prettamente commerciali, per imbonirsi il cliente.
Girava per il paese con un’apecar color carta da zucchero e mi “suonava” ogni volta che mi incrociava.
Dopo il trasloco della bottega nel garage di vicolo Ortaglia e dopo la definitiva chiusura, ho perso un po’ le sue tracce. Rimarrà sempre una figura unica ed indimenticabile della mia infanzia, un personaggio uscito da un romanzo noir, col volto austero del cattivo e l’animo gentile del protagonista buono.
(Pre)giudizi su Radio Londra
(uno dei tanti messaggi in codice dell’originale Radio Londra)
Io sono uno che analizza le cose sempre partendo dai pregiudizi. Non dite che è sbagliato, sarebbe un giudizio avventato e precipitoso… cioè un pre-giudizio).
Questa volta ho fatto un’eccezione e ho guardato la trasmissione Radio Londra di Giuliano Ferrara, senza pensare che a parlare sarebbe stato Giuliano Ferrara. Al di là del fatto che nella fascia oraria dopo il tg della sera farei audience anch’io imitando Al Bano, ascoltarlo è imbarazzante. Ieri ci ha fatto la morale sui giudizi che diamo della “persona” Ruby, sul presunto puritanesimo che sarebbe in procinto di infestare l’opinione pubblica.
Ripercorro l’essenziale biografia politica di Giuliano Ferrara (da wikipedia).
Figlio di un senatore comunista (direttore de l’Unità e presidente della Regione Lazio) e di una partigiana gappista a lungo segretaria particolare di Togliatti, Giuliano – che, iscrittosi all’università, non terminò gli studi – si avvicina alla politica da contestatore sessantottino. Ha partecipato agli scontri di Valle Giulia.
Nel 1973, nel Partito Comunista Italiano di Torino, è responsabile del coordinamento provinciale Fiat. Nel dicembre 1980 diventa capogruppo comunista nel consiglio comunale di Torino. Lascia il partito nel 1982. Nel 1985 viene avvicinato dal Partito Socialista Italiano tramite Claudio Martelli. Negò le voci di un suo approdo al PSI, ma al tempo stesso ci tenne a ribadire che considerava “le scelte di fondo di Craxi e dei socialisti come le più giuste per il Paese e per la sinistra”. Nel 2003 Ferrara ha dichiarato di essere stato confidente retribuito della CIA. Taluni ritengono dubbia la veridicità di questa dichiarazione e sostengono che sia stata rilasciata da Ferrara per attrarre l’attenzione su di sé.
Dalla Rai si trasferisce a Mediaset, dove conduce su Canale 5 Radio Londra, L’istruttoria e Il gatto, da cui, dopo lo scoppio dello scandalo politico-giudiziario Tangentopoli, esprime le sue posizioni critiche nei confronti delle inchieste della magistratura. Nel 1992 idea la trasmissione Lezioni d’amore, incentrata sul sesso. Dopo alcune puntate il programma viene interrotto per le pressioni di alcuni deputati.
In occasione delle Elezioni europee del 1989 viene eletto europarlamentare del PSI.
Con l’ascesa di Silvio Berlusconi e di Forza Italia, Ferrara decide di lasciare, assieme a molti compagni di partito, un PSI ormai in disfacimento. Diviene Ministro per i rapporti con il Parlamento del primo governo Berlusconi.
Candidato per Forza Italia e la Casa delle Libertà alle elezioni politiche suppletive del 9 novembre 1997, viene sconfitto da Antonio Di Pietro.
Con gli eventi dell’11 settembre 2001 le sue posizioni politiche e ideali hanno una svolta antilaicista e socialmente conservatrice: pur essendo dichiaratamente un non cattolico, inizia a sostenere la necessità del rafforzamento dei valori giudaico-cristiani come baluardo dell’Occidente di fronte al pericolo crescente dell’estremismo islamico. Viene definito da Eugenio Scalfari un “ateo devoto”.
Il 7 luglio 2006 viene condannato in primo grado per diffamazione ai danni di alcuni giornalisti e al risarcimento di 135 mila euro.
A metà dicembre del 2007, durante la trasmissione Otto e mezzo propone una moratoria universale sull’aborto. Ha riconosciuto che attorno ai vent’anni, tre sue partner ricorsero all’aborto. Ferrara, a proposito di questi aborti, ha dichiarato: “Io sono stato per tre volte un mascalzone e un peccatore. Tre bambini non sono nati perché le loro madri hanno rifiutato la maternità ed io mi sono voltato dall’altra parte. Questo è indegno”.
Preferirei continuare a pensare a Ferrara come alla copia grassa di Jovanotti.
Ha ancora senso parlare di nucleare?
“Terremoto di fiori e sangue,
non è la fame ma l’ignoranza che uccide”
(Litfiba – Dimmi il nome)
Quello che è accaduto in Giappone è più simile all’apocalisse che ad un terremoto. Le immagini che girano in rete o nei tg sembrano edizioni speciali di Real tv, più che reportage dall’Asia. E come se non bastassero la devastazione del terremoto e quella dello tsunami, ecco arrivare anche l’incidente alla centrale nucleare di Fukushima.
Su queste cose i Giapponesi non sono scemi. Se hanno costruito una centrale nucleare in territorio sismico (ne hanno una cinquantina), significa che avevano tutte le garanzie e le certezze del caso. Invece…
Mi auguro che questa sciagura contribuisca alla riflessione sul nucleare in Italia, visto che i favorevoli propinano da anni l’assoluta sicurezza degli impianti moderni.
