Non so se avete letto l’ultimo editoriale di Voltapagina dal titolo “Acqua che passa…”. A parte il fatto che sfido chiunque a dirmi chi è Giobatta del Piat, ho pensato bene di rispondere all’autore, mandandogli una mail. Di seguito trovate la mia mail e sotto ancora l’editoriale apparso il mese scorso.
Egregio signor Giobatta,
ho letto con interesse il suo spunto di riflessione “Acqua che passa…”, pubblicato nell’ultimo numero di Voltapagina.
Mi ci rivedo, è vero, davanti la filòs a raccontare e ad ascoltare ciò che un tempo eravamo capaci di dirci. Mi ci rivedo anche davanti alla prima televisione, quando con la mia famiglia stavamo stretti stretti ad aspettare Carosello.
Ha ragione lei, se ci voltiamo indietro vediamo un’Italia che in cinquant’anni ha corso con velocità crescente, un’Italia che è salita in Vespa, e oggi si ritrova sugli aerei low cost.
La televisione, come è giusto che sia, ha accelerato anch’essa, inseguendo (o precedendo) tutti noi che andavamo di corsa.
Non mi dispiace che al posto di Mario Riva sia arrivato Gerry Scotti, né che Fiorello abbia rimpiazzato Alighiero Noschese. Ridevo vedendo la pubblicità di Calimero, ma anche quella di Totti in fondo non è male. Però ha ragione lei: la moderna tv (oggi non c’è tempo neppure di scrivere “televisione”) è decisamente mediocre. Mediocre nei suoi contenuti (non c’è più nulla di culturale) e mediocre nei suoi messaggi.
Eppure non serve andare indietro di cinquant’anni per ricordare una televisione decente. Ricordo che anche negli anni ’70 le cose andavano bene. Canzonissima si guardava volentieri, qualche buon film non mancava mai e i giornalisti sapevano fare quasi tutti il loro mestiere. Per ridere poi… bastavano Cochi e Renato.
Ma poi cos’è successo? Un signore con pochi capelli (poi gli cresceranno) ha inziato a fare impresa con la tv e facendo vedere un po’ di tette ci ha legati alla poltrona. Ha soppiantato l’idea di cultura, con quella di pubblicità. Mio figlio guardava la Freccia Nera, mio nipote registra le puntate di Amici. Basta contenuti, solo reclame.
Ha ragione lei: abbiamo desistito di fronte al degrado incombente, abbiamo ceduto lasciandoci assuefare passivamente, siamo capitolati fievolmente giorno dopo giorno. Però, signor Giobatta, non crede che questo scadimento tragga origine da un preciso padre predone?
Non serve essere schierati politicamente (io non ho etichetta alcuna, e me ne vanto) per riflettere, guardarsi indietro e chiedersi chi ci ha portati a questa tv et, igitur, a questa società senza spina dorsale.
Con immensa stima, Gregore della Tor (o se preferisce… Silvio Baù)Acqua che passa…
di Giobatta del Piat
Era ancora viva cinquant’anni fa l’usanza dei filòs. Nelle nostre campagne visse ancora per un decennio prima di rimanere completamente estraniata dall’evolversi delle vicende e dalla modernità.
Non fu solamente il benessere, che andava diffondendosi, a determinare il cambiamento; quanto alcuni elementi meno sottintesi come la televisione, la quale partecipò in modo determinante alla metamorfosi in corso.
Non c’era più motivo di andare ai filòs per conoscere “ che nöe gh’èra”, o per ingannare il tempo nelle lunghe notti invernali, riscaldandosi con gli umori delle vacche sopra giacigli di paglia; la novità era divenuta una scatola di legno verniciato lucido, tinto mogano, oggetto invidiabile e alieno posato in bella mostra su un carrello dalle smilze gambe in metallo cromato lucido e liscio come i denti del forcone. Era arrivata la televisione. Oggetto diabolico, una sorta di cinematografo senza pellicola che materializzava, in modo incredibile e misterioso cose e uomini; quasi come un sogno ad occhi aperti.
La televisione fu un fenomeno senza pari, che contribuì a conoscersi, riconoscersi, a confrontarsi in un’Italia lunga e diversa da nord a sud.
Anche se il fenomeno aveva avuto i natali formali nella prima metà degli anni 50 da noi, arrivò dopo un decennio.
In quei tempi, il mondo stava già cambiando per effetto dei benefici che la ricostruzione aveva alimentato. La bicicletta l’avevano tutti; era tempo di vespa e i ventenni sognavano la macchina.
Erano passati neppure quattro lustri dalla fine della guerra e le cose erano ormai molto cambiate. I giovani immaginavano un futuro diverso da quello conservatore dei loro padri. Lavorare i campi per mietere una volta l’anno era una prospettiva accettata senza entusiasmo e condotta in attesa di tempi migliori. Fu soprattutto la televisione a mostrare i confronti tra la campagna e la città, a favorire quella straordinaria migrazione verso le catene di montaggio che già tra le due guerre aveva ammaliato i primi pionieri. Alla fine degli anni ’60 la prima metamorfosi ebbe compimento e… addio filòs.