Volta, Italy
Posted by Giullare in Cose di paese on 8 marzo 2011
Se siete tra coloro che si stanno riempiendo la bocca di tricolore, se il vostro spirito patriottico è debordato quando s’è deciso che il 17 marzo non si lavora, se improvvisamente avete scoperto che il Risorgimento non è solo l’altro nome del Vialone, allora c’è una mostra che fa per voi.
Fino al 20 marzo, presso le scuderie di Palazzo Cavriani è possibile visitare “Uomini e vicende, miti e valori”, l’esposizione di materiale, più che altro di natura postale, relativo agli accadimenti del Risorgimento Italiano che hanno coinvolto i nostri territori. Le lettere vidimate dall’ufficio postale di Volta, con il timbro dell’Impero Austriaco; le lettere con lo stesso timbro, ma con la sigla austrica abrasa dai Francesi; manifesti, disegni dell’epoca. Al piano superiore c’è anche qualche equipaggiamento bellico, ritrovato sulle colline: potrete capire la differenza tra la borraccia del fante e quella del cavaliere, la baionetta piemontese e quella austriaca e cose del genere.
Intendiamoci, nulla di metafisico. Anzi, alla lunga è una mostra che rischia di essere ripetitiva e piuttosto monotona. Però chi temeva la deriva leghista del comune, forse potrebbe ricredersi.
Dulcis in mundo
Poiché questo blog non produce solo critica retorica o noiosa polemica, ma è permeato anche dalla cultura, oggi parliamo di un dolce tipico del carnevale.
I dessert del periodo carnevalesco traggono origine dalle frictilia degli antichi romani, nate alcuni secoli prima di Cristo. Per le Liberalia, le feste dedicate alle divinità del vino e del grano, i Romani friggevano nel grasso di maiale dei preparati di farina di mais e poi li ricoprivano di miele. Le Liberalia si celebravano il 17 marzo: è curioso scoprire che già oltre duemila anni fa questa data era festa “nazionale”.
Le lattughe, come si chiamano a Volta, sono uno dei dolci di carnevale più comuni in Italia. Di certo sono il dolce con il maggior numero di appellativi regionali. Paese che vai, nome che trovi.
A Volta, dicevo, e in molte parti della Lombardia, si chiamano lattughe. Il nome deriva dalla somiglianza con le foglie dell’insalata lattuga, a sua volta derivante dal latino lactuta (cioè, che secerne latte). Alcuni vedono la somiglianza con la gorgiera, detta anche lattuga, cioè con quella gala di merletto, quel drappo di tela che si portava un tempo sopra la camicia, al posto della cravatta. Ma in Lombardia, come in molte parti d’Italia, prendono anche il nome di chiacchiere, dalla sineddoche legata alla loro forma, simile ad una lingua.
In Veneto abbiamo le gale o i galani, proprio in riferimento alla sopracitata gala di merletto, che a sua volta discende dallo spagnolo gala (lusso, eleganza).
In Toscana la gala diventa popolarmente il cencio, perché il merletto appartiene ai nobili, mentre lo straccio è più vicino al popolo: dal latino cencium (pezzo di stroffa, straccio). Sempre in Toscana si chiamano anche donzelle, perché le donne amano spesso agghindarsi con merletti e pizzi vari, oppure crogetti (da crogiolare, cioè cuocere lentamente).
A nord, verso il Trentino e nel Friuli, semplicemente rimandando ad un’idea di friabilità e croccantezza, prendono il nome di cròstoli.
I Piemontesi e i Liguri li chiamano bugíe (in ligure böxie) o rosoni: il nastro di pasta appare avvolto in maniera concentrica, tondo come il piatto di un portacandele (bugia) o intricato come un rosone.
In Emilia Romagna, oltre a chiamarsi lasagne, dal latino lasanum (pentola, vaso), si trovano spesso con il nome di frappole, o sfrappole, dal francese frapper (battere, stendere la pasta). E così è a Roma o nel Lazio: le frappe.
Nel riminese si chiamano fiocchetti, dal latino floccus, a Reggio Emilia sono detti intrigoni (da intrigare, cioè avviluppare insieme) e a Piacenza sprelle. In Abruzzo si chiamano cioffe, da un termine greco che significa cosa leggera.
Al sud, in Puglia, il dolce prende il nome di pampuglia, ovvero truciolo (dal latino pampinus, tralcio di vite).
I fantasiosi campani invece, osservando la forma allungata della pasta che richiama l’invadenza della suocera, nonché i contorni frastagliati che ne ricordano la scontrosità, hanno coniato il nome di… lingue di suocera.
Propositi bizzarri
(L. Bizzarri – Sanremo 2011)
Un colpo di genio la proposta sul pluralismo televisivo presentata oggi in Commissione Vigilanza. Si suggerisce che di settimana in settimana, nelle trasmissioni d’inchiesta o di dibattito politico della prima serata, si alternino i conduttori “con diversa formazione culturale”. Una settimana Santoro, quell’altra Minzolini.
Se il principio della libertà di scelta dell’elettore e della sovranità popolare viene evocato ogni qualvolta siano in ballo le dimissioni di questo o quel politico (quasi sempre di “quello”), allora lo stesso principio di “gradimento popolare” e di audience deve essere applicato alle trasmissioni televisive. Se il programma ha spettatori, vuol dire che funziona. Se è sgradito o ritenuto fazioso, ne venga proposto uno migliore e il pubblico lo giudicherà. Si chiama libera concorrenza. Non se ne può più di questa esasperazione, di questa falsa “bar condicio”. Non mi serve un format di Minoli per decidere che Vespa non mi piace, mi basta non guardarlo. Così come non chiedo di riavere Derrick perché altrimenti mi costringono a vedere CSI. Ma che ragionamento è?