Adesso, Ernesto Bernacca si è sostituito al vento delle filastrocche per dirci che tempo farà e Alighiero Noschese ci fa morire dal ridere imitando i politici. Il maestro Alberto Manzi fa lezione alla televisione alla sette di sera e spiega tanto bene che si capisce tutto; forse meglio della maestra. Le notizie, adesso, arrivano persino dall’altra parte del mondo, dall’America; le racconta Ruggero Orlando, un tipo anzianotto con l’erre moscia.Poi nei varietà una certa Raffaella Carrà mostra le gambe con una disinvoltura da far arrossire chi la guarda. Il mondo è proprio cambiato.
Basta con le sottane lunghe e nere, è arrivata la minigonna, sono arrivati i blu jeans, la ciuinga che fa tanto scic, si balla lo shake e il cha cha cha; le sale da ballo incarnano quella voglia di libertà e di rifiuto degli schemi che comincia ad affermarsi in ogni settore della società.
Basta lavare al fosso, l’acqua è arrivata nel cortile o addirittura in casa in casa; basta con l’energico lavoro stagionale di far bollire il bucato con lisciva e sapone : è arrivata una polvere bianca appiccicaticcia che fa diventare tutto bianco e candido; lo consiglia un pulcino nero chiamato Calimero.
Il vento del cambiamento, da allora, non si è più arrestato.
Arrivarono giorni felici, ma anche i giorni del piombo e delle Bierre; il sangue sulle strade e le stragi innocenti. Arrivarono i perché; e furono molti. Non sono ancora finiti e mai finiranno.
Sono passati cinquant’anni, da allora, e l’usanza dei filòs è talmente lontana che per taluni è addirittura incredibile.
La televisione è cresciuta con noi; anche più di noi. Non ha mai messo di raccontarci storie affascinanti, anche d’oltre mare. Il pulcino sfortunato e nero che si chiamava Calimero non c’è più; forse è morto, chissà. La sua polvere bianca e appiccicaticcia oggi ci dice che “sbianca più del bianco”; e così la mia signora, anch’essa attaccata alla lenza della tivù ne compra due alla volta.
Non è più come ai nostri tempi che si mangiava quello che il “convento passava”. Mio nipote sta crescendo bello e sano perché fa una dieta equilibrata mangiando una bella “fetta al latte” al mattino per colazione e un buon “chinder cerali” a metà pomeriggio; poi se durante la giornata lo prende, un languorino che non è proprio fame ma voglia di qualcosa di buono, mia cognata sa bene che può dargli un buon “duplo” perché è sano e nutriente.
Anche nell’abbigliamento siamo cambiati. Adesso non è tanto importante vestirsi, quanto apparire. La mia vicina, Angela, veste sempre poco e succinto e mi dice che vorrebbe fare l’attrice ed anche partecipare al programma delle veline alla tivù. Dice che non vuole sposarsi perché l’uomo è un oggetto da usare e basta; dice che vuole cambiare vita; dice che vuole divertirsi perché si vive una sola volta. Non so dire, se la capisco, ma… anche noi volevamo farlo qualche decennio fa e poi con l’età sono iniziati dubbi.
Siamo nati in un mondo sano tra gente semplice, onesta e di parola. Abbiamo imparato soprattutto quello che abbiamo visto fare dai più grandi di noi, verso i quali nutrivamo innato rispetto. Volevamo cambiare nel vigore del nostro sviluppo, per migliorare noi e aiutare la nostra famiglia. Un cambiamento che significava, nelle intenzioni, maggiore ricchezza, possibilità di sfuggire da quelle maglie di povertà e mediocrità che rendevano ristretto ogni nostro desiderio.
La televisione cinquant’anni fa, in queste zone, era il nuovo che arrivava e noi gli abbiamo creduto; come un dio. Anche noi volevamo cambiare il mondo ma… non, come oggi accade, dissetarsi e basta. Volevamo cambiare in una sorta di eroico slancio per cambiare prospettiva a noi e ai nostri figli. In questo desiderio collettivo, penso, ci siamo riusciti. Non possiamo negarlo. La ricchezza e arrivata copiosa; ci ha inebriato e travolto. Ci ha cambiato modo di vivere. Mai più potremmo tornare per la strada dalla quale siamo venuti; andremo avanti; e lo faremo con tutti; chi in testa al gruppo, chi in mezzo, chi in coda. Porteremo anche la televisione, se qualcuno lo vorrà. Personalmente non m’interessa. Penso e dubito di Lei, della sua falsa bontà e delle sue promesse. Cogito ergo sum.
#1 by Gianluca at 4 gennaio 2011
Non riesco a vedere nella televisione la colpa del nostro “vivere superficiale”.
Non credo che possa essere qualcosa esterno all’uomo a decidere il suo destino.
Forse va meglio così anche a noi. E quindi ci siamo adeguati piacevolmente.
Che facebook sia l’attualizzazione, un po’ più anonima, dei filòs?
Che ci sia ancora un barlume di “voler uscire” dentro di noi?
#2 by Michele at 5 gennaio 2011
A me la lettera di Giobatta del Piat è parsa la solita roba, per di più noiosa.